Oroscopo dello scrittore – febbraio 2017

Oroscopo dello scrittore. FEBBRAIO

Lo scrittore dell’Ariete provi a dare retta a Mercurio che promette un periodo fertile e utile per il lavoro dal giorno 7 fino al 24. Perché impegnarsi prima o dopo potrebbe rivelarsi un esercizio poco fortunato. Ascoltate le stelle.

Lo scrittore del Toro godrà del rapporto migliore con la scrittura e la creatività solo nella prima settimana e poi anche nell’ultima. Nel mezzo proverete una certa fatica e una scarsa propensione al pensiero, che rischiano di abbassare la qualità del vostro lavoro.

Lo scrittore dei Gemelli sembra essere destinato a un febbraio facile, colorato e abbastanza prolisso. Insomma non vi mancherà di certo la giusta energia per creare, per descrivere e per incantarvi davanti ai pensieri. Fate un viaggio, anche solo con la mente.

Lo scrittore del Cancro potrebbe decidere di raccogliere spunti, idee e racconti nelle prime tre settimane del mese per poi impegnarsi dal 25 in avanti, quando cioè l’amicizia di Mercurio sarà una realtà concreta, palpabile, solida.

Lo scrittore del Leone vivrà una sfida costante a parlare, a raccontare, godendo però anche della possibilità di entrare, per davvero, in sintonia con la realtà che lo circonda e dalla quale dovrà prendere ispirazione. Nell’ultima settimana lasci dire agli altri.

Lo scrittore della Vergine potrebbe percepire come divertente e stimolante ogni impegno, ogni impresa o compito che, nelle prime tre settimane del mese, deciderà di intraprendere. Se ci sono idee o iniziative allora meglio dare loro il via dal 26.

Lo scrittore della Bilancia sarà contagiato dal bisogno di occuparsi degli altri, delle situazioni circostanti, che Venere gli infonderà. Ma saprà dire e raccontare ogni cosa in grande leggerezza, senza mai dare l’impressione di farlo per obbligo.

Lo scrittore dello Scorpione percepirà il suo rapporto con il lavoro come spontaneo nella prima settimana del mese, come impegnativo nella parte centrale, e come (finalmente) divertente e creativo dal 25 in avanti. Decidete quando muovervi.

Lo scrittore del Sagittario dovrebbe impegnarsi con le cose pratiche e minuziose entro e non oltre il giorno 7 per poi, finalmente, darsi alla bellezza del racconto, della scrittura. Grandissima e importante la capacità di empatia del giorno 21.

Lo scrittore del Capricorno darà il via a un’idea o a un pensiero nei primi giorni del mese per poi, ovviamente, passare all’azione. Insomma saprete fare tutto ciò che è necessario a creare, a costruire. Nell’ultima settimana vi concentrerete invece di più sulla comunicazione.

Lo scrittore dell’Acquario vivrà il suo momento magico, in compagnia di Mercurio la stella della scrittura, tra il 7 e il 25. Insomma un lasso di tempo abbastanza lungo per fare qualcosa che sia importante, prezioso, qualcosa che esige grandi qualità e concentrazione.

Lo scrittore dei Pesci risentirà della grande incertezza di un Giove retrogrado che renderà sempre poco chiare e decise le sue intenzioni, lavoro incluso. Dunque meglio darsi da fare solo nell’ultima settimana, quando possiederete la concentrazione necessaria a fare.

Parliamo di dislessia con Carlotta Jesi: I MIEI BAMBINI HANNO I SUPERPOTERI

I miei bambini hanno i superpoteri è un libro che dovrebbero leggere tutti i genitori, un libro sulla dislessia che diventa – nel sottotitolo – “nostra”, cioè di tutta la famiglia. Quello che troverete nelle pagine scritte da Carlotta Jesi è proprio il racconto di come la famiglia cambia e prova a comprendere profondamente le esigenze di due bambini, trasformando la loro diversità in una forza che fa bene a tutti. Con qualche difficoltà, certo, ma anche con tanti sorrisi e molta soddisfazione. Ecco l’intervista a Carlotta Jesi.

Ciao Carlotta, anzitutto grazie per il tuo libro: credo che sia una lettura interessante e utile per tutti i genitori, perché racconta come tu sia riuscita a metterti dall’altra parte della barricata (permetti l’abusata metafora della lotta con i figli), cercando il modo migliore di comprendere i tuoi due ragazzi e aiutarli con i loro mezzi, non con i tuoi, cioè quelli di un adulto “normale”. 

Sei ironica e spiritosa, anche diretta e pratica: perché questo libro?

