Come stelle portate dal vento

Dopo avere conquistato e commosso migliaia di lettori e lettrici con Anna che sorride alla pioggia – la storia della sua bambina, nata con un cromosoma in più, e della sua famiglia – Guido Marangoni torna finalmente in libreria con una nuova storia: Come stelle portate dal vento. Un intreccio di tante storie, in realtà: testimonianze di cadute e ripartenze, paura e resilienza raccolte lungo il viaggio che lo ha portato per due anni in giro per l’Italia, a condividere in librerie, piazze e teatri l’esperienza quotidiana della fragilità.

 

Guido, com’è cambiata la tua vita dopo aver pubblicato “Anna che sorride alla pioggia?
Dico sempre che, da quando è uscito nelle librerie Anna che sorride alla pioggia, la sensazione è molto simile a quella che proverebbe un bimbo entrando a Disneyworld. Strepitoso! Vedere il libro nelle vetrine, incontrare le persone alle presentazioni, scoprire e osservare in treno una ragazza che legge il mio libro e sorridendo si commuove… tutto questo ha davvero qualcosa di magico.
In realtà, però, la vita non è proprio cambiata, ma forse si è completata, arricchita. La parte più potente, che dona veramente un senso a tutto quello che sto facendo e che con la mia famiglia stiamo facendo, sono gli incontri e le condivisioni. Riceviamo centinaia di migliaia di messaggi, incontro moltissime persone ai miei spettacoli e a volte succede che ci fermano per la strada, per salutarci e per raccontarci la loro storia. Per fortuna ho le mie donne che mi aiutano a non prendermi troppo sul serio… Ve lo confido: sono bullizzato dalle mie donne, che mi prendono in giro e ridono di me con me. È davvero meraviglioso.

 

In questo nuovo libro sveli una tua personale passione per le “rose dei venti”: un simbolo affascinante in cui hai scoperto anche una sorta di metafora della vita stessa. Ce ne vuoi parlare meglio?
La mia passione, o meglio, attenzione per la “rosa dei venti” nasce da un’interrogazione, che racconto nel libro, durante la terza elementare. Uno di quei piccoli episodi che tutti custodiamo nella memoria e che, anche se insignificanti al resto del mondo, nascondono piccole briciole di entusiasmo utili quando siamo a corto di meraviglia. Da ragazzino la disegnavo ovunque, anche sul soffitto della mia cameretta per suggerirmi la direzione che avrei preso, scoprendo sempre che la vita è un continuo cambio di rotta. Ora, da adulto, la osservo ovunque, la cerco e la trovo nei luoghi più strani: sul pavimento delle piazze, sui muri dei palazzi, sulle tovaglie, su libri, quadri e sulla pelle delle persone. Ho iniziato a chiedere il significato di alcuni tatuaggi che ho osservato su caviglie e braccia. Ogni racconto è incredibilmente pieno di vita, la rosa dei venti è essa stessa una metafora della nostra vita. Una consapevolezza di essersi spesso smarriti e un grande desiderio, che ci unisce tutti, di trovare la strada del ritorno. Adesso provo a contenermi nel chiedere spiegazioni delle rose dei venti tatuate perché, anche se Anna è diventata “la stalker del sorriso”, io non vorrei essere ricordato come “lo stalker della rosa dei venti”.

Intervista a Paola D’Accardi – Alchimisti di parole

Il 29 ottobre esce in libreria il nuovo romanzo di Marlon James, diventato famoso in tutto il mondo con Breve storia di sette omicidi, vincitore del Man Booker Prize nel 2014. James, la cui sfrenata fantasia e la cui inventiva linguistica hanno già dato vita a libri maestosi e personalissimi, ha finalmente realizzato un progetto nato molti anni fa, quando ancora tentava di farsi strada nel mondo della letteratura da un’agenzia pubblicitaria di Kingston, nella natia Giamaica. Il progetto era un fantasy tutto africano e il risultato è Leopardo nero, Lupo rosso, primo volume di una trilogia alla quale l’autore ha dato il nome Dark Star.
Ad affrontare ancora una volta il linguaggio flamboyant di James è Paola D’Accardi, bravissima traduttrice, che certamente non soffre di vertigini e ha letto e trasportato in italiano il nostro scrittore.

Cominciamo con una domanda generale sul tuo lavoro, sul tuo metodo: come affronti il testo? Quali sono le fasi essenziali attraverso le quali procedi alla traduzione? E in particolare, come hai affrontato Leopardo nero, Lupo rosso, che è già il terzo libro di James su cui lavori?

