Il piccolo libro del Jujitsu aziendale

Il tuo capo è uno str…atega eccezionale nel metterti i bastoni fra le ruote? I colleghi ti pugnalano alle spalle? Quando sei vittima di queste dinamiche, pensi di essere nel posto di lavoro sbagliato. Ah… se solo potessi cambiare lavoro! Ah… se solo trovassi l’azienda giusta, l’ambiente meritocratico, il team collaborativo…!

 

Sono cose che per lungo tempo ho pensato anch’io. I libri di leadership, le conferenze, le storie su Linkedin, ci vendono l’immagine di posti di lavoro meravigliosi, capi illuminati, carriere soddisfacenti… che purtroppo sono per la maggior parte o buon marketing o pura fantasia. Se è vero, che esistono aziende virtuose e luoghi di lavoro sani, è purtroppo di gran lunga più ricorrente la presenza di luoghi tossici, permeati da lotte di potere, lavori noiosi e carriere stagnanti.
La mia curiosità e il mio percorso professionale mi hanno portato a lavorare in tutto il mondo, da Hong Kong a Singapore, passando per New York, Shanghai, Milano, Bangkok. Ricoprendo ruoli manageriali nel settore risorse umane ho avuto negli anni una visione privilegiata sulle dinamiche dei gruppi, e posso dire che senza eccezioni, a ogni latitudine, settore o ufficio ho assistito – in misure diverse – a uno stesso fenomeno: i giochi di potere.
Dopo anni, ho ripensato a tutti gli episodi che ho dovuto affrontare per farmi largo lungo la mia carriera, dai capi che cercavano di assegnarmi a progetti fallimentari ai colleghi invidiosi, fino al mobbing vero e proprio. Ho poi attinto a tutte le storie di colleghi, cui ho assistito in giro per il mondo, nei vari uffici dove ho lavorato, ricordando vicende e conflitti che in un dipartimento HR ci si ritrova spesso sulla scrivania. E ho deciso di farne una guida. Una guida per aiutare il lavoratore ad accelerare la propria carriera, vivendo la professione in modo sereno, senza essere più vittima di queste trappole e sgambetti continui, che rovinano la quotidianità di milioni di lavoratori.
La guida che è nata è un manuale di … jujitsu: già, perché come nell’antica arte marziale giapponese, ti invito a usare la forza dei nemici contro di loro, senza mai dover offendere o attaccare per primo.
In questo libro ho voluto inserire tutte le mosse del jujitsu aziendale che ho appreso negli anni, utili per mettere K.O. ogni genere di nemico, a qualsiasi livello della gerarchia, facendo sì che siano i suoi stessi attacchi a farlo capitolare.
Il piccolo libro del jujitsu aziendale nasce dall’idea che possiamo e dobbiamo essere felici sul luogo di lavoro, ma per farlo occorre eradicare una volta per tutte i giochi di potere dall’ufficio, stroncandoli sul nascere. Una battaglia nobile che per sua natura richiede una raffinata tecnica di combattimento. Questo piccolo manuale ti trasformerà in un maestro di jujitsu aziendale, perché anche tu meriti una carriera più ricca di soddisfazioni e meno problemi, ed è giunto il momento di andartela a conquistare.

Toni Morrison, il nostro ricordo

Toni Morrison (Lorain 18 febbraio 1931 – New York, 5 agosto 2019)