Innanzitutto, per noi. Per i miei figli e, soprattutto, per me: abbiamo passato tante fasi, altalenanti. Scrivere il libro ci ha aiutato a mettere in ordine i pezzi, a capire quanta strada abbiamo fatto dallo smarrimento e dalla confusione iniziale alla consapevolezza, alla scelta di una strada e di una terapia da seguire, alla costruzione di un nuovo universo di riferimento, tutto nostro, popolato di nuovi eroi di ispirazione, di obiettivi, di piccole vittorie da celebrare. L’ironia e le battute sono state, da subito, un modo di guardare anche l’altra faccia della medaglia, di ridere degli errori (tantissimi) che abbiamo fatto noi genitori. Uno strumento per concentrarci non solo sulle difficoltà dei nostri ragazzi ma anche e soprattutto sulle loro potenzialità e i loro talenti.

Da un lato, spero che leggendo queste pagine, oggi o in futuro, i miei bambini si rendano conto di quanto sono speciali, di quanti sforzi hanno fatto e di quante risorse hanno scoperto di avere ed imparato ad usare. Spero si portino a casa per sempre la fiducia nel fatto che le difficoltà si superano e che è importantissimo guardare al futuro con ottimismo e ironia.

Dall’altro, mi auguro che questo libro possa far sentire meno soli altre mamme e papà che, come noi, si sentono spiazzati davanti a queste difficoltà dei figli che per fortuna non sono gravi malattie ma che, comunque, hanno un grosso impatto sulla vita della famiglia. La dislessia è difficile da spiegare agli altri, a occhio nudo non si vede, ogni suo effetto sembra causato dal poco impegno del bambino o dalla poca educazione e attenzione data dal genitore. Non è così: capita di sentirsi abbandonati, dalla scuola in primis, e di non sapere cosa fare. Ecco, mi piacerebbe che il libro aiutasse a non sentirsi così e spronasse bimbi, ragazzi e genitori a trovare la loro, propria, ricetta. Cominciando a guardare cosa i dislessici sanno fare bene e dimenticandosi per un attimo le difficoltà che incontrano in questa o quella materia!

Il tuo libro non è un manuale tecnico ma un racconto: come mai questo taglio?

Di teoria in questi anni ne ho letta tanta, ma, ogni volta, mi trovavo a pensare: ok, ma in pratica, che faccio? Questa difficoltà qui, questo dolore qui, come lo risolviamo? Cosa ci inventiamo per rimettere insieme l’autostima dei ragazzi che è andata in pezzi in classe? Le risposte, più che nei manuali, le abbiamo trovate “sbirciando” in casa nostra. Guardandoci dall’esterno, provando a trattare il giudizio, la rabbia, la fretta, il nervoso che tante volte ti prende osservando tuo figlio che magari fatica a svolgere un compito relativamente semplice o che impiega un secolo a preparare la cartella o la borsa del basket e trovando un ritmo diverso, tutto nostro. Siamo andati avanti, e tuttora procediamo, per tentativi. A volte guidando i nostri figli, a volte facendo un passo indietro e lasciandoci stupire da loro. Tentativi che, fin dall’inizio, abbiamo provato a condividere con gli specialisti che seguono i nostri figli nella terapia, con gli amici più stretti, i parenti, i genitori di altri bambini e ragazzi dislessici scambiandoci dritte, esperienze. Racconti, appunto, delle strategie che ogni giorno ci inventiamo per sostenere i nostri figli e per stare bene in famiglia. 

Cosa vuol dire essere diversi per i bambini, in un mondo che fa dell’omologazione una punto di forza?

Soffrire. Da subito abbiamo raccontato ai nostri figli le storie di persone dislessiche che, proprio il fatto di ragionare in maniera diversa dagli altri, hanno fatto scoperte importantissime per l’umanità o creato grandi opere d’arte, da Einstein a Picasso, per stimolarli ad avere fiducia in loro stessi, a non vergognarsi. La risposta era sempre quella: non mi importa, preferisco essere come tutti i miei compagni. Come dargli torto? Molte volte l’abbiamo pensato anche noi genitori: quanto sarebbe più semplice se non avessero queste difficoltà a scuola che poi esondando anche nelle relazioni con gli altri! Il guaio, con la dislessia, è che ti senti sempre un po’ meno capace degli altri. Noi abbiamo cercato di rispondere a questo senso di inferiorità insegnando ai nostri figli a riconoscere e a usare la creatività e l’immaginazione – che della dislessia sono un po’ l’altra faccia della medaglia – per dimostrare, a loro stessi e agli altri, di essere bravi. Abbiamo il salotto di casa pieno di quadri fatti dal nostro figlio maggiore che ha la passione del disegno, e in particolare del fumetto. Un hobby che incoraggiamo, attraverso cui ha scoperto di essere bravo a tradurre caratteri, situazioni ed emozioni in personaggi, e che, col tempo, è diventato anche un po’ uno strumento di comunicazione in famiglia: i dislessici pensano per immagini invece che per suoni delle parole, così ci siamo adeguati, tante “ramanzine” che a volte i genitori fanno a voce in casa nostra diventano cartelli con dei disegni.

Qual è la cosa più difficile nel processo che porta all’accettazione (da parte di genitori e figli) della dislessia?

