Le stanze dello scirocco

Le prime parole sono venute fuori all’improvviso, vergate sul mio taccuino con una penna che si rifiutava di scrivere, tra Scilla e Cariddi, a bordo di un traghetto che solcava quel breve tratto di mare che ogni mio conterraneo impara a conoscere sin da bambino.

Ho amato Le stanze dello scirocco sin da quell’incipit, che non ho mai cambiato.

L’ho amato mentre camminavo per le strade di Palermo, in cerca di qualcosa che neppure io sapevo bene cos’era, e studiavo quella città che ho sempre sentito mia nonostante non lo sia mai stata. E quando rintracciavo una per una tutte le persone che avrebbero potuto aiutarmi a ricostruire l’ambiente e i luoghi che mi avevano ispirato, e a capire quel momento storico che tanto mi attraeva.

L’ho amato quando ho sentito tra le sue pagine il profumo della Sicilia.

                                                                                                                          Cristina Cassar Scalia

L’editor intervista Niccolò Zancan

Intervista a NICCOLÒ ZANCAN sul romanzo TI MANDO UN BACIO

Quello del rapporto genitori e figli è un tema che tocca la sensibilità di tutti e che è stato trattato in molte chiavi diverse. Cosa ha spinto te a scriverne?

Per il mio giornale mi sono occupato a lungo della crisi. Ho visto comparire alle mense sociali dei miei coetanei, con le camicie stazzonate e il beauty in mano. Padri separati che passavano le notti in auto, in qualche cantina, sul divano di un amico. Erano lì – alla Caritas – per la prima volta. Mangiavano e si lavavano i denti, terrorizzati dall’idea di essere riconosciuti da qualcuno. Più di tutto, mi ha colpito pensare a quanto questo tipo solitudine – questa mancanza di futuro – stesse cambiando i nostri cuori. La crisi tiene insieme matrimoni finiti, perché non ci sono i soldi per due affitti. Costringe uomini di cinquant’anni a tornare a vivere a casa dalla mamma. Toglie ai padri l’autorevolezza, perché è difficile essere autorevoli quando si perde fiducia in se stessi.
 
Ti mando un bacio è un libro che parla di noi o esplora un terreno che molti di noi non conoscono?

Sono andato a conoscere alcuni padri separati nelle frontiere più estreme. Associazioni, case comunali, bacheche digitali: posti permeati dal dolore, dalla frustrazione e anche dall’odio, purtroppo. Ma poi ho deciso di fare un passo indietro, volevo cercare di raccontare una sofferenza meno acuta, quella che non sfocia nella cronaca nera di cui sono pieni i giornali. I protagonisti di Ti mando un bacio sono uomini normali e perdenti, nel senso letterale del termine: perdono i pezzi. Perdono anche l’amor proprio. Uomini sull’orlo di una crisi di nervi, ma che ancora si battono per non arrendersi. Li ho spogliati di ogni pudore per cercare di raccontarli così come sono, davvero, quando il mondo non li vede.
 
Quella dei padri separati è una condizione in cui l’amore rischia di
essere sopraffatto dalla rabbia, dal rancore. Qual è il sentimento che prevale nel tuo romanzo?

Vorrei che prevalesse la dolcezza. La dolcezza nel disastro. La malinconia per i baci non dati. Se è vero che nessuno si salva da solo, e io ci credo profondamente, i quattro protagonisti del romanzo sono amici. Questa è la loro fortuna. Si aiutano. Parlano dei figli. Hanno ancora dei piani, per quanto improbabili… E poi incrociano due donne meravigliose.

Che ruolo hanno le donne in questa storia?

Anche Ingrid e Chiara sono in cerca di un’altra vita, di una seconda possibilità, in qualche modo. Ma loro sono il motore del romanzo. Nel senso che prendono le decisioni, spostano gli equilibri. Si mettono in gioco. Ingrid e Chiara affrontano il dolore, invece che rifuggirlo. Se posso permettermi una caduta di stile, io le amo molto entrambe.

