Nicholas Sparks: in attesa del nuovo romanzo…

È decisamente tempo di festeggiare, se non altro per dimostrare al mondo che ci si può sempre ritagliare un momento di felicità. San Valentino cade proprio in un momento perfetto, quando l’inverno morde ancora con giornate fredde e umide e ci fa venire moltissima voglia di passare una serata piena di calore in buona compagnia. La compagnia di un innamorato con una cena romantica (vi consigliamo cocktail di gamberi e spumante, per dare un tocco rosa alla serata), seguita da un film, magari Le pagine della nostra vita. La compagnia delle amiche, con pop corn e kleenex a portata di mano per dare libero sfogo a tutto il nostro romanticismo con I passi dell’amore. Oppure la compagnia del nostro migliore amico, ben acciambellato sulle ginocchia a fare le fusa, una tavoletta di cioccolato e l’ultimo libro di Nicholas Sparks, che forse avete tenuto sul comodino finora senza aver avuto il tempo di leggerlo, Nei tuoi occhi.

Sparks è l’autore romantico per eccellenza, comunque, e tra libri e film c’è solo l’imbarazzo della scelta. In attesa del nuovo romanzo, in arrivo la prossima estate. Che naturalmente si intitolerà LA VITA IN DUE.

Mr. Mercedes di Stephen King diventa una serie tv

Mr Mercedes (di cui abbiamo parlato qui) l’hard boiled di Stephen King oltre ad assere il primo volume di una trilogia, sarà una serie tv in dieci puntate prodotta da Sonar Entertainment per la regia di Jack Bender (già conosciuto per Lost) e con sceneggiatore David E. Kelley, già sceneggiatore e produttore di serie culto come Boston Legal  

I protagonisti saranno Brendan Gleeson (nella parte del vecchio detective Hodges) e Harry Treadaway (nei panni del folle Brady). 

Ecco il resto de cast: Jharrel Jerome con il ruolo di Jerome RobinsonScott Lawrence sarà Pete il detective ancora in servizio, amico di Bill, Robert Stanton sarà Anthony “Tones” Frobisher, e Ann Cusack la sola e triste Olivia Trelawney.
Vedremo Mary-Louise Parker con il ruolo di Janey Patterson e Holland Taylor con quello di Ida Silver, Kelly Lynch (Deborah Hartsfield) e Justin Lupe (Holly Gibney).

  Riportiamo le parole di Kelley: “adattare alla tv una storia nata dalla penna di uno dei più acclamati scrittori al mondo è un’opportunità straordinaria… Mr. Mercedes è un grande romanzo che potrà essere trasposto sullo schermo in modo meraviglioso, se non combino pasticci”.

La serie, che era prevista per l’inizio del 2018 in US, potrebbe essere anticipata all’autunno 2017 (hanno iniziato le riprese in North Carolina)… Quindi in Italia?

  

Intervista a Walter Rolfo: niente è impossibile!

Incontrare Walter Rolfo è un’esperienza davvero interessante e costruttiva, perché parlando con lui del suo libro L’ARTE DI REALIZZARE L’IMPOSSIBILE, ci si rende conto degli errori che commettiamo quotidianamente (spesso, inconsapevolmente) e che pregiudicano la nostra felicià.

Gli abbiamo fatto alcune domande e le risposte sono esuarienti, molto! Buona lettura!

Partiamo dal titolo L’ARTE DI REALIZZARE L’IMPOSSIBILE: una vera sfida.  

Sì, una sfida importante perché la si combatte tutta la vita, per cambiare mentalità e punto di vista rispetto alle proprie abitudini. La vera sfida è imparare a eliminare la parola impossibile dalla nostra vita. Ogni volta che la pronunciamo, stiamo perdendo un’occasione. E noi ne abusiamo quotianamente, reputando impossibile fare piccole come grandi cose. Impossibile è una parola killer! La vera sfida, quella che – con questo libro – voglio aiutare tutte le persone a vincere, è moriscarsi la lingua (in senso metaforico!) ogni volta che si sta per pronunciare quella parola. Già solo eliminandola dal nostro vocabolario ci stiamo mettendo nelle condizioni di vincere.