Le fasi essenziali per me sono sempre le stesse: lettura del testo originale, traduzione e riletture del mio testo. A cambiare ogni volta è l’approccio mentale con cui cerco una strategia per trasmettere al lettore quella che Franca Cavagnoli chiama «la voce del testo», cioè ─ in massima sintesi ─ non solo quello che l’autore dice, ma come lo dice, che è il compito più arduo di chi traduce. Ogni libro quindi è un caso a sé: a volte non è difficile trovare la chiave per entrare in sintonia con la sua voce, come fosse un animale sconosciuto che si lascia subito accarezzare e mangia dalla tua mano. Altre volte, la voce è una bestia selvatica: elusiva, mimetica, ritrosa. Difficile da catturare. Altre volte ancora, è un cavallo selvaggio indecifrabile, ombroso, recalcitrante e la traduzione uno sforzo quasi muscolare, una doma paziente e costante che richiede forza e finezza. Leopardo nero, Lupo rosso appartiene a quest’ultima categoria per più di un motivo: la lingua non standard, l’ambientazione fantastica, la scrittura spesso oscura, la narrazione non cronologica, la trama labirintica… e mi fermo qui. Diciamo che i colpi di scena che sbalzano di sella il lettore non mancano.

Sicuramente, una delle caratteristiche più interessanti di Marlon James è la libertà del linguaggio, e in questo nuovo romanzo, l’autore si diverte a reinventare il fantasy mescolando storia, leggende, miti africani con fumetti (penso a Black Panther), politica, sesso e avventura. Hai fatto ricerche particolari durante la lettura? In particolare, ci sono degli elementi che ti hanno affascinato?

È vero, il romanzo mescola molti elementi diversi e le fonti d’ispirazione citate dall’Autore sono tante e disparate. A fare la parte del leone sono senz’altro i fumetti della Marvel, Avengers in testa, di cui James si dichiara avido lettore. Ma ovviamente ha attinto a piene mani anche dalla cultura popolare e dalla tradizione letteraria africana. Quindi ho letto alcuni testi da lui citati che ancora non conoscevo. Sundiata, nella trascrizione dalla tradizione orale, che narra l’epopea del leggendario eroe considerato il fondatore del Mali. The forest of a thousand demons, ─ scritto in lingua yoruba dal nigeriano D.O. Fagunwa nel 1938 e tradotto in inglese da Wole Soyinka nel 1968 ─ e il suo diretto «discendente», My life in the bush of ghosts, di Amos Tutuola (1954), che ha ispirato l’omonimo e bellissimo album di David Byrne e Brian Eno. Questi ultimi due testi narrano vicende fantastiche relative a spiriti e demoni, ma in una chiave scanzonata, lontana dalle atmosfere dark e orrorifiche di Leopardo nero, Lupo rosso. Un elemento di fascino incontrato nel romanzo sono i griot, cioè i poeti-cantori-musicisti detentori della tradizione orale di molti popoli africani. Trovare queste figure così tradizionali e i versi scritti per loro in un fantasy è una sorpresa che mi ha incantato.

Il fantasy è un genere canonico: si pensa a Tolkien in primis, ma ultimamente non può essere sfuggito a nessuno il grande successo del Trono di spade. E tra l’altro anche Leopardo nero, Lupo rosso diventerà una serie TV. Sei ricorsa ai classici o hai semplicemente seguito il corso della narrazione di James?

Non sono ricorsa ai classici del genere, ma forse «semplicemente» non è la parola più adatta a descrivere il lavoro necessario per seguire la narrazione e la scrittura di James. Come accennavo, la lingua che usa non è l’inglese standard e in più varia a seconda del personaggio, prendendosi delle libertà, soprattutto nella grammatica e nella concordanza dei tempi, che mettono a dura prova la pazienza e le risorse di chi traduce. Quindi il livello di sensibilità, intuizione, logica, deduzione, creatività e capacità di scrittura che, traducendo, si è costretti a mettere in gioco è molto alto. In effetti, però, una mano dai classici l’ho avuta, anche se non da quelli che si potrebbero immaginare. Ricordo le rielaborazioni scritte che facevo a scuola dei grandi poemi come l’Odissea, l’Iliade, l’Orlando furioso. Non sto facendo un paragone con quei classici, ovviamente, ma con quell’esercizio per entrare in una lingua, uno stile, una forma ostici, estranei, a volte astrusi, per appropriarmene. Traducendo Leopardo nero, Lupo rosso mi sono resa conto di quanto io debba ancora oggi a quella palestra, che può far sorridere tanto è precoce, quasi infantile, ma preziosa. Insomma, certe cose ti accompagnano per sempre e chi l’avrebbe detto, allora, come mi sarebbe tornato utile Ulisse… e quel fantasy intitolato Odissea.