Qual è l’immagine a cui sei più affezionato, in questo libro?

Forse quella in cui Dan, dopo aver ricevuto un prestito dal suo amico Sergio, va a prendere la figlia Emma. Insieme vanno a fare canottaggio sul Po, poi a mangiare un gelato in centro. Una giornata normale. Ma con quella complicità che si può creare solo facendo qualcosa insieme. Mi piacciono le parole che si scambiano, l’impaccio che cercano di nascondere. E poi, se è vero che i soldi non fanno la felicità, di sicuro essere senza stipendio è una tragedia. Quello è il momento del riscatto di Dan. Tutti ci specchiamo negli occhi dei nostri figli. Quello è il momento in cui Dan, per un attimo e finalmente, riesce ad essere orgoglioso di se stesso.

Cuori neri

Sperling & Kupfer annuncia che, a breve, sarà in libreria una nuova edizione di Cuori Neri di Luca Telese, con nuova copertina, integrata dal racconto della discussione che, in questi giorni, si è accesa sugli anni di piombo all’interno della destra italiana.

L’oroscopo dello scrittore – giugno 2015

Oroscopo dello scrittore.  GIUGNO

Lo scrittore dell’Ariete godrà ancora di una forza mercuriale amica del suo fare e del suo scrivere. Le energie e le intuizioni saranno facili e fortunate soprattutto dopo l’11, quando il pianeta sarà più sicuro di sé.  

Lo scrittore del Toro sembra ancora capace di impegno pratico e materiale. Non mancheranno insomma la forza e la volontà per fare qualcosa che vi verrà molto più facile solo dall’11 in poi.      

Lo scrittore dei Gemelli dal giorno 11 riprenderà forza e chiarezza nel modo di vivere e di raccontare le proprie idee. Peccato che la situazione non sia troppo chiara intorno a voi, e per ottenere sarà sempre necessario lottare.  

Lo scrittore del Cancro vivrà un altro mese tranquillo, un momento in cui idee e intuizioni arriveranno se e quando lo vorranno, ma in maniera improvvisa e inaspettata. Il tempo per la classica ispirazione.        

Lo scrittore del Leone gode sempre di importanti doti e qualità creative che gli sono concesse da Mercurio. Preparatevi a esprimere il meglio dopo l’11, quando ogni cosa sarà più facile e spontanea.        

Lo scrittore della Vergine sente forte e chiaro il bisogno di impegnarsi per produrre qualcosa di bello e di importante. Dopo il 10, il vostro modo di essere di lavorare sarà più deciso e fortunato, ma non sempre saprete capire le reali esigenze del prossimo.

Lo scrittore della Bilancia sembra essere destinato ad un momento ricco di risultati e di soddisfazioni.  Il fatto è che quasi tutte le stelle vi amano e vi aiuteranno a dare il meglio di voi. È il momento per sognare.   

Lo scrittore dello Scorpione sembra dover ascoltare un cielo che ha da dare un consiglio prezioso. Ovvero non aspettatevi grandi cose e accontentavi di ciò che la situazione vi consente. Non è questo il momento per chiedere la Luna.                 

Lo scrittore del Sagittario percepirà chiaramente il bisogno di trovare un linguaggio e una forza espressiva che siano chiari e comprensibili per il lettore. Parlate sempre al cuore, ma con dolcezza. Basterà.

Lo scrittore del Capricorno dovrebbe provare a spezzare questo strano e forzato silenzio raccontando di sogni e di speranze, movimentando le energie della mente per riportare luce e intelligenza in tutto ciò che crea.       

Lo scrittore dell’Acquario dovrà cercare di vivere il lavoro e l’impegno come qualcosa di bello e di divertente, cogliendo sempre e solo il meglio del suo creare. Perché solo così potrà esprimere la giusta magia.  