Quando e come perdiamo fiducia nelle nostre capacità?

Affrontare le battaglie, affrontare le sconfitte, lottare per una vittoria, sono cose moto difficili alle quali noi, spesso, ci disabituamo e dalle quali cerchiamo di fuggire. Molte volte la paura di fallire è ancora più grande del desiderio della vittoria; la paura di non riuscire, di perdere supera la gioia di vincere. E quindi noi preferiamo ricorrere all’aggettivo “impossibile” piuttosto che provarci. La nostra coscienza, nel momento in cui definiamo “impossibile” qualcosa che ci sembra difficile, si tacita perché ritiene che non sia colpa nostra se non raggiungiamo l’obiettivo, attribuendo la responsabilità all’impossibilità dell’impresa. Automaticamente, quando definiamo impossibile qualcosa stiamo perdendo fiducia in noi stessi. Ecco perché toglierci gli alibi è l’unico modo per vincere, per avere più fiducia in noi stessi: avere coscienza di essere in grado di fare qualunque cosa ci dà la forza necessaria per realizzarla veramente.

Qual è il primo segreto per affrontare in maniera positiva e risolutiva i problemi di ogni giorno?

Il primo segreto è cambiare la definizione di “impossibile”: una cosa è impossibile oggi, con questi mezzi, in queste condizioni. Ma domani sarà diverso: se lavoro su me stesso, mi preparo, mi alleno, domani potrò farcela. Il grande segreto per affrontare e risolvere i problemi è prendere coscienza del fatto che sia possibile farlo.

Lei è anche un mago: davvero si può raddoppiare il tempo?

Sì, il tempo si può raddoppiare perché il tempo che abbiamo a disposizione è molto di più di quanto pensiamo: il vero problema è che lo utilizziamo male, sprecandolo, e alla fine è quasi come se avessimo un piacere perverso nel sentirci stressati piuttosto che prendere in mano la nostra vita e riorganizzarla secondo le nostre priorità. Bisogna avere il coraggio di cambiare, di liberarci degli impegni inutili per fare posto alle cose davvero importanti. In questo libro si impara proprio il segreto per fare apparire, magicamente, un’ora in più nelle nostre giornate, quella che io chiamo “l’ora delle coccole”: vale a dire l’ora per fare ciò che davvero amiamo. Nel libro spiego tecniche concrete per riappropriarsi del tempo, come, ad esempio, redigere una “scaletta” della giornata. E’ possibile raddoppiare il tempo solo se si impara a gestirlo: prendere coscienza di come lo utilizziamo è il segreto per moltiplicarlo, anche fino all’infinito.

Tina Anselmi: storia di una passione politica

“L’affaire Moro resta uno dei segreti meglio ‘custoditi’ d’Italia.” Anche di questo, con le parole di Tina Anselmi, nella sua autobiografia scritta con Anna Vinci, si discuterà a Roma il 23 gennaio alle ore 18,30.

Di seguito un breve passaggio del capitolo del libro, dedicato alla strage di Via Fani del 16 marzo 1978 che ci fanno capire la forza analitica della prima donna ministro in Italia, presidente della Commissione bicamerale inquirente sulla loggia massonica P2 di Licio Gelli. L’unica personalità a cui, in vita, nel giugno del 2016, fu dedicato un francobollo.

“Il 16 marzo del 1978 la scena politica fu macchiata dal sangue dell’uccisione della scorta dell’onorevole Aldo Moro, dal suo rapimento.

Il rapimento del leader della DC, l’uccisione dei cinque uomini della sua scorta – Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi –, e poi i lunghissimi giorni di prigionia e il suo assassinio furono la più grande tragedia politica che potesse abbattersi sull’Italia.