Forse ritarare aspettative, obiettivi, sogni che credo tutti abbiamo nei confronti dei figli e che i ragazzi hanno su se stessi. Non perché non si possano raggiungere, certo che si può!, ma trovando tempi, modi, strumenti e strade diverse. Jamie Oliver, il famoso chef inglese, dislessico, ha detto una frase che mi ha fatto molto riflettere, suona più o meno così: essere dislessici non significa che non potrai emergere, ma che non sarai bravo nelle solite cose. Ecco, l’accettazione parte da qui. E’ come quando percorri un sentiero di montagna sbarrato da una frana. Puoi tornare indietro rinunciando a raggiungere la tua meta o trovare un’altra strada, magari più lunga o più impervia, per arrivarci. Il nostro figlio maggiore, disgrafico, che oggi è in seconda media e che finora a scuola se l’è cavata senza usare ausilii con tanti esercizi per potenziare le sue abilità prassico-motorie, comincia a capire che per alcune materie sarebbe meglio iniziare ad usare il computer nei compiti a casa e a scuola. Non è un momento facile, è combattuto tra la paura di presentarsi in classe con un computer perché teme le prese in giro dei compagni e la voglia di raccontare nei temi tutto quello che ha dentro senza dover combattere con la scrittura. Insomma, l’accettazione è un processo continuo…

OXYGEN Il potere del respiro

Non sono le montagne da scalare che ti logorano, è il sassolino nella scarpa.

MUHAMMAD ALI

Il segreto per perdere peso, ritrovare forma fisica e salute si trova nell’aspetto più semplice ma più trascurato della nostra vita: il modo in cui respiriamo. Ecco, allora, qualche interessante informazione sul libro OXYGEN.

Da dove parte l’idea di questo libro? Il principio è molto semplice: chi abita ad alta quota tende a vivere più a lungo. La ragione esatta è ignota e potrebbe essere riconducibile a un insieme di fattori, ma una delle spiegazioni più plausibili è la minore pressione dell’ossigeno nell’aria di montagna.

Quindi troppo ossigeno può risultare dannoso, perché? La scienza dimostra che la riduzione dell’apporto calorico promuove la longevità, però esiste un’altra sostanza nutriente alla quale si pensa di rado: l’ossigeno. Come le calorie di troppo possono causare danni metabolici, così una quantità eccessiva di ossigeno può deteriorare prematuramente i tessuti producendo un eccesso di radicali liberi, molecole altamente reattive e distruttive che danneggiano i grassi nelle membrane cellulari, nelle proteine e nel DNA. I radicali liberi sono generati dal normale assorbimento dell’ossigeno durante il metabolismo. Tutti noi ne produciamo una certa quantità con l’atto stesso di respirare, e gli esercizi pensati per assicurare il giusto volume respiratorio sono una strategia efficace per mantenere l’ossigeno ai valori ottimali e quindi limitare i problemi causati dai radicali liberi.

Cosa si può fare? L’allenamento ad alta quota è una tattica impiegata da molti atleti di resistenza per creare un vantaggio competitivo. È un modo per sfruttare le risorse naturali del corpo, esponendosi volontariamente a un ridotto apporto di ossigeno per un breve periodo di tempo. Si migliora così la capacità dell’organismo di trasportare l’ossigeno e si aumenta anche il volume massimo di ossigeno che si può consumare, un parametro detto VO2max.

E per chi non abita in alta quota? Chi abita ad altitudini di poco superiori al livello del mare non può sfruttare questa risorsa. Esistono però alcune strategie che permettono di ottenere i vantaggi della vita ad alta quota attraverso la riduzione dell’apporto di ossigeno: respirare con la bocca chiusa e svolgere gli esercizi presentati in questo libro. Quelli più intensi sono particolarmente impegnativi a causa della fame d’aria che provocano, ed è proprio in quei momenti che si ottengono i maggiori benefici. 

Nostalgia per l’antica natura selvaggia

E corrono ancora“, ispirato da Donne che corrono coi lupi di Clarissa PInkola Estés, è un libro che in dieci capitoli percorre un possibile itinerario di vita femminile. Dalle situazioni di grande difficoltà, nelle quali dobbiamo, con coraggio, saltare le trappole, all’infanzia, vissuta dalle bambine o ricordata dalle adulte, fino alla adolescenza lucente e ombrosa. E poi la maternità, con le sue gioie e le sue difficoltà, il rapporto nutriente con le amiche, quello con gli oggetti di consumo e con gli alimenti – croce e delizia di molte.Il rapporto con l’amore e con l’erotismo, e la sua faccia oscura o persino deturpata, nelle infauste relazioni con orchi e Barbablù. E infine il ritorno a se stesse, la forza di un progetto tutto nostro irradiante luminosità e calore.