Il 5 agosto scorso si è spenta a New York Toni Morrison, una delle più grandi scrittrici americane, autrice di romanzi e saggi nei quali è riuscita a mostrare il mondo, e non solo quello statunitense, da un punto di vista diverso da quello predominante, cioè da quello degli uomini bianchi. Un’impresa straordinaria per una donna nata all’inizio degli anni Trenta in provincia, cresciuta in una società segregazionista e arrivata alla scrittura a quasi quarant’anni. E d’altro canto, Toni Morrison è – difficile usare il tempo passato – una donna straordinaria: prima afroamericana a vincere il premio Nobel per la letteratura, riconoscimento di un lavoro formidabile, potente, di scavo nella storia di un popolo intero. Un lavoro culminato in un libro che si chiama Amatissima, la storia di una schiava in fuga che uccide la figlia pur di sottrarla a un destino simile al suo. Quella di Sethe, la schiava, è una storia vera, una delle tante storie di disumanità che Morrison ha contribuito a disseppellire mostrando i lati oscuri della Storia Americana. Da L’occhio più azzurro, il suo primo romanzo, fino a L’importanza di ogni parola, la raccolta di saggi pubblicata proprio nel 2019, Toni Morrison ha sempre tenuto fede a una poetica della responsabilità: per lei scrivere non è stato un mero atto estetico ma un gesto politico, ovvero un gesto, appunto, di responsabilità sociale. Perché la letteratura è questo: “Moriamo.” Ha detto la scrittrice nel suo discorso di accettazione del Nobel. “Forse è questo il significato della vita. Ma produciamo il linguaggio. E forse è questa la misura delle nostre vite.”

Abbiamo deciso allora di dare seguito all’eredità di Toni Morrison.

Da oggi, 5 settembre, quindi dedicheremo ogni mese uno spazio alle parole della scrittrice, a partire da quelle tratte dal suo romanzo più famoso, Amatissima.

Non era una storia da tramandare.

Così la dimenticarono. Come si fa con un sogno spiacevole durante un sonno penoso. Ogni tanto, però, quando si svegliano si sente cessare il fruscio di una gonna e le nocche che passano su una guancia nel sonno sembrano appartenere a chi dorme. A volte la fotografia di un amico intimo o di un parente — osservata troppo a lungo — cambia e vi si vede muovere qualcosa di più familiare del volto caro che c’è lì. Possono toccarlo, se vogliono, però non lo fanno, perché sanno che se lo facessero le cose non sarebbero più le stesse.

Questa non è una storia da tramandare.

Dietro al 124, vicino al fiume, le sue impronte vanno e vengono, vanno e vengono. Sono così familiari. Se un bambino o anche un adulto vi mettessero i piedi dentro, combacerebbero. Se li togliessero, scomparirebbero di nuovo, come se nessuno avesse mai camminato lì. Ora ogni traccia è scomparsa e ciò che è stato dimenticato non sono solo le impronte, ma anche l’acqua e quello che c’è là sotto. Il resto è il tempo. Non l’alito di chi è dimenticata e inspiegata, ma il vento nei grondoni, o il ghiaccio che in primavera si scioglie troppo in fretta. Solo il tempo. Di sicuro non si sente reclamare a gran voce un bacio.

Amatissima.

Daniel Mazza ad ottobre in libreria

Daniel Mazza a 24 anni ha un lavoro in un aeroporto e un sogno: andare in Australia. Lavorando sodo, riesce ad acquistare un biglietto di sola andata per Sydney. Una nuova vita lo aspetta e quando scende dall’aereo si innamora ancora di più di quella terra. Comincia così la prima di molte appassionanti avventure che Daniel racconta nel suo blog, sempre più seguito. Dopo un anno in Australia, riesce a ripartire per nuove mete, la Thailandia, l’Indonesia, il Vietnam, mentre la sua passione diventa un meraviglioso lavoro. Sincero, aperto, adrenalinico, Daniel diventa un viaggiatore e un vero esploratore che  con il sorriso e la sua voglia di scoprire riuscirebbe a convincere anche il più ostinato sedentario a fare la valigia e a partire alla ventura. Un appassionante racconto che ci porta in luoghi meravigliosi, alla scoperta di emozioni, incontri, colori che lasciano un’eco profonda.

