Brevi riflessioni di fisica quantistica: Questa “assurda” natura

Bisogna concluderne che la fisica, scienza profondamente esatta, è ridotta a calcolare la sola probabilità di un evento, invece di prevedere che cosa accade in ciascun caso singolo? Ebbene, sì. È un ripiegamento, ma le cose stanno proprio così: la Natura ci permette di calcolare soltanto delle probabilità.”

Richard Phillips Feynman è stato uno dei più importanti ed eccentrici fisici del Novecento. Amava definirsi “Nobelist Physicist, teacher, storyteller, bongo player” – cioè: Fisico premio Nobel, insegnante, cantastorie, suonatore di bongo – e alcune sue definizioni sono riuscite a uscire dagli angusti confini degli ambiti scientifici e ad arrivare alla cultura di massa. Una di queste è: la Natura è assurda.

Feynman espresse questa sua personale opinione nel volume “QED – La strana teoria della luce e della materia” del 1985. I motivi, a suo dire, sono molti. Il primo e fondamentale, è quello riportato nella citazione iniziale: la Natura, a livello quantistico, non ci permette più di predire esattamente quello che succederà ma ci consente solamente di calcolare la probabilità con cui potrebbe accadere. Si tratta di una rivoluzione epocale del pensiero; e non sono solo di quello fisico. Prendere atto che la Natura è assurda e che alcuni suoi comportamenti appaiano incredibili o inaccettabili, ci permette di confrontarci con le sue logiche senza avere la presunzione di riuscire sempre a comprenderle.

Fabio Fracas

LE VENTI GIORNATE DI TORINO di Giorgio De Maria

GIORGIO DE MARIA

LE VENTI GIORNATE DI TORINO

INCHIESTA DI FINE SECOLO

CON UNA POSTFAZIONE DI GIOVANNI ARDUINO

dal 19 settembre 2017

 Le venti giornate di Torino erano iniziate il 3 luglio di dieci anni prima: la siccità, l’insonnia collettiva, i cittadini che vagavano come fantasmi per le strade del centro storico, le grida misteriose, le statue che sembravano aver preso vita, la misteriosa e orribile catena di omicidi.
Poi, dopo venti giorni, tutto era finito, all’improvviso, come era cominciato. E nessuno aveva più voluto parlare di quella storia.

Oggi, passati appunto dieci anni, un anonimo investigatore dilettante decide di indagare per scrivere un libro su quella vicenda. Perché l’insonnia di massa? E chi erano, e da dove venivano, le mostruose figure di cui troppe testimonianze raccontano? E soprattutto, che nesso c’era tra quanto accadde e la biblioteca che era stata aperta presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza? Una biblioteca assai strana, dove non si trovavano i testi pubblicati dagli editori, ma scritti di privati cittadini, che rivelavano i loro pensieri più intimi e profondi, molto spesso terribili, e li mettevano in condivisione con altri cittadini come loro.
Non passerà molto prima che il protagonista si renda conto che quella orribile stagione si è conclusa solo in apparenza, e che le forze oscure che avevano scatenato quegli orribili giorni di violenza cieca sono ancora presenti e vigili.

Un romanzo inquietante, profetico in modo inspiegabile, principale opera di un autore ingiustamente dimenticato.
Pubblicato la prima volta nel 1977, Le venti giornate di Torino fu sostanzialmente ignorato: torna dopo quarant’anni, come se avesse voluto aspettare il momento giusto.

Giorgio De Maria è nato nel 1924 a Torino. È stato critico teatrale per “L’Unità” torinese dal 1958 al 1965. Nel 1958 ha fatto parte con Liberovici, Straniero, Calvino, Fortini e Amodei del gruppo “Cantacronache” per il rinnovamento della canzone italiana. Ha pubblicato, tra l’altro, Le canzoni della cattiva coscienza (1964, in collaborazione con Eco, Straniero, Liberovici e Jona); i romanzi I trasgressionisti (1968), I dorsi dei bufali (1973), La morte segreta di Josif Giugasvili (1976). Le venti giornate di Torino fu pubblicato nel 1977. Dopo di che Giorgio De Maria non ha più pubblicato nulla, ed è morto nel 2009.