Nel libro c’è tutto questo, insieme a testimonianze di bambine, di adolescenti e di adulte. Insieme a molte proposte di attività espressive, da fare da sole, con amiche o in gruppi di auto aiuto. Per tirare fuori, ed elaborare, tante cose importanti di noi tutte. Per conoscerci meglio e scoprire quanta bellezza e speranza abbiamo dentro. Allora vi e mi auguro di tenere sempre in mano il filo dell’aquilone, ovvero la testimonianza visibile e vibrante di quella bellezza e di quella speranza.

Mi e vi auguro di tenere il filo stretto nel palmo della mano concedendo all’aquilone le altezze del cielo. Di avere la testa fra le nuvole, ma i piedi ben piantati per terra. Stare tra cielo e terra è un’apparente contraddizione, ma per noi sarà possibile. La lupa sa essere insieme selvaggia e amorevole, solitaria e compagna di altre, protettiva e fiera. Mi e vi auguro di mediare gli opposti, di unire poli lontani, di coltivare nel vostro giardino fiori profumati e ortaggi nutrienti. Possiamo riuscirci: siamo tessitrici dell’ impossibile.

(Tiziana Luciani)

Passenger di Alexandra Bracken

Alexandra Bracken è una delle autrici YA più acclamate di America e l’ultima classifica del New York Times lo conferma! Con i due volumi della serie Passenger, la Bracken è infatti riuscita a conquistare la classifica YA hardcover, ebook e paperback. I

Il primo volume di Passenger arriverà in Italia a marzo e il secondo ad aprile.

Autostima e riconoscimento di identità e bisogni

Come si fa a stabilire quanta stima abbiamo di noi stessi?

Alcuni degli elementi che ci permettono di capirlo sono: l’essere soddisfatti di sé, l’attribuire la giusta importanza alle proprie idee e ai propri progetti, il fidarsi delle proprie capacità di realizzarli e il non temere di assumersi ruoli di responsabilità per farlo.

Su cosa si basa la stima di sé? Tra i tanti fattori che la compongono e la modulano vi è senz’altro la capacità di riconoscere, rispettare e permettersi di soddisfare le proprie esigenze. Più una persona ha confidenza con queste istanze, più equilibrato e armonioso è il rapporto che ha con se stessa e di conseguenza il valore che si attribuisce e la capacità di contare su di sé. Quest’ultima è poi fondamentale anche per riuscire ad aiutare gli altri. Viceversa, un atteggiamento troppo dipendente, ansioso, pauroso o passivo è senz’altro indice di un difetto nella valutazione delle proprie energie, capacità e qualità. Attenzione: anche un’apparente eccessiva stima di sé può nascondere proprio il contrario, ma ce ne accorgiamo dall’atteggiamento troppo rigido, duro, aggressivo, arrogante o testardo della persona che ne è affetta.

Come e quando nasce la stima di noi stessi? La costruzione dell’autostima va di pari passo con quella della nostra immagine interiore e si forma già dalla più tenera età, ma si va poi modulando nel corso dell’infanzia, dell’adolescenza e della vita adulta a seconda delle esperienze che facciamo e, soprattutto, del senso che assegniamo loro. Un momento cruciale per la determinazione di quanto valore e fiducia riusciremo ad attribuire a noi stessi è senz’altro l’infanzia. Durante quel periodo siamo totalmente dipendenti, per la soddisfazione delle nostre esigenze, dalla capacità delle persone di riferimento di individuarle e di occuparsene in modo appropriato ed esaustivo. Più forte e chiaro ci arriva il messaggio che i nostri bisogni e la nostra individualità vengono riconosciuti, rispettati e soddisfatti, più diventiamo fiduciosi del fatto che questo sia possibile e, man mano che acquisiamo autonomia e cominciamo a fare tutto questo da soli, questa esperienza positiva ci ritorna, appunto, sotto forma di capacità di darci valore e di fare affidamento sulle nostre capacità. Se qualcosa va storto in questo lungo e delicato processo, se, quindi, non sentiamo pienamente riconosciuta e rispettata la nostra identità, la nostra individualità (cioè il nostro essere specifici e speciali), i nostri bisogni di amore e accudimento incondizionato e di protezione, possiamo formare dentro di noi l’immagine di una persona trascurata e trascurabile, inadeguata, non all’altezza delle aspettative e quindi non particolarmente stimabile. Non solo la famiglia, ovviamente, ma anche gli altri ambienti importanti per la nostra formazione. Per esempio la scuola, o le amicizie, possono contribuire a bilanciare o viceversa ad affossare la stima di se stessi. 

A seconda del tipo di personalità a cui capita di non sentire riconosciute e rispettate le proprie istanze profonde e i bisogni primari, poi, potremo avere come effetto finale un atteggiamento passivo e vulnerabile oppure, al contrario, insofferente, rigido e persino arrogante, o persino un’alternanza di entrambi, a seconda delle circostanze.

La ricostruzione dell’autostima.