Intervista a Nina de Pass, autrice di “L’anno dopo di te”

Da pochi giorni in libreria con il suo romanzo L’anno dopo di te, abbiamo intervistato l’autrice Nina De Pass per conoscere meglio questa bellissima storia che ci ha regalato.

 

Questo è il tuo primo romanzo. Da dove hai preso ispirazione?

 All’età di diciassette anni, ho assistito a un terribile incidente davanti a una scuola e non l’ho mai dimenticato. Una mia coetanea ha perso la vita, un’altra, al volante, è sopravvissuta. Non conoscevo le persone coinvolte in prima persona nella vicenda, eppure mi sono rimaste in mente per più di dieci anni; ho pensato spesso a quanto accaduto, a tutto ciò che è successo dopo. L’anno dopo di te non racconta precisamente di quell’incidente – non spetta a me parlarne – ma gli eventi del romanzo scaturiscono da un fatto simile. Per anni ho riflettuto sulle conseguenze di una tale tragedia e sul rapporto complesso tra senso di colpa e dolore. Come ti rassegni a una vita senza qualcuno che ami, se ti senti responsabile per la sua morte?

Per quanto riguarda l’ambientazione, mi sono ispirata all’immagine dell’iconico Grand Budapest Hotel di Wes Anderson; per il paesaggio innevato, invece, ho preso spunto da vecchi film di James Bond, mentre per gli scenari invernali dalla serie della BBC, The Night Manager. L’inverno è la mia stagione preferita e la scena iniziale del libro – un viaggio pericoloso lungo delle strade ghiacciate e spazzate dal vento fino alla nuova scuola di Cara – mi è sorta spontanea.

 

 I tuoi personaggi arrivano dritti al cuore. Come ti è venuta l’idea per Cara e Hector? E per gli altri personaggi? C’è qualcosa di loro in te?

 Per certi versi, sono stata molto fortunata. Quando ho iniziato a scrivere, sapevo con esattezza chi era Cara, la mia protagonista, ovvero una diciassettenne sopravvissuta a un tragedia immane. Volevo scrivere un romanzo su una ragazza che non riusciva a scendere a patti con il suo dolore, perché immensamente aggrovigliato al senso di colpa. Quando Cara arriva a Hope Hall, infatti, è così traumatizzata che ha perso molto di sé e si è trincerata dietro una barriera d’acciaio. Quasi subito, incontra Hector, che, all’apparenza, è un po’ uno sbruffone. Bello, intelligente, seducente, aggira il sistema scolastico, incanta gli insegnanti, rispetta solo le regole che vuole. Mi è piaciuto tantissimo tratteggiare Hector; come per Cara, non ci ho impiegato molto a definire chi fosse. Sapevo esattamente cosa avrebbe detto e quale sarebbe stato il suo approccio alle cose.

Quando ho cominciato a creare la trama, mi sono resa conto che sarebbe servito qualcuno come Hector per comprendere Cara, visto quanto è a pezzi al momento del suo arrivo a scuola. Adoro la relazione tra Cara e Hector, adoro il modo in cui inizia e come progredisce.

Nel corso della storia, per me era importante che Hector si aprisse a sua volta con Cara, mentre la obbliga a confidarsi e a essere sincera riguardo quanto accaduto la notte dell’incidente.

Gli altri personaggi, invece, sono arrivati più lentamente. Considerandoli nel complesso, non credo che ce ne sia uno che mi assomigli in tutto e per tutto, ma penso di aver messo un po’ di me stessa in tutti loro. Una volta ho sentito dire che, anche se un autore creasse dei personaggi identici ai suoi amici, questi ultimi farebbero fatica a riconoscersi, quindi forse è questo che mi sta accadendo!

 

Qual è la tua routine di scrittrice?

Oltre a scrivere, lavoro a tempo pieno in un’agenzia letteraria londinese, un impiego che amo con tutto il cuore. Quindi cerco di destreggiarmi come posso tra i vari impegni, e trovare tempo per scrivere spesso è un bel caos. Scrivo di mattina presto, la sera o nei fine settimana. Mi appunto anche dettagli e frammenti di conversazione sull’autobus, in metro o per strada… ho centinaia di pagine di dialoghi bizzarri.

 

C’è qualche autore che ti ha ispirato durante la stesura del romanzo?

Certo che sì. Leggo molto, sia per lavoro che per piacere, e tengo sempre bene in mente i libri che amo, il motivo per cui li amo e il modo in cui l’autore ha raccontato la storia.