In quei mesi, non dobbiamo mai dimenticarlo, dobbiamo ricordarlo ai giovani, si apriva davanti a noi una grande stagione politica, e Moro ne era protagonista insieme ai capi di altri partiti, che gli riconoscevano la statura umana, culturale e politica. Purtroppo il suo venir meno ci dice quanto la sua figura fosse importante: è stato ucciso perché non si voleva che egli in­ fluisse sul futuro politico dell’Italia.

Quell’assassinio avrebbe dovuto mettere subito in guardia – ma così non fu – i democratici cristiani, e non solo noi. In quella tragica partita la posta in palio era la democrazia del nostro paese, il destino di chi la sostiene, di chi la promuove. Se addirittura si arriva all’assassinio politico, vuol dire che la controparte è spietata, e userà con spietatezza il suo potere”.

Oroscopo dello scrittore – febbraio 2017

Oroscopo dello scrittore. FEBBRAIO

Lo scrittore dell’Ariete provi a dare retta a Mercurio che promette un periodo fertile e utile per il lavoro dal giorno 7 fino al 24. Perché impegnarsi prima o dopo potrebbe rivelarsi un esercizio poco fortunato. Ascoltate le stelle.

Lo scrittore del Toro godrà del rapporto migliore con la scrittura e la creatività solo nella prima settimana e poi anche nell’ultima. Nel mezzo proverete una certa fatica e una scarsa propensione al pensiero, che rischiano di abbassare la qualità del vostro lavoro.

Lo scrittore dei Gemelli sembra essere destinato a un febbraio facile, colorato e abbastanza prolisso. Insomma non vi mancherà di certo la giusta energia per creare, per descrivere e per incantarvi davanti ai pensieri. Fate un viaggio, anche solo con la mente.

Lo scrittore del Cancro potrebbe decidere di raccogliere spunti, idee e racconti nelle prime tre settimane del mese per poi impegnarsi dal 25 in avanti, quando cioè l’amicizia di Mercurio sarà una realtà concreta, palpabile, solida.

Lo scrittore del Leone vivrà una sfida costante a parlare, a raccontare, godendo però anche della possibilità di entrare, per davvero, in sintonia con la realtà che lo circonda e dalla quale dovrà prendere ispirazione. Nell’ultima settimana lasci dire agli altri.

Lo scrittore della Vergine potrebbe percepire come divertente e stimolante ogni impegno, ogni impresa o compito che, nelle prime tre settimane del mese, deciderà di intraprendere. Se ci sono idee o iniziative allora meglio dare loro il via dal 26.

Lo scrittore della Bilancia sarà contagiato dal bisogno di occuparsi degli altri, delle situazioni circostanti, che Venere gli infonderà. Ma saprà dire e raccontare ogni cosa in grande leggerezza, senza mai dare l’impressione di farlo per obbligo.

Lo scrittore dello Scorpione percepirà il suo rapporto con il lavoro come spontaneo nella prima settimana del mese, come impegnativo nella parte centrale, e come (finalmente) divertente e creativo dal 25 in avanti. Decidete quando muovervi.

Lo scrittore del Sagittario dovrebbe impegnarsi con le cose pratiche e minuziose entro e non oltre il giorno 7 per poi, finalmente, darsi alla bellezza del racconto, della scrittura. Grandissima e importante la capacità di empatia del giorno 21.

Lo scrittore del Capricorno darà il via a un’idea o a un pensiero nei primi giorni del mese per poi, ovviamente, passare all’azione. Insomma saprete fare tutto ciò che è necessario a creare, a costruire. Nell’ultima settimana vi concentrerete invece di più sulla comunicazione.

Lo scrittore dell’Acquario vivrà il suo momento magico, in compagnia di Mercurio la stella della scrittura, tra il 7 e il 25. Insomma un lasso di tempo abbastanza lungo per fare qualcosa che sia importante, prezioso, qualcosa che esige grandi qualità e concentrazione.