Si può recuperare la stima di sé, anche se le ragioni della sua scarsità o precarietà sono così lontane nel tempo? Per fortuna, assolutamente sì. Non sempre è un percorso lineare o privo di ostacoli, ma è quasi sempre possibile risanare alla base quanto abbiamo vissuto e interpretato a nostro sfavore. Molte sono le strade oggi disponibili per giungere a questo risultato. Ci si può per esempio allenare a immaginare, costruire interiormente e poi esprimere reazioni e comportamenti diversi da quelli abituali, frutto dell’atteggiamento auto-svalutante. Nel tempo, questa sorta di auto-imposizione può aumentare la consapevolezza e la gestione delle proprie reazioni disfunzionali, che verranno sempre più spesso contraddette e poi messe in ombra dal comportamento volontario e programmato e dai risultati che questo ci farà ottenere. Così facendo, si può man mano rigenerare anche l’auto-immagine che è alla radice dei comportamenti stessi.

Tutto questo richiede ovviamente, soprattutto nelle fasi iniziali, un certo sforzo per contraddire nei fatti e nell’atteggiamento esteriore il sentimento interiore, all’inizio non ancora coerente con la nuova immagine di noi stessi che vogliamo ricostruire. Per uscire dalla bassa stima di sé, insomma, una delle strade più battute è quella di usare tecniche e sistemi idonei a farci assumere il comportamento e la personalità di un soggetto dotato di una buona stima di se stesso, finché quest’atteggiamento non diverrà a sua volta un comportamento abituale.

Una strada piuttosto diversa è quella proposta dal metodo FastReset. In questo caso, la ricostruzione della stima di sé avviene cercando di risanare le stesse sensazioni ed emozioni che hanno originato la vecchia e inadeguata immagine di sé stessi, riaggiornandola in modo del tutto spontaneo, senza imposizioni o forzature (vedi anche Liberarsi delle convinzioni limitanti). Questa procedura è attuata in tempi piuttosto rapidi ed è in genere del tutto soddisfacente. Non si tratta di illudersi di non aver vissuto manchevolezze o trascuratezze ma della possibilità, che ci è per nostra natura accessibile, di dare spontaneamente un altro significato a quanto abbiamo vissuto e, quindi, un altro valore a noi stessi. Si permette inizialmente al soggetto in trattamento di esprimere i propri sentimenti riguardo all’origine delle sensazioni negative verso se stesso, passando in genere in pochi minuti dal dolore o dalla rabbia per quanto non ci è stato dato o ci è stato tolto anzitempo alla piena consapevolezza della propria reale forza e capacità. Così, possiamo recuperare e riportare in primo piano le nostre capacità latenti (ma ovviamente sempre presenti) di centratura, autonomia, responsabilità e valore.

Perché il CINESE?

Abbiamo fatto qualche domanda a MASSIMO DE DONNO, LUCA LORENZONI e GIACOMO NAVONE a proposito del loro nuovo libro CINESE IN 21 GIORNI. Le risposte sono davvero molto esaustive e vi consigliamo di leggerle attentamente.

1) Perché studiare cinese?

Un semplice ma importante motivo è che al giorno d’oggi oltre 1,5 miliardi di persone ne parlano una qualche forma. Sicuramente un buon motivo per avvicinarci a questa lingua straordinaria. Un’altra ragione impellente? Viviamo nell’era della connessione, della globalizzazione, e più della metà del mondo parla cinese: è la lingua più usata nel commercio. Vuoi essere competitivo nel mondo del lavoro? Parlare cinese ti permetterà di stringere ottimi rapporti commerciali con imprenditori cinesi. Non sei un imprenditore? Potrai comunque offrire la tua competenza linguistica a chiunque ne abbia bisogno e in qualunque campo.

La Cina, in effetti, dati i suoi numerosissimi abitanti, ha svariati bisogni che il mondo occidentale può soddisfare, dai più basilari (alimentazione), ai più evoluti: arte, arredamento, abbigliamento di lusso, per citarne solo alcuni. Inoltre, in qualunque nazione viviamo o decidiamo di trasferirci, esistono le “China Town”: un fenomeno legato all’immigrazione di persone di nazionalità cinese che, in cerca di una vita migliore, creano attività commerciali ovunque si trasferiscano. Si crea così l’opportunità di utilizzare la lingua per viaggiare, per ordinare un piatto tipico, per l’educazione e nelle relazioni in generale. A tal proposito, negli anni passati a contatto con il popolo, la cultura e la lingua cinese, ho avuto il privilegio di conoscere centinaia di cinesi: in molti ho riscontrato un marcato senso della famiglia, una non comune dedizione al lavoro, tanta voglia di crescere e di apprendere.  La passione per la lingua mi ha avvicinata alle persone di questo paese, tra le quali annovero alcuni fra i miei più cari amici. 
Un altro ambito dove è richiesta la conoscenza della lingua cinese è quello scolastico. I figli dei cinesi che vivono in Italia crescono e studiano nelle nostre scuole e spesso i genitori lavorano tutto il giorno e non parlano bene l’italiano: i giovani si ritrovano così catapultati in un paese di cui non conoscono lingua e abitudini. A volte vengono inseriti in classi speciali; hanno bisogno di assistenza graduale e questa responsabilità e il compito di inserire i nuovi venuti ed integrarli nel sistema educativo italiano ricade soprattutto sugli insegnanti. In realtà, anche le necessità quotidiane di questi nuovi “utenti” diventano un motivo valido per sapere qualche parola di cinese. Per esempio, ho conosciuto idraulici, elettricisti e falegnami che, dovendo offrire i loro servizi e i loro prodotti a privati e piccole imprese, desideravano sinceramente imparare qualche frase utile alla loro attività. In ultima analisi studiare cinese sicuramente arricchisce chi lo fa.