L’autore:

Daniel Mazza, nato nel 1988 a Ciriè, in provincia di Torino, nel 2008 inizia a lavorare come addetto alla sicurezza all’aeroporto di Torino. Nel 2010 crea il blog Mondo Aeroporto, dove racconta aneddoti relativi al suo lavoro, blog che in pochissimo tempo viene seguito da centinaia di migliaia di followers, tanto che, nel 2014, Daniel ne fa un libro, Mondo Aeroporto, autopubblicato, che rimane in vetta alle classifiche dei libri più venduti su Amazon per diverse settimane. Nel 2012 decide di dare una svolta alla sua vita chiedendo un aspettativa  dal suo lavoro e trasferendosi in Australia, a Sydney, dove rimane per quasi un anno. Nel 2016 abbandona definitivamente il lavoro in aeroporto e con Gabriele Saluci dà vita all’iniziativa “Carichi per il Vietnam”, partendo per un viaggio solidale che lo porta a percorrere quasi quattromila chilometri in sella a una motocicletta per consegnare materiale scolastico a decine di orfanotrofi vietnamiti (le riprese del viaggio vengono trasmesse su Rai Tre durante la trasmissione Kilimangiaro). Oggi organizza viaggi di gruppo con i followers del suo blog. In tre anni quasi duemila persone hanno già viaggiato con lui. Sogna di visitare il Tibet, l’isola di Pasqua, il Salar de Uyuni in Bolivia e di percorrere interamente la Panamericana per scrivere altri libri di viaggio.

Brevi riflessioni di fisica quantistica – A proposito di fatti – (Fabio Fracas 50)

“Non esiste un mondo quantistico. C’è soltanto una descrizione quantistica astratta. È sbagliato pensare che lo scopo della fisica sia di scoprire come la natura è. La fisica riguarda ciò che possiamo dire sulla natura.”

Aage Petersen, che fu assistente di Niels Bohr fino al 1962, nell’articolo dal titolo “The philosophy of Niels Bohr” – pubblicato su “The Bulletin of the Atomic Scientists”, nel settembre 1963 – riporta questa frase del grande fisico. E lo fa inserendola in un contesto che unisce fisica e filosofia in un unico approccio.

D’altronde, come ben chiarisce il filosofo Luigi Vero Tarca: “Nella narrativa pubblica degli ultimi secoli il sapere scientifico è stato presentato come l’unico che dispone di un valore universale, cioè idoneo a portare ‘bene-essere’ a tutti gli umani. Ciò perché esso si baserebbe su due fattori che tutti gli umani condividono in maniera libera: il pensiero logico-razionale e l’esperienza dei fatti oggettivi della natura. Non è la costrizione del potere a convincere ciascuno di noi che 2 + 2 fa 4, ma la nostra ragione; e non è la teoria di Newton a far girare gli astri nel cielo, perché essa si limita a descrivere la legge del loro movimento. Appunto in quanto ‘oggettiva’ – e quindi rispettosa di ciò che accomuna tutti gli uomini (la ragione e i fatti naturali) – la scienza sarebbe l’unico sapere benefico per tutti gli uomini. Ma questa narrativa si è rivelata una favola.

Da un lato è tramontata (dopo Wittgenstein e Gödel) l’idea che ci siano verità razionali innegabili; dall’altro lato è caduto (con i lavori di Bohr e di Heisenberg nella fisica quantistica) il presupposto che ci siano verità oggettive, sicché siamo portati a dare ragione a Nietzsche, per il quale non ci sono fatti ma solo interpretazioni.”

Save, la nuova serie di Mona Kasten

Dalla penna di Mona Kasten, acclamata stella del genere New Adult grazie alla sua serie Again, una nuova saga a base di amore, segreti e colpi di scena. Si intitola Save ed è composta da tre romanzi: Save Me, Save You, Save Us.

Sullo sfondo del Maxton Hall college, una delle scuole più prestigiose di Inghilterra, si incontrano – o meglio, scontrano – Ruby, studentessa borsista che sogna Oxford, e James, il ricco rampollo di una dinastia inglese. Diversissimi in tutto e per tutto, si ritroveranno in balia di un’attrazione irresistibile.