Lo scrittore dei Pesci risentirà della grande incertezza di un Giove retrogrado che renderà sempre poco chiare e decise le sue intenzioni, lavoro incluso. Dunque meglio darsi da fare solo nell’ultima settimana, quando possiederete la concentrazione necessaria a fare.

Parliamo di dislessia con Carlotta Jesi: I MIEI BAMBINI HANNO I SUPERPOTERI

I miei bambini hanno i superpoteri è un libro che dovrebbero leggere tutti i genitori, un libro sulla dislessia che diventa – nel sottotitolo – “nostra”, cioè di tutta la famiglia. Quello che troverete nelle pagine scritte da Carlotta Jesi è proprio il racconto di come la famiglia cambia e prova a comprendere profondamente le esigenze di due bambini, trasformando la loro diversità in una forza che fa bene a tutti. Con qualche difficoltà, certo, ma anche con tanti sorrisi e molta soddisfazione. Ecco l’intervista a Carlotta Jesi.

Ciao Carlotta, anzitutto grazie per il tuo libro: credo che sia una lettura interessante e utile per tutti i genitori, perché racconta come tu sia riuscita a metterti dall’altra parte della barricata (permetti l’abusata metafora della lotta con i figli), cercando il modo migliore di comprendere i tuoi due ragazzi e aiutarli con i loro mezzi, non con i tuoi, cioè quelli di un adulto “normale”. 

Sei ironica e spiritosa, anche diretta e pratica: perché questo libro?

Innanzitutto, per noi. Per i miei figli e, soprattutto, per me: abbiamo passato tante fasi, altalenanti. Scrivere il libro ci ha aiutato a mettere in ordine i pezzi, a capire quanta strada abbiamo fatto dallo smarrimento e dalla confusione iniziale alla consapevolezza, alla scelta di una strada e di una terapia da seguire, alla costruzione di un nuovo universo di riferimento, tutto nostro, popolato di nuovi eroi di ispirazione, di obiettivi, di piccole vittorie da celebrare. L’ironia e le battute sono state, da subito, un modo di guardare anche l’altra faccia della medaglia, di ridere degli errori (tantissimi) che abbiamo fatto noi genitori. Uno strumento per concentrarci non solo sulle difficoltà dei nostri ragazzi ma anche e soprattutto sulle loro potenzialità e i loro talenti.

Da un lato, spero che leggendo queste pagine, oggi o in futuro, i miei bambini si rendano conto di quanto sono speciali, di quanti sforzi hanno fatto e di quante risorse hanno scoperto di avere ed imparato ad usare. Spero si portino a casa per sempre la fiducia nel fatto che le difficoltà si superano e che è importantissimo guardare al futuro con ottimismo e ironia.

Dall’altro, mi auguro che questo libro possa far sentire meno soli altre mamme e papà che, come noi, si sentono spiazzati davanti a queste difficoltà dei figli che per fortuna non sono gravi malattie ma che, comunque, hanno un grosso impatto sulla vita della famiglia. La dislessia è difficile da spiegare agli altri, a occhio nudo non si vede, ogni suo effetto sembra causato dal poco impegno del bambino o dalla poca educazione e attenzione data dal genitore. Non è così: capita di sentirsi abbandonati, dalla scuola in primis, e di non sapere cosa fare. Ecco, mi piacerebbe che il libro aiutasse a non sentirsi così e spronasse bimbi, ragazzi e genitori a trovare la loro, propria, ricetta. Cominciando a guardare cosa i dislessici sanno fare bene e dimenticandosi per un attimo le difficoltà che incontrano in questa o quella materia!

Il tuo libro non è un manuale tecnico ma un racconto: come mai questo taglio?