2) Qual è la cosa più difficile per un italiano che studia la lingua cinese?

Innanzitutto, smettere di pensare che “è difficile”, smettere di cercare un perché per ogni differenza rispetto all’Italiano. Inoltre, studiare cinese per chi conosce altre lingue paradossalmente sembrerebbe più facile, invece a volte viene percepito molto più difficile della media perché segue degli schemi sui generis. Qui è interessante un pensiero di Einstein: “Non puoi ottenere risultati diversi facendo sempre le stesse cose”. Infatti chi ha già un metodo di studio che ha dato risultati è convinto che sia il migliore e non sempre è disposto a cambiare i propri schemi mentali per recepire nuove informazioni. Occorre sperimentare approcci differenti a quelli a noi familiari. Superata la barriera del proprio background, una persona di lingua italiana può iniziare a studiare davvero con profitto, imparando anche la fonetica e l’ordine dei tratti che compongono i caratteri cinesi.

Quanto a toni e regole di pronuncia, occorre usare gli organi fonatori in maniera differente dalla nostra: si tratta di sapere come fare e di esercizio. Un aspetto degno di nota è che la persona che parla e ascolta il cinese mandarino attiva diverse aree del cervello. La psicologa Sophie Scott e i suoi collaboratori a Londra e a Oxford hanno rilevato con tomografie cerebrali quali aree del cervello si attivano in relazione al linguaggio. Già alcuni anni fa il giornale “The Guardian” riportava queste informazioni: “i ricercatori hanno scoperto che nelle persone di lingua inglese che sentono parlare inglese si attiva il lobo temporale sinistro. Invece, “quando persone che parlano cinese mandarino ascoltano la propria lingua, si attivano sia il lobo temporale destro che quello sinistro”. Perché? “Si ritiene in genere che il lobo temporale sinistro riconosca le parole a partire dai suoni che le compongono, mentre quello destro elabori melodia e intonazione”, spiega il giornale. “In mandarino cambiando il tono cambia il significato della parola” Per esempio la sillaba ‘ma’ può significare ‘madre’, ‘canapa’, ‘cavallo’ o ‘insultare’, quando varia il tono varia anche il significato. La Scott osservava: “Riteniamo che chi parla mandarino interpreti l’intonazione e la melodia nel lobo temporale destro per dare il corretto significato alle parole che vengono pronunciate”.

Anche per la scrittura, dopo aver appreso i criteri di base con le tecniche di memorizzazione, con un po’ di pratica tutto diventa facile. Alla fine, è solo una lingua diversa. Di solito sorge spontanea una domanda: qual è la parte più semplice di questa lingua? Ogni carattere corrisponde in genere a una parola di senso compiuto, ed è invariabile: i caratteri cioè non si modificano in base al genere maschile o femminile, o in base al numero, plurale o singolare. Inoltre, i verbi non si coniugano e le differenze temporali (presente, passato e futuro) si formano utilizzando pochissimi avverbi e particelle. Insomma, le regole di grammatica del cinese base sono semplicissime: per un italiano abituato fin dalle classi elementari a studiare molte regole grammaticali, è un vero sollievo. Anche i concetti espressi dai caratteri sono estremamente semplici. Ad esempio, una volta stavo parlando del Vesuvio con una madrelingua che era stata a Napoli, volevo chiedere se avesse visto l’imponente montagna, ma non sapevo come si dicesse la parola vulcano. In quel momento pensai: “Come posso farmi capire?” Decisi di unire due vocaboli “fuoco” e “montagna”, per scoprire poi che in realtà si diceva davvero così! «火山» «Huǒshān».

3) Qual è il fattore vincente di questo metodo?

Le tecniche di memoria sono meravigliose perché sfruttano le caratteristiche naturali di cui ogni essere umano è dotato. In meno di un mese, modificando le nostre abitudini, possiamo acquisire un metodo che rivoluziona i cicli classici di apprendimento di una lingua. Come minimo si dimezzano i tempi. Infine, tutto dipende dai propri obiettivi.