A essere sincera, gli scrittori che mi hanno ispirato sono troppi da elencare, ma tra questi al momento spicca Jojo Moyes. Ho assistito a svariate sue presentazioni e ne ho sempre tratto spunti di cui fare tesoro per la mia scrittura. Poco tempo fa, ho letto una sua intervista nella quale raccontava che faceva dei piccoli test ai suoi personaggi per vedere come avrebbero reagito. Credo sia davvero un buon consiglio, che mi ha decisamente aiutato nella costruzione dei miei personaggi. Un’altra delle mie autrici preferite è Sophie Kinsella; adoro il fatto di potermi immedesimare sempre nei suoi protagonisti. È l’autrice che scelgo quando desidero dei personaggi adorabili e delle storie avvincenti, che ti trascinano fino all’ultima pagina. Per quanto riguarda gli scrittori di YA, amo Jennifer Niven e Jeff Zentner; entrambi hanno uno stile magnifico e la capacità di catturare alla perfezione emozioni complesse.

 

Puoi raccontarci qualche fatto curioso riguardante L’anno dopo di te e la sua pubblicazione?

 Il fatto che più amo – e non ci crederete, ma vi giuro che è vero! – è che ho scoperto che L’anno dopo di te sarebbe stato pubblicato un giorno in cui lavoravo da casa perché a Londra aveva nevicato tanto che non mi ero potuta muovere. Non solo a Londra non nevica mai – e dico mai –, ma questo è un romanzo ambientato sulla neve, sulle Alpi, per lo più.

L’universo mi stava dicendo qualcosa…

Rimettiti in forma con Burning Revolution

Burning Revolution nasce dalla voglia di aiutare il maggior numero di persone a rimettersi in forma. È il frutto della mia esperienza come personal trainer e wellness coach. Da quando, a 25 anni, ho aperto il mio centro di personal training il mio scopo è stato diffondere il buon allenamento e la corretta alimentazione. Ho fatto di tutto in questi anni per aiutare le persone a riprendersi in mano la propria salute. Attraverso il mio Blog e canale Youtube sono entrato in contatto con decine di migliaia di persone e quotidianamente offro contenuti di qualità per percorrere la strada del benessere fisico. Il libro Burning Revolution, che ho deciso di scrivere è nato dalla voglia di offrire qualcosa in più. Di un piano strutturato di dieta e allenamento da seguire ideale anche per chi è agli inizi.

Grazie a questo manuale il lettore potrà addentrarsi con un linguaggio semplice negli argomenti che regolano il dimagrimento e la perdita di grasso.

Ci tengo a sottolineare che per strutturare un percorso corretto per il dimagrimento è importante capire i meccanismi fisiologici che stanno dietro questo processo. Questo anche per stare alla larga da tutti quei sistemi che prometto risultati veloci, ma che non sono nientr’altro che dei “perditempo” e “mangiasoldi”.

Da parte mia mostrerò come alzare realmente il metabolismo in modo semplice e pratico. Il tutto per permettere che i risultati raggiunti siano stabili e duraturi nel tempo.

Lo ribadisco più volte nel libro: non esistono scorciatoie o metodi rapidi e immediati; dimentica le pubblicità che promettono miracoli.

Non si dimagrisce affidandosi al caso: bisogna acquisire consapevolezza, agire con tenacia e intelligenza senza arrendersi alla prima difficoltà. Se nella strategia che hai individuato manca anche uno solo di questi elementi, il fallimento è molto probabile, se non certo. Devi abbandonare i falsi miti, i messaggi pubblicitari erronei, promesse mirabolanti dei produttori di barrette per il rapido dimagrimento. Non funzionano!

I risultati passano da azioni quotidiane che nel breve diventano buone abitudini. E quando tutto questo diventa il tuo stile di vita allora starai percorrendo la strada corretta al miglioramento fisico.

Con questo manuale vorrei spronare i lettori a intraprendere un viaggio fisico e mentale, teorico e pratico, che li conduca a visualizzare una nuova immagine di se stessi e a sperimentare una modalità efficace per raggiungerla, in modo che gli sforzi non siano vani (quindi frustranti) ma conducano al risultato che ciascuno si è preposto.

Non si parla di utopie, ma di mete concretamente raggiungibili: bisogna prima definire traguardi alla propria portata, avvalendosi di indicazioni teoriche per acquisire conoscenze e nuove consapevolezze e di consigli pratici da mettere in atto giorno per giorno.