Di teoria in questi anni ne ho letta tanta, ma, ogni volta, mi trovavo a pensare: ok, ma in pratica, che faccio? Questa difficoltà qui, questo dolore qui, come lo risolviamo? Cosa ci inventiamo per rimettere insieme l’autostima dei ragazzi che è andata in pezzi in classe? Le risposte, più che nei manuali, le abbiamo trovate “sbirciando” in casa nostra. Guardandoci dall’esterno, provando a trattare il giudizio, la rabbia, la fretta, il nervoso che tante volte ti prende osservando tuo figlio che magari fatica a svolgere un compito relativamente semplice o che impiega un secolo a preparare la cartella o la borsa del basket e trovando un ritmo diverso, tutto nostro. Siamo andati avanti, e tuttora procediamo, per tentativi. A volte guidando i nostri figli, a volte facendo un passo indietro e lasciandoci stupire da loro. Tentativi che, fin dall’inizio, abbiamo provato a condividere con gli specialisti che seguono i nostri figli nella terapia, con gli amici più stretti, i parenti, i genitori di altri bambini e ragazzi dislessici scambiandoci dritte, esperienze. Racconti, appunto, delle strategie che ogni giorno ci inventiamo per sostenere i nostri figli e per stare bene in famiglia. 

Cosa vuol dire essere diversi per i bambini, in un mondo che fa dell’omologazione una punto di forza?

Soffrire. Da subito abbiamo raccontato ai nostri figli le storie di persone dislessiche che, proprio il fatto di ragionare in maniera diversa dagli altri, hanno fatto scoperte importantissime per l’umanità o creato grandi opere d’arte, da Einstein a Picasso, per stimolarli ad avere fiducia in loro stessi, a non vergognarsi. La risposta era sempre quella: non mi importa, preferisco essere come tutti i miei compagni. Come dargli torto? Molte volte l’abbiamo pensato anche noi genitori: quanto sarebbe più semplice se non avessero queste difficoltà a scuola che poi esondando anche nelle relazioni con gli altri! Il guaio, con la dislessia, è che ti senti sempre un po’ meno capace degli altri. Noi abbiamo cercato di rispondere a questo senso di inferiorità insegnando ai nostri figli a riconoscere e a usare la creatività e l’immaginazione – che della dislessia sono un po’ l’altra faccia della medaglia – per dimostrare, a loro stessi e agli altri, di essere bravi. Abbiamo il salotto di casa pieno di quadri fatti dal nostro figlio maggiore che ha la passione del disegno, e in particolare del fumetto. Un hobby che incoraggiamo, attraverso cui ha scoperto di essere bravo a tradurre caratteri, situazioni ed emozioni in personaggi, e che, col tempo, è diventato anche un po’ uno strumento di comunicazione in famiglia: i dislessici pensano per immagini invece che per suoni delle parole, così ci siamo adeguati, tante “ramanzine” che a volte i genitori fanno a voce in casa nostra diventano cartelli con dei disegni.

Qual è la cosa più difficile nel processo che porta all’accettazione (da parte di genitori e figli) della dislessia?

Forse ritarare aspettative, obiettivi, sogni che credo tutti abbiamo nei confronti dei figli e che i ragazzi hanno su se stessi. Non perché non si possano raggiungere, certo che si può!, ma trovando tempi, modi, strumenti e strade diverse. Jamie Oliver, il famoso chef inglese, dislessico, ha detto una frase che mi ha fatto molto riflettere, suona più o meno così: essere dislessici non significa che non potrai emergere, ma che non sarai bravo nelle solite cose. Ecco, l’accettazione parte da qui. E’ come quando percorri un sentiero di montagna sbarrato da una frana. Puoi tornare indietro rinunciando a raggiungere la tua meta o trovare un’altra strada, magari più lunga o più impervia, per arrivarci. Il nostro figlio maggiore, disgrafico, che oggi è in seconda media e che finora a scuola se l’è cavata senza usare ausilii con tanti esercizi per potenziare le sue abilità prassico-motorie, comincia a capire che per alcune materie sarebbe meglio iniziare ad usare il computer nei compiti a casa e a scuola. Non è un momento facile, è combattuto tra la paura di presentarsi in classe con un computer perché teme le prese in giro dei compagni e la voglia di raccontare nei temi tutto quello che ha dentro senza dover combattere con la scrittura. Insomma, l’accettazione è un processo continuo…