In Germania, la serie ha venduto oltre 1 milione di copie, occupando per settimane i primi posti delle classifiche.

La storia Ruby e James – due mondi agli antipodi, attratti come calamite – arriva finalmente in Italia a partire da settembre, in libreria e in tutti gli store digitali.

Si comincia con Save Me il 3 settembre.

Si continua con Save You il 24 settembre.

E per il gran finale con Save Us, appuntamento il 15 ottobre.

Siete pronti a lasciarvi travolgere da Ruby e James?

Intervista ad Anstey Harris, autrice de La musica segreta di Parigi

Da dove ti è venuta l’ispirazione per questa storia?

Mi interessa molto il modo in cui la società rappresenta le figure femminili nella letteratura (e nell’arte): o Madonne o Lady Macbeth, senza vie di mezzo. Volevo scrivere qualcosa che mettesse in discussione i pregiudizi sulle donne e i ruoli precostituiti. La mia sensazione è che la nostra società sia più severa, ad esempio, con le amanti che con gli uomini con cui hanno una relazione: come se le donne dovessero fare sempre attenzione ai propri comportamenti, mentre per gli uomini fosse tutto inevitabile. Tutto il movimento #MeToo dimostra che dobbiamo essere più solidali tra donne, anziché giudicarci a vicenda – perché questo non fa che agevolare comportamenti inaccettabili da parte degli uomini.
Ciò che accade alla protagonista, Grace, ai tempi del college deriva da un mix di esperienze di tanti miei amici che lavorano in campo artistico: una storia vecchia come il mondo. Tanti elementi della vicenda di Grace, e di Nadia in particolare, erano intorno a me da tempo; quando ho ottenuto il master in scrittura creativa, è arrivato il momento giusto per tirare le fila di tutto.

Il romanzo è ambientato in parte in Italia. Sei mai stata nel nostro Paese, e in particolare a Cremona?

Sono stata a Cremona tre volte in occasione della Triennale, e ogni volta quella piccola città meravigliosa mi è sembrata più vivace e interessante. C’è un nuovo Museo del Violino che invito tutti a visitare: è un’ottima introduzione al mondo della liuteria, per la quale potrebbe nascervi la curiosità al termine di questo romanzo.
Amo tante cose dell’Italia: il cibo, la gente, il clima fantastico e l’architettura. Quando visitiamo il vostro Paese, io e mio marito arriviamo in treno, accolti dalla cornice impressionante delle montagne. Lui è un liutaio e torneremo di sicuro in occasione della prossima Triennale (nel 2021); mio marito ha partecipato tre volte: se la prossima riuscisse a vincere, sarebbe la ciliegina sulla torta della storia di Grace!

Credi che i luoghi, le città possano influenzare la nostra vita, come se avessero un significato simbolico?

Siamo senza dubbio influenzati dalle città in cui viviamo; ecco perché per questo romanzo ho scelto due città che hanno tanta personalità e tanto cuore. La tradizione liutaia di Cremona ha fatto sì che il prestigio di quella città arrivasse in ogni angolo del mondo. Nel nuovo Museo del Violino c’è una bellissima mostra che illustra la diffusione del violino e il modo in cui ha viaggiato insieme a esploratori e coloni.
Parigi è rinomata come città delle luci, come cuore della cultura, ma soprattutto come città dell’amore. Nel mio libro, Parigi e la sua magia contribuiscono a rendere David più romantico agli occhi di Grace, che, accecata dal suo incantesimo, non riesce a vedere la verità.

La musica gioca un ruolo fondamentale in questo romanzo. Che spazio ha nella tua vita?