Cercherò di far tutto questo anche grazie ai piani dettagliati che ho creato al termine del libro. Sia che tu sia fermo da tanti anni, oppure che tu abbia pochi chili da perdere Burning Revolution può aiutarti in questo.

Sono sicuro che il piano alimentare che ho strutturato possa aiutarti a capire come mangiare concretamente ogni giorno, mostrandoti uno stile alimentare sostenibile per tutta la vita. Stessa cosa, l’allenamento proposto, ti permetterà di allenarti anche in casa senza disporre di grandi attrezzi. Allenamenti rapidi che stimoleranno i tuoi muscoli a tenere alto il metabolismo. Questo è il segreto per i risultati duraturi: uno stile di vita attivo fatto da buon cibo e da movimento quotidiano.

Sono sicuro che se metterai in pratica i consigli di Burning Revolution potrai dare al tuo fisico più efficienza, più salute e più tonicità. Inizia ora il tuo percorso per il benessere fisico.

Umberto Miletto

Il piccolo libro del Jujitsu aziendale

Il tuo capo è uno str…atega eccezionale nel metterti i bastoni fra le ruote? I colleghi ti pugnalano alle spalle? Quando sei vittima di queste dinamiche, pensi di essere nel posto di lavoro sbagliato. Ah… se solo potessi cambiare lavoro! Ah… se solo trovassi l’azienda giusta, l’ambiente meritocratico, il team collaborativo…!

 

Sono cose che per lungo tempo ho pensato anch’io. I libri di leadership, le conferenze, le storie su Linkedin, ci vendono l’immagine di posti di lavoro meravigliosi, capi illuminati, carriere soddisfacenti… che purtroppo sono per la maggior parte o buon marketing o pura fantasia. Se è vero, che esistono aziende virtuose e luoghi di lavoro sani, è purtroppo di gran lunga più ricorrente la presenza di luoghi tossici, permeati da lotte di potere, lavori noiosi e carriere stagnanti.
La mia curiosità e il mio percorso professionale mi hanno portato a lavorare in tutto il mondo, da Hong Kong a Singapore, passando per New York, Shanghai, Milano, Bangkok. Ricoprendo ruoli manageriali nel settore risorse umane ho avuto negli anni una visione privilegiata sulle dinamiche dei gruppi, e posso dire che senza eccezioni, a ogni latitudine, settore o ufficio ho assistito – in misure diverse – a uno stesso fenomeno: i giochi di potere.
Dopo anni, ho ripensato a tutti gli episodi che ho dovuto affrontare per farmi largo lungo la mia carriera, dai capi che cercavano di assegnarmi a progetti fallimentari ai colleghi invidiosi, fino al mobbing vero e proprio. Ho poi attinto a tutte le storie di colleghi, cui ho assistito in giro per il mondo, nei vari uffici dove ho lavorato, ricordando vicende e conflitti che in un dipartimento HR ci si ritrova spesso sulla scrivania. E ho deciso di farne una guida. Una guida per aiutare il lavoratore ad accelerare la propria carriera, vivendo la professione in modo sereno, senza essere più vittima di queste trappole e sgambetti continui, che rovinano la quotidianità di milioni di lavoratori.
La guida che è nata è un manuale di … jujitsu: già, perché come nell’antica arte marziale giapponese, ti invito a usare la forza dei nemici contro di loro, senza mai dover offendere o attaccare per primo.
In questo libro ho voluto inserire tutte le mosse del jujitsu aziendale che ho appreso negli anni, utili per mettere K.O. ogni genere di nemico, a qualsiasi livello della gerarchia, facendo sì che siano i suoi stessi attacchi a farlo capitolare.
Il piccolo libro del jujitsu aziendale nasce dall’idea che possiamo e dobbiamo essere felici sul luogo di lavoro, ma per farlo occorre eradicare una volta per tutte i giochi di potere dall’ufficio, stroncandoli sul nascere. Una battaglia nobile che per sua natura richiede una raffinata tecnica di combattimento. Questo piccolo manuale ti trasformerà in un maestro di jujitsu aziendale, perché anche tu meriti una carriera più ricca di soddisfazioni e meno problemi, ed è giunto il momento di andartela a conquistare.