Lo scrittore dei Pesci dovrà concentrarsi nella prima parte del mese se deve eseguire qualcosa che richieda chiarezza e determinazione. Oppure sulla seconda se preferisce puntare sulla perfezione delle idee. 

QUELLA NOTTE ALL’HEYSEL

Ci ho messo un po’ di tempo, ma alla fine dovevo liberare questo “file” che avevo dentro.

E allora la memoria di quel che vidi ed ascoltai dentro allo Stadio Heysel di Bruxelles in quella notte del 29 maggio 1985 ho provato a scioglierla nell’inchiostro.

Per provare a condividerla con gli altri.

Lo dovevo a me stesso, lo dovevo a chi è stato meno fortunato di me e da Bruxelles non è più tornato. E a chi è tornato ma non è mai riuscito a raccontare, né forse a capire, quel che vivemmo quella notte dentro a uno stadio di cemento marcio. E poi lo dovevo alla memoria. Perché in questi 30 anni la memoria dell’Heysel è stata spesso sporcata, ignorata, calpestata. A volte distorta. E quel settore Z trasformato dagli Hooligans in un sudario, è stato troppo spesso vilipeso.  O dimenticato.

E’  indispensabile allora valutare i danni, svelare i colpevoli, e fare manutenzione.

Fare manutenzione di memoria.

Quella notte all’Heysel avevo con me un piccolo registratore e una cinepresa super 8. Spesso la mente non ricorda tutto. Non può, non vuole. Così ho unito ricordi e pensieri alle immagini in pellicola e alle voci e ai rumori di quel nastro magnetico.

E  ho ripercorso i giorni che hanno preceduto quella notte, i minuti e le ore di quel 29 maggio, e quel che accadde dopo.

Heysel è un termine che schiocca oggi come una frustata. Non è più uno stadio, Heysel, è il rumore di un dolore. Occorre ricostruire in fretta quel che significa, e quel che evoca. Perché senza memoria saremmo luci spente. 

Emilio Targia

AFTER di ANNA TODD arriva in Italia il 9 giugno

Finalmente arriva in Italia la serie più chiacchierata del web: AFTER di Anna Todd.

AFTER è un fenomeno editoriale da record con numeri da capogiro. Dopo aver conquistato oltre un miliardo di lettori solo online, ora è ai primi posti delle classifiche di tutto il mondo e la Paramount Pictures si è già aggiudicata  i diritti cinematografici.

In Italia AFTER uscirà il 9 giugno 2015 pubblicato da Sperling & Kupfer.

Il segreto di tanto successo? Semplice: AFTER è la storia di quell’amore che ti cambia la vita, quell’incontro che segna un prima e un dopo, un confine oltrepassato il quale niente sarà più come prima. Come accade a Tessa Young quando s’imbatte in Hardin. Lei è la classica brava ragazza con una vita ordinaria e tranquilla, ottimi voti e un fidanzato perfetto che l’aspetta a casa. Lui il cattivo ragazzo per eccellenza, tutto fascino e sregolatezza, arrogante e maledetto con i suoi capelli spettinati, tatuaggi e piercing ovunque. Due poli opposti fatti l’uno per l’altra.

AFTER racconta l’innocenza, il risveglio alla vita, la scoperta del sesso… è la storia di un amore ribelle, un amore pericoloso, un amore infinito tra due persone che non smettono di cercarsi e allontanarsi al tempo stesso. Che sia questo il vero amore? 

Intervista a Francesco Leto

Domanda: Il tuo romanzo inizia con una scomparsa, e la risposta l’avremo solo nelle ultime pagine, ma non è un giallo. Però è un testo molto giocato sull’assenza, sei d’accordo?