OXYGEN Il potere del respiro

Non sono le montagne da scalare che ti logorano, è il sassolino nella scarpa.

MUHAMMAD ALI

Il segreto per perdere peso, ritrovare forma fisica e salute si trova nell’aspetto più semplice ma più trascurato della nostra vita: il modo in cui respiriamo. Ecco, allora, qualche interessante informazione sul libro OXYGEN.

Da dove parte l’idea di questo libro? Il principio è molto semplice: chi abita ad alta quota tende a vivere più a lungo. La ragione esatta è ignota e potrebbe essere riconducibile a un insieme di fattori, ma una delle spiegazioni più plausibili è la minore pressione dell’ossigeno nell’aria di montagna.

Quindi troppo ossigeno può risultare dannoso, perché? La scienza dimostra che la riduzione dell’apporto calorico promuove la longevità, però esiste un’altra sostanza nutriente alla quale si pensa di rado: l’ossigeno. Come le calorie di troppo possono causare danni metabolici, così una quantità eccessiva di ossigeno può deteriorare prematuramente i tessuti producendo un eccesso di radicali liberi, molecole altamente reattive e distruttive che danneggiano i grassi nelle membrane cellulari, nelle proteine e nel DNA. I radicali liberi sono generati dal normale assorbimento dell’ossigeno durante il metabolismo. Tutti noi ne produciamo una certa quantità con l’atto stesso di respirare, e gli esercizi pensati per assicurare il giusto volume respiratorio sono una strategia efficace per mantenere l’ossigeno ai valori ottimali e quindi limitare i problemi causati dai radicali liberi.

Cosa si può fare? L’allenamento ad alta quota è una tattica impiegata da molti atleti di resistenza per creare un vantaggio competitivo. È un modo per sfruttare le risorse naturali del corpo, esponendosi volontariamente a un ridotto apporto di ossigeno per un breve periodo di tempo. Si migliora così la capacità dell’organismo di trasportare l’ossigeno e si aumenta anche il volume massimo di ossigeno che si può consumare, un parametro detto VO2max.

E per chi non abita in alta quota? Chi abita ad altitudini di poco superiori al livello del mare non può sfruttare questa risorsa. Esistono però alcune strategie che permettono di ottenere i vantaggi della vita ad alta quota attraverso la riduzione dell’apporto di ossigeno: respirare con la bocca chiusa e svolgere gli esercizi presentati in questo libro. Quelli più intensi sono particolarmente impegnativi a causa della fame d’aria che provocano, ed è proprio in quei momenti che si ottengono i maggiori benefici. 

Nostalgia per l’antica natura selvaggia

E corrono ancora“, ispirato da Donne che corrono coi lupi di Clarissa PInkola Estés, è un libro che in dieci capitoli percorre un possibile itinerario di vita femminile. Dalle situazioni di grande difficoltà, nelle quali dobbiamo, con coraggio, saltare le trappole, all’infanzia, vissuta dalle bambine o ricordata dalle adulte, fino alla adolescenza lucente e ombrosa. E poi la maternità, con le sue gioie e le sue difficoltà, il rapporto nutriente con le amiche, quello con gli oggetti di consumo e con gli alimenti – croce e delizia di molte.Il rapporto con l’amore e con l’erotismo, e la sua faccia oscura o persino deturpata, nelle infauste relazioni con orchi e Barbablù. E infine il ritorno a se stesse, la forza di un progetto tutto nostro irradiante luminosità e calore.