Toni Morrison, il nostro ricordo

Toni Morrison (Lorain 18 febbraio 1931 – New York, 5 agosto 2019)

Il 5 agosto scorso si è spenta a New York Toni Morrison, una delle più grandi scrittrici americane, autrice di romanzi e saggi nei quali è riuscita a mostrare il mondo, e non solo quello statunitense, da un punto di vista diverso da quello predominante, cioè da quello degli uomini bianchi. Un’impresa straordinaria per una donna nata all’inizio degli anni Trenta in provincia, cresciuta in una società segregazionista e arrivata alla scrittura a quasi quarant’anni. E d’altro canto, Toni Morrison è – difficile usare il tempo passato – una donna straordinaria: prima afroamericana a vincere il premio Nobel per la letteratura, riconoscimento di un lavoro formidabile, potente, di scavo nella storia di un popolo intero. Un lavoro culminato in un libro che si chiama Amatissima, la storia di una schiava in fuga che uccide la figlia pur di sottrarla a un destino simile al suo. Quella di Sethe, la schiava, è una storia vera, una delle tante storie di disumanità che Morrison ha contribuito a disseppellire mostrando i lati oscuri della Storia Americana. Da L’occhio più azzurro, il suo primo romanzo, fino a L’importanza di ogni parola, la raccolta di saggi pubblicata proprio nel 2019, Toni Morrison ha sempre tenuto fede a una poetica della responsabilità: per lei scrivere non è stato un mero atto estetico ma un gesto politico, ovvero un gesto, appunto, di responsabilità sociale. Perché la letteratura è questo: “Moriamo.” Ha detto la scrittrice nel suo discorso di accettazione del Nobel. “Forse è questo il significato della vita. Ma produciamo il linguaggio. E forse è questa la misura delle nostre vite.”

Abbiamo deciso allora di dare seguito all’eredità di Toni Morrison.

Da oggi, 5 settembre, quindi dedicheremo ogni mese uno spazio alle parole della scrittrice, a partire da quelle tratte dal suo romanzo più famoso, Amatissima.

Non era una storia da tramandare.

Così la dimenticarono. Come si fa con un sogno spiacevole durante un sonno penoso. Ogni tanto, però, quando si svegliano si sente cessare il fruscio di una gonna e le nocche che passano su una guancia nel sonno sembrano appartenere a chi dorme. A volte la fotografia di un amico intimo o di un parente — osservata troppo a lungo — cambia e vi si vede muovere qualcosa di più familiare del volto caro che c’è lì. Possono toccarlo, se vogliono, però non lo fanno, perché sanno che se lo facessero le cose non sarebbero più le stesse.

Questa non è una storia da tramandare.

Dietro al 124, vicino al fiume, le sue impronte vanno e vengono, vanno e vengono. Sono così familiari. Se un bambino o anche un adulto vi mettessero i piedi dentro, combacerebbero. Se li togliessero, scomparirebbero di nuovo, come se nessuno avesse mai camminato lì. Ora ogni traccia è scomparsa e ciò che è stato dimenticato non sono solo le impronte, ma anche l’acqua e quello che c’è là sotto. Il resto è il tempo. Non l’alito di chi è dimenticata e inspiegata, ma il vento nei grondoni, o il ghiaccio che in primavera si scioglie troppo in fretta. Solo il tempo. Di sicuro non si sente reclamare a gran voce un bacio.

Amatissima.

Daniel Mazza ad ottobre in libreria

Daniel Mazza a 24 anni ha un lavoro in un aeroporto e un sogno: andare in Australia. Lavorando sodo, riesce ad acquistare un biglietto di sola andata per Sydney. Una nuova vita lo aspetta e quando scende dall’aereo si innamora ancora di più di quella terra. Comincia così la prima di molte appassionanti avventure che Daniel racconta nel suo blog, sempre più seguito. Dopo un anno in Australia, riesce a ripartire per nuove mete, la Thailandia, l’Indonesia, il Vietnam, mentre la sua passione diventa un meraviglioso lavoro. Sincero, aperto, adrenalinico, Daniel diventa un viaggiatore e un vero esploratore che  con il sorriso e la sua voglia di scoprire riuscirebbe a convincere anche il più ostinato sedentario a fare la valigia e a partire alla ventura. Un appassionante racconto che ci porta in luoghi meravigliosi, alla scoperta di emozioni, incontri, colori che lasciano un’eco profonda.