Brevi riflessioni di fisica quantistica: Di cosa parliamo quando parliamo di fisica quantistica

Di cosa parliamo quando parliamo di fisica quantistica

“I fisici insegnano di routine che i mattoni della natura sono particelle discrete come l’elettrone o i quark. Questa è una bugia. Gli elementi costitutivi delle nostre teorie non sono particelle ma campi: oggetti continui simili a fluidi sparsi in tutto lo spazio.”

Questa frase è stata pronunciata dal fisico teorico americano David Tong dell’Università di Cambridge. Tong è stato vincitore, nel 2008, del prestigioso “Adam Prize” per la ricerca in matematica. Eppure, quello che dice non è sempre, necessariamente, una verità.

Anche se proviene da una fonte illustre e competente, infatti, l’affermazione di Tong testimonia unicamente il suo pensiero sulla fisica quantistica. Anzi, come sottolineava Victor J. Stenger: “Questo punto di vista è esplicitamente filosofico, e accettarlo acriticamente è un cattivo modo di pensare filosoficamente”.

Stenger, scomparso nel 2014, era un fisico particellare e contemporaneamente, un filosofo. Probabilmente, la persona più indicata per riuscire a cogliere dietro alla parvenza di una definizione scientifica, la sua natura profondamente filosofica. Fisica e filosofia, negli ultimi centocinquant’anni, hanno vissuto rapporti altalenanti: molto spesso il confine fra loro si è fatto talmente sottile da non essere più percepibile. Talmente sottile da raggiungere dimensioni quantistiche.

​Fabio Fracas

IT la nuova edizione del capolavoro di Stephen King

Cari tutti, due parole sulla nuova edizione di It, quella rivista e aggiornata in libreria dal 27 giugno, per precisare un paio di cose importanti sul lavoro che abbiamo fatto sul testo.

Prima di tutto, la traduzione rimane quella storica di Tullio Dobner del 1987, che compie quindi esattamente trent’anni. Abbiamo attribuito a questa ricorrenza anche un valore di classicità e quindi siamo intervenuti su quel testo per eliminare i refusi (errori tipografici, sviste, errori ortografici) e gli eventuali errori di traduzione che rendevano poco chiari alcuni passaggi.

Siamo poi intervenuti sull’adattamento ai nostri giorni di tutti quei casi che erano rimasti sospesi: come titoli di libri in originale che poi sono stati tradotti (per citarne qualcuno, la serie Libri di sangue di Clive Barker, la favola I tre capretti furbetti) o titoli di serie televisive (Il fuggitivo che all’epoca era stato tradotto come Il fuggiasco).

Per chi l’ha chiesto, quindi, questa non è una nuova traduzione. Si tratta della versione precedente, ma riveduta e corretta nelle modalità appena spiegate e, in più, confezionata in un formato rilegato, con la bella copertina mutuata dalla locandina del film, che uscirà in autunno. È una proposta che ci è sembrato utile farvi per l’estate, coi suoi tempi lunghi adatti a un libro che si fa leggere tutto di seguito, e in buon anticipo rispetto all’uscita del film, per non avere l’acqua alla gola. Oltre a essere, per molti, il più bel romanzo di King, IT è anche un bel libro da tenere tra le mani. Noi ce lo riportiamo in vacanza.

Brevi riflessioni di fisica quantistica: Conoscere per conoscersi

Conoscere per conoscersi

“Oggi, mentre l’ampliamento della conoscenza e delle capacità tecniche lega sempre più i popoli a un unico destino, la collaborazione scientifica universale ha compiti notevolissimi, che possono venire facilitati dalla conoscenza delle condizioni generali che stanno alla base dell’umano sapere.”