Risposta: Sì, non a caso in esergo ho scelto le parole di Naomi Alderman, dal Vangelo dei Bugiardi, ‘tu non sai che significa sentire la sua mancanza’ … c’è struggimento nel sentire questa mancanza, a volte persino strazio. Ma i miei personaggi sono tutt’altro che avvinti da questo sentimento. Non sono per niente contemplativi, non si struggono nella nostalgia. Ho cercato di renderli in tutta la loro dignità di fronte al dolore. Che il dolore non diventasse dolorismo cioè e che, per conseguenza, la scrittura perdesse la sua forza viscerale e diventasse, come dire, verbosa… cioè superflua, retorica, insopportabile. Ho scritto col coltello tra i denti piuttosto che leccandomi le ferite. Chi se ne frega del mio dolore o di quello dei miei personaggi o del mondo intero. Volevo insomma, come diceva De Sanctis mi pare, risparmiarvi le mie lacrime e rendere invece le lacrime delle cose.

 

Mia Martini, la sua storia, la sua voce: che ruolo hanno nel romanzo?

 

Il mio è un romanzo corale. Questo per dire che ogni personaggio all’interno di esso ha la sua ragione di esistere. Nel caso di Mimì Bertè, per tutti poi diventata Mia Martini, devo dire che era da tempo che pensavo di scrivere qualcosa su di lei. Da bambino, durante i viaggi in macchina con mio padre, c’erano queste cassette. La sua voce era una voce familiare, insomma. Più tardi, quando ho conosciuto meglio la sua storia, l’ho amata definitivamente. Altro che portare sfiga … i veri sfigati sono quelli che non sopportano il talento degli altri, altrimenti perché mai avrebbero dovuto calunniare così Mia Martini, se non perché la sua voce era unica. Comunque all’interno del mio romanzo la vicenda di Mimì Bertè si inserisce tra le trame di una storia principale, quasi ne fosse la colonna sonora.

Il mare è l’ordito di questa storia, fa da sottofondo, da elemento di raccordo tra i personaggi e le loro storie: cosa rappresenta per te e perché hai scelto di renderlo così centrale?

 

A me non manca quasi niente della mia terra. Pochissime cose. Il mare è forse la più importante. Le mie radici stanno nel mare della Calabria, proprio lì dove le radici non possono attecchire. Pensa che in Calabria quando si vive un lutto importante la prima cosa ad essere bandita è proprio il mare, anche per anni, decenni. Vedi, torniamo comunque sempre al tema della mancanza… Io da bambino, quando vedevo le donne vestite di nero, magari vedove o che avevano perso un figlio, un fratello, le guardavo sempre con un senso di pietà. Ma una pietà sincera, mi dicevo ‘pensa quanto sono tristi se decidono addirittura di non andare al mare’.

 

Maria, la protagonista, è una donna solida, concreta, con “gambe forti” come tutte le donne di Bagnara Calabra. E’ lei il pilastro della famiglia? E gli uomini?

 

Maria è il centro di tutto, ma ogni personaggio femminile ha una sua propria forza in questo romanzo. Sì, sono proprio loro le protagoniste di questo romanzo, le mie femminote! Bagnara Calabra si è retta storicamente su un’economia quasi esclusivamente femminile. Erano le donne che con la corba sulla testa camminavano fino ai paesi vicini per barattare o vendere i loro prodotti. Gli uomini perciò diventano automaticamente mariti, figli, cioè hanno un senso in relazione a una donna.

Il cielo resta quello è il tuo secondo romanzo e ha tratti molto differenti dal tuo esordio, Suicide Tuesday. È stata una scelta precisa o una naturale evoluzione del tuo lavoro?

 

Credo che ogni libro che si scrive segni un periodo della propria vita. Io non volevo proprio scrivere. Mi hanno inventato, in questo senso. Cioè mi è stato detto ‘non sei male, ma perché non ci provi?’. Non ho mai avuto il sacro fuoco per niente. Persino le letture che ho fatto e continuo a fare hanno sempre il sapore della scoperta, sono curioso certo, ma non sono uno colto. Prima di addormentarmi devo leggere un paio di pagine, ma ho i miei tempi. A volte i libri li divoro, a volte li studio un po’, a volte mi annoiano.