L’autore:

Daniel Mazza, nato nel 1988 a Ciriè, in provincia di Torino, nel 2008 inizia a lavorare come addetto alla sicurezza all’aeroporto di Torino. Nel 2010 crea il blog Mondo Aeroporto, dove racconta aneddoti relativi al suo lavoro, blog che in pochissimo tempo viene seguito da centinaia di migliaia di followers, tanto che, nel 2014, Daniel ne fa un libro, Mondo Aeroporto, autopubblicato, che rimane in vetta alle classifiche dei libri più venduti su Amazon per diverse settimane. Nel 2012 decide di dare una svolta alla sua vita chiedendo un aspettativa  dal suo lavoro e trasferendosi in Australia, a Sydney, dove rimane per quasi un anno. Nel 2016 abbandona definitivamente il lavoro in aeroporto e con Gabriele Saluci dà vita all’iniziativa “Carichi per il Vietnam”, partendo per un viaggio solidale che lo porta a percorrere quasi quattromila chilometri in sella a una motocicletta per consegnare materiale scolastico a decine di orfanotrofi vietnamiti (le riprese del viaggio vengono trasmesse su Rai Tre durante la trasmissione Kilimangiaro). Oggi organizza viaggi di gruppo con i followers del suo blog. In tre anni quasi duemila persone hanno già viaggiato con lui. Sogna di visitare il Tibet, l’isola di Pasqua, il Salar de Uyuni in Bolivia e di percorrere interamente la Panamericana per scrivere altri libri di viaggio.

Brevi riflessioni di fisica quantistica – A proposito di fatti – (Fabio Fracas 50)

“Non esiste un mondo quantistico. C’è soltanto una descrizione quantistica astratta. È sbagliato pensare che lo scopo della fisica sia di scoprire come la natura è. La fisica riguarda ciò che possiamo dire sulla natura.”

Aage Petersen, che fu assistente di Niels Bohr fino al 1962, nell’articolo dal titolo “The philosophy of Niels Bohr” – pubblicato su “The Bulletin of the Atomic Scientists”, nel settembre 1963 – riporta questa frase del grande fisico. E lo fa inserendola in un contesto che unisce fisica e filosofia in un unico approccio.

D’altronde, come ben chiarisce il filosofo Luigi Vero Tarca: “Nella narrativa pubblica degli ultimi secoli il sapere scientifico è stato presentato come l’unico che dispone di un valore universale, cioè idoneo a portare ‘bene-essere’ a tutti gli umani. Ciò perché esso si baserebbe su due fattori che tutti gli umani condividono in maniera libera: il pensiero logico-razionale e l’esperienza dei fatti oggettivi della natura. Non è la costrizione del potere a convincere ciascuno di noi che 2 + 2 fa 4, ma la nostra ragione; e non è la teoria di Newton a far girare gli astri nel cielo, perché essa si limita a descrivere la legge del loro movimento. Appunto in quanto ‘oggettiva’ – e quindi rispettosa di ciò che accomuna tutti gli uomini (la ragione e i fatti naturali) – la scienza sarebbe l’unico sapere benefico per tutti gli uomini. Ma questa narrativa si è rivelata una favola.

Da un lato è tramontata (dopo Wittgenstein e Gödel) l’idea che ci siano verità razionali innegabili; dall’altro lato è caduto (con i lavori di Bohr e di Heisenberg nella fisica quantistica) il presupposto che ci siano verità oggettive, sicché siamo portati a dare ragione a Nietzsche, per il quale non ci sono fatti ma solo interpretazioni.”

Save, la nuova serie di Mona Kasten

Dalla penna di Mona Kasten, acclamata stella del genere New Adult grazie alla sua serie Again, una nuova saga a base di amore, segreti e colpi di scena. Si intitola Save ed è composta da tre romanzi: Save Me, Save You, Save Us.

Sullo sfondo del Maxton Hall college, una delle scuole più prestigiose di Inghilterra, si incontrano – o meglio, scontrano – Ruby, studentessa borsista che sogna Oxford, e James, il ricco rampollo di una dinastia inglese. Diversissimi in tutto e per tutto, si ritroveranno in balia di un’attrazione irresistibile.

In Germania, la serie ha venduto oltre 1 milione di copie, occupando per settimane i primi posti delle classifiche.

La storia Ruby e James – due mondi agli antipodi, attratti come calamite – arriva finalmente in Italia a partire da settembre, in libreria e in tutti gli store digitali.

Si comincia con Save Me il 3 settembre.

Si continua con Save You il 24 settembre.

E per il gran finale con Save Us, appuntamento il 15 ottobre.

Siete pronti a lasciarvi travolgere da Ruby e James?

Intervista ad Anstey Harris, autrice de La musica segreta di Parigi

Da dove ti è venuta l’ispirazione per questa storia?