Potrebbero sembrare parole pronunciate da un intellettuale contemporaneo o inserite in un programma divulgativo sulle nuove tecnologie. Non è così: questa è la frase che chiude il saggio di Niels Bohr dal titolo “Atomi e conoscenza”. Un saggio pubblicato nel lontano 1955!

Spesse volte si tende a considerare la fisica – e la fisica quantistica, in particolare – come una specifica branca del sapere, trascurando il fatto che la natura permea tutto ciò che ci circonda e tutto ciò che noi siamo. Ci dimentichiamo, in sostanza, che la parola stessa “natura”, in greco, si scrive proprio τὰ ϕυσικά: “fisica”. Quindi, chi si occupa di fisica e chi legge di fisica, si sta confrontando con la natura e con le sue meraviglie. Non solo: chi si occupa di fisica e chi legge di fisica, contribuisce alla creazione di un sapere universale! Solo condividendo le nostre conoscenze e collaborando concretamente gli uni con gli altri, potremo utilizzare nel modo migliore le nuove tecnologie per sostenere la ricerca scientifica nel suo fondamentale compito: aiutarci a capire noi stessi e la nostra realtà. Anche quella quotidiana!

Fabio Fracas

Oroscopo dello scrittore – Luglio 2017

Oroscopo dello scrittore.  LUGLIO

Lo scrittore dell’Ariete godrà di un Mercurio amico, la vostra vera risposta a chi, da voi, si aspetta qualcosa di più, qualcosa di brillante e divertente. Ironia e coraggio non vi mancheranno.

Lo scrittore del Toro per quasi tutto il mese farà i conti con un Mercurio complicato, energia della mente (e della scrittura) spesso troppo pigra per concedervi grandi risultati. Tempo di vacanza.              

Lo scrittore dei Gemelli saprà raccogliere idee e spunti, intorno a sé, per poi confezionarli in modo fluido e leggero. Né vi mancherà una forte empatia con il pubblico, qualcosa che promette risultati interessanti.       

Lo scrittore del Cancro si comporterà in modo pratico, raccontando cose che abbiano un senso, un’utilità, uno scopo preciso. Sembrate insomma essere orientati verso una scrittura semplice ma efficace.                      

Lo scrittore del Leone godrà di un Mercurio che, per buona parte del mese, troneggerà nel segno. Vivrete soprattutto di idee, di concetti e di pensieri, ottima occasione per prepararvi a creare.                

Lo scrittore della Vergine dovrà provare ad accettare che vi siano mesi destinati al silenzio, alla pausa di riflessione. Provate a non avere mai premura, aspettando il 24, quando Mercurio vi aiuterà a dire meglio.      

Lo scrittore della Bilancia amerà scrivere d’impulso, quasi liberando parole e pensieri che vivevano come prigionieri di uno strano presente. Però le parole sapranno sempre arrivare al cuore e alla mente dei lettori.         

Lo scrittore dello Scorpione farà i conti con la quadratura di Mercurio. Qualcosa che se, da una parte, rende importante e intenso il lavoro, per contro non vi aiuterà a dare sempre il meglio di voi stessi. Equilibrio.                         

Lo scrittore del Sagittario sarà invitato da un Mercurio amico a occuparsi solo e soltanto di cose importanti, che contano, che aiutano chi legge a crescere e a porsi domande cruciali. Volate alto.     

Lo scrittore del Capricorno ricomincerà a pensare seriamente al suo lavoro solo fino al giorno 5 e poi dopo il 24. Nel mezzo un periodo fatto di silenzio, di idee che non arrivano a destinazione. Tempo di vacanza.              

Lo scrittore dell’Acquario raccoglierà la sfida di Mercurio – in opposizione per quasi tutto il mese – imbattendosi in lavori e imprese davvero importanti, impegnative. Non siate troppo diretti dal giorno 20.           