Sarebbe fantastico poter dire che sono una musicista e che sentivo Grace dentro di me ogni volta che prendevo in mano uno strumento… e invece no, sono una pessima violoncellista. Prendo lezioni, di tanto in tanto, da quando avevo 11 anni e non sono mai riuscita a superare il 2° livello.
Poiché mio marito è un liutaio, sono sempre circondata dai suoi clienti, tutti musicisti straordinari. Mi piacerebbe essere brava, ma… non si può avere tutto! Per il resto, nella mia vita la musica ha un ruolo centrale. I miei figli sono tutti molto portati e mia figlia, Lucy Spraggan, ha avviato un’ottima carriera di cantautrice. La musica, e in particolare il canto, sono sempre stati un pilastro della nostra famiglia.

Hai una playlist particolare che ti accompagna quando scrivi?

Ecco un’altra risposta che potrebbe suonare inaspettata per un romanzo incentrato sulla musica. Per scrivere ho bisogno di assoluto silenzio. Associo delle melodie ai personaggi e, quando non riesco a immaginare il seguito della storia, ascolto quella musica per ricordarmi come li volevo. Ma, a parte questo, silenzio totale. All’inizio, la melodia di Grace era l’Adagio di Bach in sol minore per viola da gamba e clavicembalo, ma era troppo malinconico e non la rendeva abbastanza dinamica. Poi ho ascoltato il violoncellista Matthew Sharp suonare Libertango e ho capito subito che quella era la colonna sonora di Grace. In seguito Matthew ha registrato un arrangiamento tutto suo di Libertango per la playlist del libro (che potete trovare sul mio sito: https://www.ansteyharris.com/blog/graces-listening-list)

Hai un luogo preferito per scrivere?
Sono così fortunata da possedere un capanno sulla spiaggia, sul lungomare della città in cui vivo, Deal. Mi siedo lì a osservare il mare, nella speranza che qualche parola s’incastri a dovere! C’è un fornello con un bollitore e una macchina del caffè, e un Fish & Chips proprio sull’altro lato della passeggiata. Perfetto, no?

“Il registratore di sogni” di Mariam Tarkeshi

«È questo, il trauma» ha scritto una volta Patrick McGrath. «L’evento sta sempre accadendo ora, nel presente, per la prima volta.»

Immagino che cominciare a presentare il proprio libro in questo modo, usando le parole di qualcun altro, non sia propriamente saggio, ma spero che me lo concediate.
Queste parole mi sono sembrate così accurate, quando le ho lette per la prima volta, che sono entrate per sempre a far parte del mio modo di pensare e di vedere il mondo.
“Il registratore di sogni” ne è una prova.
Una delle cose che più mi premeva raccontare, in questa storia, è il modo diverso in cui persone diverse affrontano i propri demoni. C’è chi non è in grado di sconfiggerli, chi non è del tutto conscio di averne e chi, in un modo o nell’altro, finisce per liberarsene, o per lo meno accettarli. Un “demone”, per come lo vedo io, può essere un vero e proprio trauma, certo, ma anche più semplicemente una dura verità, o una parte di sé che non si apprezza o che si rifiuta di riconoscere. In ogni caso, qualcosa che ci tormenta. Un dolore tanto intenso che è come se lo provassimo, appunto, “ora, nel presente, per la prima volta.”

Vi è mai capitato di stare così male da decidere di non dormire per paura di quello che avreste potuto sognare? Vi è capitato di svegliarvi con la certezza di aver fatto un incubo e, pur non ricordandolo, di portarvi dietro per il resto della giornata una brutta sensazione che non riuscite a comprendere? Forse il sonno è il momento in cui i nostri demoni ci perseguitano meglio. È il luogo privo di regole in cui possono fare quello che vogliono, liberi dalla costrizione della razionalità che, durante le ore di veglia, li tiene imbrigliati nel tentativo di proteggerci.

“Il registratore di sogni” è prima di tutto la storia di Nico e di come, tramite il registratore, impari cose di se stesso che finora ha sempre ignorato, ma è anche la storia dei personaggi che gravitano intorno a lui e che sembrano camminare in punta di piedi intorno ai propri segreti e alle proprie paure più recondite. Se c’è una cosa che lo studio delle lingue mi ha insegnato, è che c’è sempre un motivo se le parole hanno un certo aspetto, o un certo significato.
Per esempio, i tedeschi traducono la parola “sogno” con “Traum”.