Mi interessa molto il modo in cui la società rappresenta le figure femminili nella letteratura (e nell’arte): o Madonne o Lady Macbeth, senza vie di mezzo. Volevo scrivere qualcosa che mettesse in discussione i pregiudizi sulle donne e i ruoli precostituiti. La mia sensazione è che la nostra società sia più severa, ad esempio, con le amanti che con gli uomini con cui hanno una relazione: come se le donne dovessero fare sempre attenzione ai propri comportamenti, mentre per gli uomini fosse tutto inevitabile. Tutto il movimento #MeToo dimostra che dobbiamo essere più solidali tra donne, anziché giudicarci a vicenda – perché questo non fa che agevolare comportamenti inaccettabili da parte degli uomini.
Ciò che accade alla protagonista, Grace, ai tempi del college deriva da un mix di esperienze di tanti miei amici che lavorano in campo artistico: una storia vecchia come il mondo. Tanti elementi della vicenda di Grace, e di Nadia in particolare, erano intorno a me da tempo; quando ho ottenuto il master in scrittura creativa, è arrivato il momento giusto per tirare le fila di tutto.

Il romanzo è ambientato in parte in Italia. Sei mai stata nel nostro Paese, e in particolare a Cremona?

Sono stata a Cremona tre volte in occasione della Triennale, e ogni volta quella piccola città meravigliosa mi è sembrata più vivace e interessante. C’è un nuovo Museo del Violino che invito tutti a visitare: è un’ottima introduzione al mondo della liuteria, per la quale potrebbe nascervi la curiosità al termine di questo romanzo.
Amo tante cose dell’Italia: il cibo, la gente, il clima fantastico e l’architettura. Quando visitiamo il vostro Paese, io e mio marito arriviamo in treno, accolti dalla cornice impressionante delle montagne. Lui è un liutaio e torneremo di sicuro in occasione della prossima Triennale (nel 2021); mio marito ha partecipato tre volte: se la prossima riuscisse a vincere, sarebbe la ciliegina sulla torta della storia di Grace!

Credi che i luoghi, le città possano influenzare la nostra vita, come se avessero un significato simbolico?

Siamo senza dubbio influenzati dalle città in cui viviamo; ecco perché per questo romanzo ho scelto due città che hanno tanta personalità e tanto cuore. La tradizione liutaia di Cremona ha fatto sì che il prestigio di quella città arrivasse in ogni angolo del mondo. Nel nuovo Museo del Violino c’è una bellissima mostra che illustra la diffusione del violino e il modo in cui ha viaggiato insieme a esploratori e coloni.
Parigi è rinomata come città delle luci, come cuore della cultura, ma soprattutto come città dell’amore. Nel mio libro, Parigi e la sua magia contribuiscono a rendere David più romantico agli occhi di Grace, che, accecata dal suo incantesimo, non riesce a vedere la verità.

La musica gioca un ruolo fondamentale in questo romanzo. Che spazio ha nella tua vita?

Sarebbe fantastico poter dire che sono una musicista e che sentivo Grace dentro di me ogni volta che prendevo in mano uno strumento… e invece no, sono una pessima violoncellista. Prendo lezioni, di tanto in tanto, da quando avevo 11 anni e non sono mai riuscita a superare il 2° livello.
Poiché mio marito è un liutaio, sono sempre circondata dai suoi clienti, tutti musicisti straordinari. Mi piacerebbe essere brava, ma… non si può avere tutto! Per il resto, nella mia vita la musica ha un ruolo centrale. I miei figli sono tutti molto portati e mia figlia, Lucy Spraggan, ha avviato un’ottima carriera di cantautrice. La musica, e in particolare il canto, sono sempre stati un pilastro della nostra famiglia.

Hai una playlist particolare che ti accompagna quando scrivi?

Ecco un’altra risposta che potrebbe suonare inaspettata per un romanzo incentrato sulla musica. Per scrivere ho bisogno di assoluto silenzio. Associo delle melodie ai personaggi e, quando non riesco a immaginare il seguito della storia, ascolto quella musica per ricordarmi come li volevo. Ma, a parte questo, silenzio totale. All’inizio, la melodia di Grace era l’Adagio di Bach in sol minore per viola da gamba e clavicembalo, ma era troppo malinconico e non la rendeva abbastanza dinamica. Poi ho ascoltato il violoncellista Matthew Sharp suonare Libertango e ho capito subito che quella era la colonna sonora di Grace. In seguito Matthew ha registrato un arrangiamento tutto suo di Libertango per la playlist del libro (che potete trovare sul mio sito: https://www.ansteyharris.com/blog/graces-listening-list)

Hai un luogo preferito per scrivere?
Sono così fortunata da possedere un capanno sulla spiaggia, sul lungomare della città in cui vivo, Deal. Mi siedo lì a osservare il mare, nella speranza che qualche parola s’incastri a dovere! C’è un fornello con un bollitore e una macchina del caffè, e un Fish & Chips proprio sull’altro lato della passeggiata. Perfetto, no?

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