Lo scrittore dei Pesci sarà probabilmente troppo distratto dall’allegra passione di Marte per poter anche concentrarsi sulla scrittura, sulla professione. Ma dal 24 avrà nuovamente voglia di raccontarsi.       

L’ultima estate di Diana

Scrive Antonio Caprarica: “in queste pagine non troverete né giudizi né pregiudizi sulla ‘principessa del popolo’. Vent’anni dopo, ho solo voluto raccontare l’ultima stagione di Diana: la sua ultima estate così come l’ha vissuta, tra delusioni e speranze, frivolezze e impegno, amore materno e passione di amante.”

Ecco alcuni dei punti salienti del libro L’ULTIMA ESTATE DI DIANA:

Vittima della celebrità 

Nel momento stesso in cui chiedeva di essere lasciata almeno un po’ in pace, Diana si rendeva ancora più appetibile: direttori e reporter adesso potevano non solo occuparsi della sua «persona reale» ma anche scatenare la caccia ai segreti della sua intimità.

Il balzo, in quel periodo, delle tariffe di mercato delle sue fotografie rappresenta un indicatore preciso dell’au­mentata aggressività della stampa. Dopo il «ritiro dalla vita pubblica», il prezzo dei suoi scatti aumentò del 25 per cento. Se la riprendevano che faceva la spesa, il servizio fotografico poteva fruttare fino a 2.000 sterline, ma se la «beccavano» in costume da bagno le sterline diventavano 10.000, coi diritti di pubblicazione per il solo Regno Uni­to. E nessun rotocalco rinunciava a un suo scatto «rubato» in copertina, che poteva valere fino al 10 per cento di copie in più.

Un matrimonio piuttosto affollato

Il fantasma di Camilla era sempre presente, e prepotente, soprattutto a Highgrove. E appena pochi giorni dopo quel felice settimo anniversario arrivò un’altra domenica di lacri­me. La racconta il bodyguard Ken Wharfe. Riaccompagnava a Londra la principessa alla fine del weekend quando, già a una mezz’oretta da Highgrove, lei saltò sul sedile: «Aspetti! Voglio tornare indietro». Wharfe fece una conversione a U e presto arrivarono all’imbocco del vialetto della casa di campagna: lì, parcheggiata in bella vista, c’era l’auto di Camilla, proprio come aveva sospettato la moglie tradita. Che nei giorni in cui il matrimonio si sbriciolava aveva già intrapreso a sua volta la via di sesso e bugie.

Guerra a corte

Tutto questo sciacquare in pubblico i panni sporchi aveva finito con l’esasperare la regina Elisabetta, e ancor più il marito Filippo. «Non ho mai messo in piazza le mie questioni personali e penso che neanche la regina lo abbia mai fatto», disse lui in un’in­tervista al Times il 17 ottobre 1994. Dieci giorni dopo, al ritorno da uno storico viag­gio in Russia, la coppia reale convocò a palazzo la nuora reproba. Il clima era gelido. Secondo la testimo­nianza diretta di un anonimo consigliere della principessa, il Filippo formato caserma si mostrava al suo meglio: «Se non tiri dritto, ragazza mia, ti togliamo il titolo». Ma la «ragazza mia» non era più la ventenne timida e ingenua ingaggiata come fattrice reale. «Il mio titolo, Filippo, è più antico del tuo», ribatté l’orgogliosa discendente di una lunga serie di conti Spencer.

Dopo aver subito un anno di cannoneggiamento, Diana era pronta a passare al contrattacco.

Nasce il mito della «principessa triste»

La sera del 20 novembre 1995, quando Panorama, trasmissione di punta della Bbc, mandò in onda l’intervi­sta a Diana, per le strade di Londra non c’era anima viva. Ventitré milioni di spettatori rimasero incollati davanti al televisore in attesa di una prima assoluta: la versione au­tentica, attraverso le sue stesse parole, della principessa di Galles.