Nel libro c’è tutto questo, insieme a testimonianze di bambine, di adolescenti e di adulte. Insieme a molte proposte di attività espressive, da fare da sole, con amiche o in gruppi di auto aiuto. Per tirare fuori, ed elaborare, tante cose importanti di noi tutte. Per conoscerci meglio e scoprire quanta bellezza e speranza abbiamo dentro. Allora vi e mi auguro di tenere sempre in mano il filo dell’aquilone, ovvero la testimonianza visibile e vibrante di quella bellezza e di quella speranza.

Mi e vi auguro di tenere il filo stretto nel palmo della mano concedendo all’aquilone le altezze del cielo. Di avere la testa fra le nuvole, ma i piedi ben piantati per terra. Stare tra cielo e terra è un’apparente contraddizione, ma per noi sarà possibile. La lupa sa essere insieme selvaggia e amorevole, solitaria e compagna di altre, protettiva e fiera. Mi e vi auguro di mediare gli opposti, di unire poli lontani, di coltivare nel vostro giardino fiori profumati e ortaggi nutrienti. Possiamo riuscirci: siamo tessitrici dell’ impossibile.

(Tiziana Luciani)

Passenger di Alexandra Bracken

Alexandra Bracken è una delle autrici YA più acclamate di America e l’ultima classifica del New York Times lo conferma! Con i due volumi della serie Passenger, la Bracken è infatti riuscita a conquistare la classifica YA hardcover, ebook e paperback. I

Il primo volume di Passenger arriverà in Italia a marzo e il secondo ad aprile.

Autostima e riconoscimento di identità e bisogni

Come si fa a stabilire quanta stima abbiamo di noi stessi?

Alcuni degli elementi che ci permettono di capirlo sono: l’essere soddisfatti di sé, l’attribuire la giusta importanza alle proprie idee e ai propri progetti, il fidarsi delle proprie capacità di realizzarli e il non temere di assumersi ruoli di responsabilità per farlo.

Su cosa si basa la stima di sé? Tra i tanti fattori che la compongono e la modulano vi è senz’altro la capacità di riconoscere, rispettare e permettersi di soddisfare le proprie esigenze. Più una persona ha confidenza con queste istanze, più equilibrato e armonioso è il rapporto che ha con se stessa e di conseguenza il valore che si attribuisce e la capacità di contare su di sé. Quest’ultima è poi fondamentale anche per riuscire ad aiutare gli altri. Viceversa, un atteggiamento troppo dipendente, ansioso, pauroso o passivo è senz’altro indice di un difetto nella valutazione delle proprie energie, capacità e qualità. Attenzione: anche un’apparente eccessiva stima di sé può nascondere proprio il contrario, ma ce ne accorgiamo dall’atteggiamento troppo rigido, duro, aggressivo, arrogante o testardo della persona che ne è affetta.

Come e quando nasce la stima di noi stessi? La costruzione dell’autostima va di pari passo con quella della nostra immagine interiore e si forma già dalla più tenera età, ma si va poi modulando nel corso dell’infanzia, dell’adolescenza e della vita adulta a seconda delle esperienze che facciamo e, soprattutto, del senso che assegniamo loro. Un momento cruciale per la determinazione di quanto valore e fiducia riusciremo ad attribuire a noi stessi è senz’altro l’infanzia. Durante quel periodo siamo totalmente dipendenti, per la soddisfazione delle nostre esigenze, dalla capacità delle persone di riferimento di individuarle e di occuparsene in modo appropriato ed esaustivo. Più forte e chiaro ci arriva il messaggio che i nostri bisogni e la nostra individualità vengono riconosciuti, rispettati e soddisfatti, più diventiamo fiduciosi del fatto che questo sia possibile e, man mano che acquisiamo autonomia e cominciamo a fare tutto questo da soli, questa esperienza positiva ci ritorna, appunto, sotto forma di capacità di darci valore e di fare affidamento sulle nostre capacità. Se qualcosa va storto in questo lungo e delicato processo, se, quindi, non sentiamo pienamente riconosciuta e rispettata la nostra identità, la nostra individualità (cioè il nostro essere specifici e speciali), i nostri bisogni di amore e accudimento incondizionato e di protezione, possiamo formare dentro di noi l’immagine di una persona trascurata e trascurabile, inadeguata, non all’altezza delle aspettative e quindi non particolarmente stimabile. Non solo la famiglia, ovviamente, ma anche gli altri ambienti importanti per la nostra formazione. Per esempio la scuola, o le amicizie, possono contribuire a bilanciare o viceversa ad affossare la stima di se stessi. 

