Questione di interpretazioni
“Anziché dire che la fisica ‘capisce’ l’universo, è più esatto dire che i modelli della fisica sono sufficienti a descrivere il mondo materiale come lo osserviamo con i nostri occhi e con gli strumenti [che abbiamo a disposizione].”
Questo concetto, messo nero su bianco dal fisico Victor John Stenger nel 2014, evidenzia il rapporto – necessario e al contempo complesso – che esiste fra la realtà e la sua rappresentazione. Più in generale, il rapporto che si viene a instaurare fra le interpretazioni fisiche del mondo, soprattutto quelle legate alla Fisica Quantistica, e le considerazioni filosofiche che inevitabilmente ne scaturiscono.
“Nella prima parte del XX secolo quasi tutti i più famosi fisici dell’epoca – Albert Einstein, Niels Bohr, Erwin Schrödinger, Werner Heisenberg e Max Born, per citarne alcuni – rifletterono sulle conseguenze filosofiche delle loro rivoluzionarie scoperte nel campo della Relatività e della Meccanica Quantistica.
Dopo la Seconda guerra mondiale, però, la nuova generazione di protagonisti della fisica – Richard Feynman, Murray Gell-Mann, Steven Weinberg, Sheldon Glashow e altri – trovò improduttive queste riflessioni, e la maggior parte dei fisici […] li seguì.
Ma la generazione ancora successiva ha adottato dottrine filosofiche, o almeno ha parlato in termini filosofici, senza ammetterlo a se stessa”. E in effetti, come si può leggere nel terzo capitolo de “Il mondo secondo la Fisica Quantistica”, ogni volta che viene proposto un nuovo modello che ci consente di interpretare il mondo che ci circonda, riuscire a stabilire con certezza il confine con le considerazioni filosofiche che ne derivano diventa sempre più difficile. E forse non è neanche necessario.