Il tema risultò chiaro alla prima inquadratura. La prin­cipessa si era truccata senza un filo di colore, esaltando l’aspetto spettrale con il nero abbondante dell’eyeliner attorno agli occhi. Appariva un’anima in pena, piegata dalle sofferenze che le aveva inflitto un marito insensibile. È la famosa intervista in cui disse: «Eravamo in tre in quel matrimonio. Era piuttosto affollato».

Come non amarla, quando diceva: «Vorrei essere la regina dei cuori della gente»?

Divorzio reale

Carlo si rese conto che tirarla ancora in lungo non sarebbe servito a niente. Chiese un prestito alla madre (puntualmente onorato nei dieci anni successivi con regolare pagamento d’interessi) e il 13 luglio issò bandiera bianca. L’accordo di divorzio fu firmato alle condizioni di Diana. In cambio, il principe di Galles chiedeva di riavere solo un paio di acquerelli di un lontano parente tedesco, un paio di sedie fine Settecento e tutta l’argenteria epoca Giorgio III che veniva usata quotidianamente. Alla ex consorte andavano invece 17 milioni di liquidazione, 400.000 sterline annue per le spese dei suoi uffici, il diritto al titolo di principessa di Galles, almeno fino a nuove nozze, ma non all’appellativo di Sua Altezza Reale.

Su quest’ultimo punto il Palazzo si era mostrato irre­movibile: «Madame» per lei andrà benissimo, aveva fatto sapere l’ufficio stampa di Buckingham Palace.

L’ultima vacanza

La prima sera fuori fu un successo. Il plotone delle guardie del corpo – i due di Scotland Yard a protezione dei principi, altri due o tre al servizio dei Fayed – si accampò sulla terrazza del ristorante tenendo costantemente d’occhio il gruppetto dei commensali all’interno. C’era un’aria molto rilassata.

Finita la cena e già sulla strada di casa, il gruppet­to decise di fare una tappa tra giostre e montagne russe. Un poliziotto inglese e il gallese Trevor finirono, invocati da William e Harry, a spassarsela sull’autoscontro accanto ai loro protetti. I principi si divertivano un mondo e anche la madre si mo­strava allegra, curiosa, pronta a ridere e scherzare. Pareva che la vita ordinaria, con i suoi modesti divertimenti, si rivelasse irresistibilmente eccitante per chi aveva appena infranto le sbarre della gabbia dorata. I ragazzi affascinavano per la loro natura­lezza e Diana era finalmente rilassata: qualcuno la notava, certo, ma nessuno la importunava. Andò in modo opposto, purtroppo, la sera seguente.

Di chi è il cuore di Diana?

Hasnat Khan è una delle pochissime persone che hanno incrociato la vita di Diana senza tradirne i segreti o lucrare sulle sue confidenze. Non ha mai detto una parola sul loro rapporto se non quando glielo ha chiesto la polizia.

Lei è ancora innamorata del medico pakistano ma sembra anche essersi resa conto che il matrimonio sognato, la vita nuova e «normale» accanto a lui e lontano dai riflettori rappresentano un miraggio impossibile da raggiungere. Non fa trapelare niente della sua riflessione, tanto da lasciare Hasnat convinto che tutto vada bene. Ma in cuor suo ha preso la decisione di rompere. Sul serio e in modo definitivo o solo per ingelosire l’amato, spingerlo a capire quel che rischia di perdere?

Nella sua deposizione il dottor Khan si mostra convinto della prima ipotesi.

