“Il registratore di sogni” di Mariam Tarkeshi
«È questo, il trauma» ha scritto una volta Patrick McGrath. «L’evento sta sempre accadendo ora, nel presente, per la prima volta.»
Immagino che cominciare a presentare il proprio libro in questo modo, usando le parole di qualcun altro, non sia propriamente saggio, ma spero che me lo concediate.
Queste parole mi sono sembrate così accurate, quando le ho lette per la prima volta, che sono entrate per sempre a far parte del mio modo di pensare e di vedere il mondo.
“Il registratore di sogni” ne è una prova.
Una delle cose che più mi premeva raccontare, in questa storia, è il modo diverso in cui persone diverse affrontano i propri demoni. C’è chi non è in grado di sconfiggerli, chi non è del tutto conscio di averne e chi, in un modo o nell’altro, finisce per liberarsene, o per lo meno accettarli. Un “demone”, per come lo vedo io, può essere un vero e proprio trauma, certo, ma anche più semplicemente una dura verità, o una parte di sé che non si apprezza o che si rifiuta di riconoscere. In ogni caso, qualcosa che ci tormenta. Un dolore tanto intenso che è come se lo provassimo, appunto, “ora, nel presente, per la prima volta.”
Vi è mai capitato di stare così male da decidere di non dormire per paura di quello che avreste potuto sognare? Vi è capitato di svegliarvi con la certezza di aver fatto un incubo e, pur non ricordandolo, di portarvi dietro per il resto della giornata una brutta sensazione che non riuscite a comprendere? Forse il sonno è il momento in cui i nostri demoni ci perseguitano meglio. È il luogo privo di regole in cui possono fare quello che vogliono, liberi dalla costrizione della razionalità che, durante le ore di veglia, li tiene imbrigliati nel tentativo di proteggerci.
“Il registratore di sogni” è prima di tutto la storia di Nico e di come, tramite il registratore, impari cose di se stesso che finora ha sempre ignorato, ma è anche la storia dei personaggi che gravitano intorno a lui e che sembrano camminare in punta di piedi intorno ai propri segreti e alle proprie paure più recondite. Se c’è una cosa che lo studio delle lingue mi ha insegnato, è che c’è sempre un motivo se le parole hanno un certo aspetto, o un certo significato.
Per esempio, i tedeschi traducono la parola “sogno” con “Traum”.