Il libro “Cinese in 21 giorni” si prefigge soprattutto di facilitare il percorso di chi vuole comunicare in modo semplice e in poco tempo. Anche imparare la scrittura diventa più semplice, seguendo un procedimento preciso. Per ogni carattere, una volta appreso l’ordine in cui si scrivono i tratti, la parte più semplice del carattere cinese, basterà seguire alcuni passaggi e sarà possibile memorizzare i radicali (parti del carattere che ci aiutano a riconoscerlo). In tutto sono 214, non tantissimi, e con il metodo “Genio in 21 giorni” si possono memorizzare in metà del tempo. Di solito si trovano all’interno del carattere stesso, a sinistra o nella parte superiore, e addirittura, se usati singolarmente, molti di questi hanno un loro significato. Sei un po’ curioso? Come diceva Hegel (per incoraggiare i lettori a avvicinarsi allo studio del suo sistema filosofico), “per imparare a nuotare, bisogna entrare in acqua.”

E qui il sito che vi aiuterà fornendovi sostegno e supporto nello studio del cinese www.cinesein21giorni.it

Dieta: il giro di boa dell’anno nuovo!

Il giro di boa dell’anno nuovo risveglia in molti il desiderio di cambiare la propria alimentazione. Il motivo per cui si decide di mettersi in gioco non è sempre lo stesso: c’è chi lo fa perché vuole sentirsi più in forma e pensa di cominciare proprio dal cibo per stare meglio; c’è chi ha deciso di volersi più bene ed è convinto che cambiare le proprie abitudini alimentari può fare la differenza; c’è chi è sicuro di non mangiare come si deve e vuole imparare a fare meglio; e poi c’è chi vuole dimagrire.

Secondo la mia esperienza professionale, è quest’ultimo il gruppo pù numeroso che sente la necessità di fare una “dieta” per raggiungere il suo obiettivo. Si pone allora il problema: quale dieta? In effetti in questo campo il panorama è talmente ampio da imbarazzare un profano. Si va dalle proposte più fantasiose (del minestrone, del fantino, del ghiaccio, ecc.) a quelle più classiche (ipocaloriche, Zona, Dukan, Atkins, ecc.) e per un “non addetto ai lavori ” non è facile dirimere la questione. Fermo restando che il problema merita un approccio molto serio e lungimirante, è ovvio che per me la migliore soluzione sia la Zona perché propone un programma davvero vincente, non solo per il dimagrimento, anche per la salute. Comunque è giusto lasciare al libero arbitrio la scelta che però deve cercare di scongiurare i rischi più seri. Ecco allora qualche consiglio:

  • Evitare di assumere farmaci, anche se apparentemente innocui e “naturali”. La loro interferenza con i meccanismi biologici può essere controproducente e persino deludere le aspettative. Senza contare che possono davvero danneggiare la salute.
  • Rifuggire il digiuno. Saltare i pasti in modo ricorrente può far diminuire più il peso che la massa grassa. Si perdono infatti anche i muscoli con il risultato di riprendere peso non appena ci si rimette a mangiare. E prima o poi, succede. Ma non finisce qui perché il digiuno diminuisce il metabolismo e aumenta perciò il rischio di ingrassare nuovamente.
  • Essere molto critici verso le iperproteiche che consentono una perdita di peso in tempi ridotti, ma non risolvono il problema. Oltre al fatto di non poterle seguire per più di un paio di settimane, se si vuole salvaguardare la salute. Sui muscoli, poi, presentano gli stessi effetti del digiuno e inoltre predispongono le cellule adipose ad essere fino a dieci volte più recettive, cosicché una volte smessa la dieta, si ingrassa più di prima.
  • Attenzione alle generiche ipocaloriche che funzionano solo se si è molto giovani perché dopo una certa età non sono più efficaci. Queste diete non agiscono direttamente sui reali motivi biologici per cui si ingrassa, ma li intersecano casualmente cosicché richiedono più sacrifici di quelli realmente necessari per ottenere lo stesso risultato raggiungibile finché la tendenza a ingrassare non peggiora con gli anni. Se impostate male, possono perfino diminuire anche loro la massa muscolare con le conseguenze ben conosciute.
  • A mio avviso, la scelta migliore dovrebbe innanzitutto proteggere la salute e non richiedere troppi sacrifici, oltre a garantire una serena vita sociale in cui sapersi destreggiare tra le varie situazioni e, perché no, le tentazioni da soddisfare ogni tanto. Impegnarsi a capofitto in un progetto per raggiungere velocemente il peso desiderato, può costare molto caro e soprattutto non insegna come mantenere il risultato.
  • Molto meglio sarebbe accettare che l’organismo dimagrisca secondo un ritmo naturale (più o meno mezzo chilo alla settimana) con un metodo che prima di tutto educhi alla sana e corretta alimentazione e contemporaneamente faccia dimagrire. Poi basterà seguire blandamente quanto imparato per non avere mai più bisogno di fare diete.

Philippa Gregory: il bello di leggere la storia…

Il bello della Storia.