A seconda del tipo di personalità a cui capita di non sentire riconosciute e rispettate le proprie istanze profonde e i bisogni primari, poi, potremo avere come effetto finale un atteggiamento passivo e vulnerabile oppure, al contrario, insofferente, rigido e persino arrogante, o persino un’alternanza di entrambi, a seconda delle circostanze.

La ricostruzione dell’autostima.

Si può recuperare la stima di sé, anche se le ragioni della sua scarsità o precarietà sono così lontane nel tempo? Per fortuna, assolutamente sì. Non sempre è un percorso lineare o privo di ostacoli, ma è quasi sempre possibile risanare alla base quanto abbiamo vissuto e interpretato a nostro sfavore. Molte sono le strade oggi disponibili per giungere a questo risultato. Ci si può per esempio allenare a immaginare, costruire interiormente e poi esprimere reazioni e comportamenti diversi da quelli abituali, frutto dell’atteggiamento auto-svalutante. Nel tempo, questa sorta di auto-imposizione può aumentare la consapevolezza e la gestione delle proprie reazioni disfunzionali, che verranno sempre più spesso contraddette e poi messe in ombra dal comportamento volontario e programmato e dai risultati che questo ci farà ottenere. Così facendo, si può man mano rigenerare anche l’auto-immagine che è alla radice dei comportamenti stessi.

Tutto questo richiede ovviamente, soprattutto nelle fasi iniziali, un certo sforzo per contraddire nei fatti e nell’atteggiamento esteriore il sentimento interiore, all’inizio non ancora coerente con la nuova immagine di noi stessi che vogliamo ricostruire. Per uscire dalla bassa stima di sé, insomma, una delle strade più battute è quella di usare tecniche e sistemi idonei a farci assumere il comportamento e la personalità di un soggetto dotato di una buona stima di se stesso, finché quest’atteggiamento non diverrà a sua volta un comportamento abituale.

Una strada piuttosto diversa è quella proposta dal metodo FastReset. In questo caso, la ricostruzione della stima di sé avviene cercando di risanare le stesse sensazioni ed emozioni che hanno originato la vecchia e inadeguata immagine di sé stessi, riaggiornandola in modo del tutto spontaneo, senza imposizioni o forzature (vedi anche Liberarsi delle convinzioni limitanti). Questa procedura è attuata in tempi piuttosto rapidi ed è in genere del tutto soddisfacente. Non si tratta di illudersi di non aver vissuto manchevolezze o trascuratezze ma della possibilità, che ci è per nostra natura accessibile, di dare spontaneamente un altro significato a quanto abbiamo vissuto e, quindi, un altro valore a noi stessi. Si permette inizialmente al soggetto in trattamento di esprimere i propri sentimenti riguardo all’origine delle sensazioni negative verso se stesso, passando in genere in pochi minuti dal dolore o dalla rabbia per quanto non ci è stato dato o ci è stato tolto anzitempo alla piena consapevolezza della propria reale forza e capacità. Così, possiamo recuperare e riportare in primo piano le nostre capacità latenti (ma ovviamente sempre presenti) di centratura, autonomia, responsabilità e valore.

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