Comunque ogni scelta è sempre un’evoluzione del proprio pensiero o di un proprio convincimento. Io credo d’essere diventato più bravo. Certo non sarò mai una rivelazione, né per me né per gli altri, però se sarò capace di migliorare, di volta in volta, la forma che do alle parole, be’ per il quarto o quinto romanzo magari inizierò a pensare che in fondo non sono poi stato una cattiva invenzione …

Le copertine non sono (solo) immagini

“Le copertine non sono immagini, sono materia fisica.”
E quindi: toccate la lavagna! Cioè la cover del nuovo romanzo di Dinaw Mengestu Tutti i nostri nomi.
Già selezionata tra le migliori cover dal NYT per il 2014, anche nell’edizione italiana del romanzo l’effetto lavagna è sì visivo, ma prima di tutto è tattile.
“Abbiamo usato una carta speciale, modello Curious Matter Black da 135 grammi della Arjowiggins. La stampa della sovraccoperta è una serigrafia a un solo colore. Le scritte fatte a mano con un gessetto bianco, scansionate e impaginate”.
Il risultato? Bello.

La felicità del meno

La felicità del meno

Le dieci regole dei monaci per vivere meglio

Siamo sicuri che la vita monastica sia una rinuncia?

Proviamo a guardare il nostro stile di vita: siamo schiacciati da ritmi alienanti, mancanza di tempo, paura di insuccessi, pensieri ossessivi verso il denaro, solitudini di vario genere, e fatichiamo a trovare un senso profondo a ciò che facciamo.

Ora guardiamo nel monastero: il tempo non schiaccia, ma scandisce le giornate. Nella solitudine c’è sempre una guida, un abate, un maestro. Il denaro è un mezzo collettivo, non un fine individuale. Ogni singola azione ha un significato preciso, condiviso da tutti. La bellezza è costantemente ricercata in ogni dettaglio.

Il monachesimo è una vera e propria arte di vivere, che è stata fissata e trasmessa nel corso della storia. Detti, aforismi, biografie, regole monastiche, racconti che attraversano confessioni religiose differenti, come il cristianesimo e il buddhismo, resistono attraverso i secoli, perché sono vie universali verso una conoscenza che non è sapere, ma saper vivere.

Pensate all’arte del silenzio e al suo effetto purificatore sulla persona. Pensate ancora all’arte del ri-ordino e alla ricerca dell’armonia negli oggetti e nelle cose.

Questo libro propone dieci regole monastiche fondamentali che, opportunamente rielaborate, diventano valide per tutti, e possono essere praticate negli ambienti più disparati, come negli uffici, nelle aziende, in famiglia.

Seguendole intraprenderemo un vero e proprio cammino che ci aiuterà a riappropriarci del tempo e dello spazio perduti, a disciplinare i nostri desideri e a trovare una nuova armonia.

In fine dei conti, i monaci non hanno bisogno di cercare la felicità: loro, semplicemente, sono felici.

Maria Chiara Giorda & Sara Hejazi

Paolo Paci racconta il Cervino

Ho scalato il Cervino la prima volta 25 anni fa: non mi è piaciuto e non pensavo che ci sarei mai tornato. Ma, come si dice, chi disprezza compra.

Il Cervino è troppo star, troppo icona, troppo leggenda per essere ignorato. Troppo bello, in senso assoluto. E alla fine ci sono tornato per fare, questa volta, una scalata ben più lunga e difficile. Lunga perché è durata quasi un anno. Difficile perché, oltre a cimentarmi di nuovo con le creste della montagna, ho voluto seguire, quasi pedinare i passi dei pionieri e dei grandi alpinisti che in un secolo e mezzo hanno firmato le più grandi imprese, da Whymper a Carrel, da Bonatti a Hervé Barmasse.

Ho cercato di scoprire le loro motivazioni, le passioni, i sentimenti (anche quelli meno nobili). Ho messo mano, di nuovo, a quella roccia non sempre solida e mi è sembrato, per un attimo, di averne toccato la verità.

Paolo Paci

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