Leggere Philippa Gregory è un grande piacere, secondo noi per due ragioni, due ragioni principali, almeno. La prima è che l’autrice inglese, premiatissima dalla critica (l’anno scorso ha vinto anche l’Outstanding Contribution to Historical Fiction Award) e adorata dal pubblico è una storica appassionata. Laureata in Storia all’università del Sussex e poi specializzata in letteratura del Settecento a Edimburgo, la Gregory si è lasciata affascinare dalle vicende dei Tudor approfondendo temi, personaggi, storie con le sue serie ricerche e ricostruendo la vita di corte (comprese regine e cortigiane) in modo verosimile e vivacissimo.

La seconda è che la nostra Philippa Gregory è una narratrice curiosa e molto coinvolgente, che non racconta solo i grandi personaggi storici ma anzi ci fa entrare nel mondo dei sovrani inglesi come avrebbe fatto un giornalista di oggi quando racconta le vicissitudini dei reali d’Inghilterra. Leggere un suo romanzo su Enrico VIII diventa tanto vero quanto parlare di chi succederà al trono di Elisabetta II (in un lontanissimo futuro, la adoriamo), in una cronaca ricca di intrighi, tradimenti, relazioni di affetto (poche e spesso sfortunate) e di interesse (molte, e sovente altrettanto sfortunate).

Per continuare a leggere il bello della Storia, quel lato a volte trascurato ma fondamentale che è la brulicante vita di tutti i giorni, il 2017 vedrà la traduzione italiana del The King’s Curse, continuazione e ultimo capitolo della serie della Guerra dei cugini interrotta con Una principessa per due re (interrotta, dicevamo, dalla miniserie su John Tradescant, da non perdere). Visto che riprendiamo da qui, ci fa piacere fare un breve riassunto delle puntate precedenti:

La serie della Guerra dei Cugini:

La regina della Rosa Bianca – The White Queen

La regina della Rosa Rossa – The Red Queen

La signora dei fiumi – The Lady of the Rivers

La futura regina – The Kingmaker’s Daughter

Una principessa per due re – The White Princess

La serie dei Tudor:

L’altra donna del re – The other Boleyn Girl

L’amante della regina vergine- The Virgin’s Lover

Il giullare della regina – The queen’s fool

L’eredità della regina – The Boleyn Inheritance

Caterina la prima moglie – The constant princess

L’altra regina – The other Queen

Che continuerà più avanti, nella serie dei Plantageneti e Tudor, nella quale confluiscono e si uniscono le due serie che abbiamo elencato qui sopra.

To be continued… 

La Dieta FODMAP di Cinzia Cuneo: ecco i cibi “pancia piatta”

La Dieta FodMap di Cinzia Cuneo è la nuova dieta bestseller: già 200.000 persone la seguono con successo, perché attraverso i cibi giusti (quelli “pancia piatta”) sono riuscite a eliminare gonfiore, crampi e intestino irritabile.

Nella prefazione del libro, a cura del Prof. Silvio Danese, gastroenterologo, si legge: “L’intestino è spesso definito il nostro secondo cervello, e a me piace ricordare ai miei pazienti che la parola detta lentamente, «in-testino», in effetti ricorda una piccola testa che risiede dentro la pancia!”.

La sindrome dell’intestino irritabile (SII), detta anche sindrome del colon irritabile o colite spastica, porta crampi intestinali, dei gonfiori, la diarrea o delle flatulenze. Per chi ne soffre si tratta di un problema che interferisce con la vita quotidiana, le relazioni sociali e i rapporti affettivi, generando non solo sofferenza fisica, ma anche emotiva. 

Si stima che all’incirca una persona su sette sia affetta da questa sindrome… Chi soffre di simili disturbi intuisce un collegamento tra quello che ha mangiato e i suoi sintomi, ma la relazione non è sempre così ovvia. Alcuni decidono di bandire determinati alimenti perché la dieta di moda al momento suggerisce di farlo. 

Negli ultimi anni, per esempio, il glutine e i prodotti caseari sono stati spesso indicati come i responsabili di diversi problemi, tra cui dolori e gonfiori addominali piuttosto fastidiosi. In effetti consumando meno pane, pasta e prodotti caseari molte persone si sentono tendenzialmente meglio e meno gonfie. Tale miglioramento però non è attribuibile all’eliminazione del glutine e dei derivati del latte ma, piuttosto, all’eliminazione dei FODMAP contenuti anch’essi nel grano e nel latte. 

L’acronimo è formato dai termini inglesi Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols (oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi fermentabili e polioli) che indicano alcuni zuccheri semplici e molecole simili a essi che vengono fermentati dai batteri intestinali. 

La prima parte del libro vi fornirà le basi per comprendere la logica di un’alimentazione a basso contenuto di FODMAP e il suo processo applicativo. Nella seconda parte verranno proposti menu e ricette che vi consentiranno di metterla in pratica. Infine, potrete trovare sul sito www.soscuisine.it dei menu completi a basso contenuto di FODMAP, personalizzati a seconda delle vostre intolleranze, e aggiornati ogni settimana. Le ricette sono disponibili con le dosi per diverse porzioni. 

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