Studiosi e brillanti, tre amici di Napoli festeggiano la laurea con una birra e si chiedono che cosa fare ora.
Ilaria ha la risposta e un biglietto in tasca: vuole viaggiare e guadagnare. A Milano l'aspetta una multinazionale, e pazienza se dovrà vivere in un buco, sgobbare a testa bassa, e sopportare i sospiri strappacuore di un padre che la vorrebbe con sé.
Michele, architetto geniale e indolente, qualche dubbio ce l'ha, ma ha ricevuto un'offerta da Londra che in Italia manco si sarebbe sognato, e parte. La nostalgia della sua terra la coltiverà via Facebook, perché di sentimenti non si campa.
E qui chi rimane? si domanda Diego Armando, che con un nome così non potrebbe certo vivere altrove. Accetta un posto precario all'università, dove il professor Tuccillo - nipote, figlio e cugino di inamovibili baroni - gli garantisce tanto lavoro in cambio di tantissime promesse. E nient-altro. Quando anche l'ultima si rivela una bufala, il ragazzo deve rassegnarsi: amare le proprie radici è un lusso che non si può permettere. Ma neppure gli amici, lanciatissimi e in carriera, sono soddisfatti, e giorno dopo giorno la nostalgia li consuma.
Allora qual è la soluzione? chiede Antonio Menna, con questa parabola graffiante e ironica che denuncia la più assurda delle nostre contraddizioni: prepariamo giovani pieni di talento e li costringiamo ad andarsene. Forse una speranza esiste, e sta nell'ostinazione un po' incosciente di chi crede che realizzarsi a Napoli - e anche nel resto d'Italia - non sia solo un'utopia.
Antonio Menna
Antonio Menna, giornalista, vive e lavora a Napoli.
Ha collaborato con numerose testate nazionali e ora scrive per il quotidiano Il Mattino e per il giornale on line Fanpage.
È esploso sul web nel 2012 (200.000 contatti in un giorno), grazie al post Se Steve Jobs fosse nato a Napoli, da cui è nato l'omonimo libro-manifesto (Sperling & Kupfer, 2012). Ha pubblicato inoltre i romanzi Cocaina & Cioccolato, (Cicorivolta, 2007) e Baciami molto (Cicorivolta, 2009).