L’altra Diana

In Angola l’incontro più straziante fu quello con Helena. Aveva solo sette anni ed era uscita di casa per andare a prendere l’acqua alla fonte: l’ordigno che aveva calpestato le aveva squarciato il ventre e divorato l’intestino. Solo una flebo salina la teneva in vita, ma ancora per poco. Quando Diana si avvicinò al suo letto, con il solito codazzo di rumorosi reporter e il ronzio delle telecamere, l’infermiera tirò via il lenzuolo per mostrare l’orrenda ferita. Era una vista insopportabile. La principessa riuscì a spostare i suoi occhi su quelli della bambina e a sorriderle. Poi, come racconta con commozione controllata Arthur Edwards, fo­tografo del Sun, «agì in modo istintivo e la coprì. Fece una cosa che avrebbe fatto qualunque madre. Era preoccupata per la dignità della bambina». Si mordeva le labbra per non piangere, ma prese tra le sue mani quella della piccola e le sorrise con dolcezza. Poi si voltò verso i fotografi e disse: «Per piacere, ora basta». Le obbedirono.

Notte fatale 

L’ultima scena all’interno del Ritz suggerisce un che di triste, angosciante. Le lancette corrono all’ap­puntamento col destino: è mezzanotte e 19 minuti. Eccoli qui, la principessa più fotografata al mondo e Dodi, erede di una fortuna miliardaria, che si tengono stretti – il braccio sinistro di lui dietro le spalle di lei – nello spazio angusto del corridoio di servizio, di fronte al cartellone con le circo­lari per il personale, mentre Henri Paul continua a parlare gesticolando e Trevor Rees-Jones si affaccia per strada a controllare l’arrivo dell’auto, che tarda. È come un fermo immagine che evoca assieme la sventatezza di una fuga ridicola, incomprensibile, e la compassione per l’indifesa nudità degli esseri umani di fronte al fato.

L’addio di Carlo

Ciò che aveva provato, da solo di fronte al volto intatto ma senza vita di Diana, lo raccontò a Camilla, che fu autorizzata qualche anno dopo a riferirlo alla sua bio­grafa Caroline Graham. «Fu il peggiore spettacolo cui io abbia mai dovuto assistere», confidò il principe. «Riuscivo a pensare solo alla ragazza che avevo conosciuto, non alla donna che era diventata e neanche ai problemi che avevamo avuto. Ho pianto per lei, e ho pianto per i nostri ragazzi.»

Brevi riflessioni di fisica quantistica – Vivere di paradossi

“Questa teoria mi ricorda un po’ il sistema di allucinazioni di un paranoico estremamente intelligente, formata com’è da elementi di pensiero incoerenti fra loro.”

La teoria menzionata, naturalmente, è quella della fisica quantistica. Meno scontata, invece, è la fonte della citazione: Albert Einstein.

Einstein scrisse questa frase, nel 1952, all’amico Daniel M. Lipkin – anch’egli fisico e matematico – per testimoniargli la propria difficoltà a considerare la fisica quantistica come il fondamento assoluto per tutte le possibili riflessioni sulla natura della realtà. Piuttosto, come aveva già affermato più volte nel corso degli anni, Einstein credeva che fosse solo un utile strumento ancora da calibrare al meglio.

Una posizione che può apparire quantomeno eccentrica se si considera che era stato proprio Einstein a individuare i quanti della radiazione elettromagnetica, quelli che noi adesso chiamiamo fotoni, nel 1905. Eppure, pur essendo uno dei due padri – assieme a Max Planck – della teoria quantistica, Einstein era infastidito dalle sue implicite contraddizioni. Quelle stesse contraddizioni che anche oggi, a distanza di oltre sessantacinque anni dalla confidenza fatta a Lipkin, continuano ad affascinare e ad attrarre chiunque vi si confronti.

Fabio Fracas

Brevi riflessioni di fisica quantistica – Una verità sulla verità scientifica

Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono e vedono la luce, quanto piuttosto perché alla fine muoiono, e al loro posto si forma una nuova generazione a cui i nuovi concetti diventano familiari.”

Questa frase – citata dallo storico e filosofo Thomas Samuel Kuhn – è di Max Planck: il padre della fisica quantistica.

Planck fu uno scienziato rivoluzionario: non solo ipotizzò l’esistenza dei quanti di energia ma lo fece pur essendo profondamente convinto che la struttura interna della materia, in realtà, dovesse essere continua. Credere fermamente in qualcosa e poi scoprire che tutto ciò di cui si è sempre stati certi non è esatto – o almeno, non lo è sempre e in ogni caso – può rappresentare una difficoltà insormontabile per chi non è disponibile a rivedere le proprie posizioni. Per chi non accetta di rimettersi in gioco.

Al contrario, per tutte le persone che non hanno paura di instaurare un confronto costruttivo, scoprire che esiste una diversa possibilità, un differente approccio, può trasformarsi in un fondamentale momento di crescita. Non solo personale.

Fabio Fracas

Scoprire il bello della negoziazione con Nicola Riva

Nell’introduzione al libro VINCERE SENZA CONFLITTI, l’autore Nicola Riva ci racconta la “scoperta” della negoziazione, cosa essa sia e di come possa essere applicata in maniera vincente alla vita di ogni giorno. Un libro illuminante, perché ridisegna i limiti di alcune nostre convinzioni…

“Per anni mi ero concentrato sui contenuti di leggi e disposizioni senza rendermi conto che quello era solo il punto di partenza: sono un riferimento importante, stabiliscono limiti e confini, ma non costituiscono le leve principali di una trattativa… Così ho iniziato a studiare e ad appassionarmi alla negoziazione, anche perché ai miei tempi all’università non se ne parlava, né esisteva alcun corso in proposito, a differenza delle università americane, che, si sa, hanno un approccio ben più pragmatico. 

Con il tempo ho affiancato allo studio della negoziazione un percorso di scoperta di me stesso che mi ha portato a rimettere in discussione la mia vita, a prendere le decisioni più importanti e trasformative e a rivedere la negoziazione sotto la luce della comunicazione, dell’equilibrio emozionale, dell’autorealizzazione. 

La negoziazione, per me, è molto di più di «barattare» o «comprare e vendere cose». È diventata un modo per affrontare la vita e le relazioni, per scovare opportunità nascoste, per creare più valore a vantaggio delle persone coinvolte. È un modo per mostrare compassione e rispetto, per risolvere litigi e incomprensioni tra famigliari, amici e sconosciuti. Per quanto mi riguarda, la negoziazione ha completamente trasceso il contesto giuridico e si è trasformata in una lente per valutare quanto i miei comportamenti sono in linea con i miei valori, per vedere che cosa ho costantemente bisogno di migliorare nel comunicare e nell’esprimere me stesso. 

Vista sotto questa luce, la negoziazione smette di essere una questione tecnica e diventa parte integrante della nostra personalità, un modo di affrontare ogni relazione ed evento partendo dal pensiero: Come posso creare più valore in questa situazione? Come posso ottenere di più facendo ottenere di più anche all’altra parte? 

La mia missione di vita è sfidare lo status quo per aiutare le persone a fare la differenza nella loro vita personale e professionale. È la ragione per cui mi sveglio ogni mattina e faccio quello che faccio, con gioia. 

Questo libro vuol essere un viaggio portentoso nel mare negoziale per risvegliare il negoziatore o la negoziatrice che sono già presenti in ogni lettore. Salperemo accompagnati da un animale del deserto e un maestro zen, che ci mostreranno perché tutto questo è importante. Il lettore saprà trovare soluzioni creative, opportunità fino a quel momento invisibili, e lo farài con la curiosità e l’entusiasmo di un bambino che inizia un nuovo gioco. È importante percorrere questo cammino di scoperta e apprendimento a piccoli passi. I contenuti e la metodologia sono vasti, e a piccoli passi potrai padroneggiarli. Non si ha bisogno di sapere tutto subito, né tantomeno di fare tutto perfettamente fin dall’inizio. Bisogna avere il tempo per sperimentare ogni singola tecnica e consiglio. 

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