Romanzi all’aria aperta: le proposte dell’estate Frassinelli

Secondo i meteorologi l’estate comincia il 1° giugno, ma per tutti noi è oggi, 21 giugno, l’inizio della più attesa delle stagioni. Il solstizio d’estate quest’anno cade di venerdì, abbiamo tutto il weekend per goderci il momento. Le giornate sono lunghissime e piene di sole, le vacanze sono a un passo (pazienza, ancora un bel respiro), le valigie scalpitano per partire, belle piene. Di vestiti, infradito, scarponi, sneaker, e naturalmente libri.
Se siete di quelli che le serie TV se le godono a casa, sempre spiaggiati, ma sul divano, junk food e grande schermo, senza la seccatura di sabbia nelle cuffie e il rischio di un tuffo in acqua che vi frizza il tablet, allora vi piacciono le storie e aspettate questo momento per recuperare finalmente quel libro che volevate leggere proprio durante le vacanze. Che sia puro intrattenimento o il romanzone di cui tutti vi hanno parlato, che sia l’ultimo libro del vostro autore preferito o il classico che avreste sempre voluto vantarvi di aver letto, il libro è l’oggetto tecnologicamente più avanzato e compatibile con sdraio e ombrellone o alpeggio e rifugio.
E se è un buon libro, vi emozionate, vi commuovete e vi arrabbiate, vi affezionate ai personaggi e volete sapere come si svolge la trama. Se è un ottimo libro (qualcuno lo definisce letterario), vi fa anche discutere, pensare, immaginare. E alla fine, magari, lo consigliate al vicino/vicina di ombrellone, o lo lasciate nella biblioteca dell’albergo affinché qualcun altro possa divertirsi quanto voi. Perché, come diceva Dorothy Parker, la cura migliore contro la noia è la curiosità (e non c’è cura alla curiosità).
Con questa rubrica estiva rivolta dunque ai curiosi, ai lettori da spiaggia (o da rifugio), agli amanti dei libri, noi di Frassinelli proviamo a proporre le nostre letture, non solo raccontando in breve il contenuto dei romanzi, ma aggiungendo i pareri di altri lettori e recensori, coinvolgendo, quando è possibile, gli autori con
un commento e infine immaginando un profilo del lettore più affine a quel libro.
Last but not least: le nostre pagine sono aperte ai vostri commenti, pensatele come un circolino di lettura, un modo per scambiare pareri non solo e non tanto con la casa editrice (che magari vi può dare qualche informazione in più, comunque), quanto con altri lettori. Non si chiamano social network per questo?
Ci sentiamo lunedì con il primo consiglio di lettura, buon weekend.

Alchimisti di parole – Intervista a Christian Pastore

Il 18 giugno è uscito in libreria la seconda raccolta di racconti di Ted Chiang, Respiro. Abbiamo pubblicato Storie della tua vita, la prima raccolta, nel 2016, a poche settimane dall’uscita del film di Denis Villeneuve che è riuscito meravigliosamente a trasportare sullo schermo uno dei racconti, Arrival, con Amy Adams linguista e traduttrice. È a questa donna apparentemente fragile, segnata da una tragedia, che spetta il compito di mettersi in contatto con invasori alieni. E solo attraverso quel “parlarsi”, quello scambiare suoni e segni, quell’intuire intenzioni si giunge a una soluzione davvero umana.

A Christian Pastore abbiamo affidato invece il compito di leggere, interpretare e tradurre il linguaggio di Ted Chiang, con le sue invenzioni, la sua visione unica del mondo (o forse sarebbe meglio dire, dei mondi). Gli chiediamo quindi di raccontarci come ha lavorato.

Innanzitutto, una domanda generale sul mestiere di traduttore, sulla tua tecnica di lavoro, ricordando che sei tu stesso autore di romanzi e racconti. Come affronti il libro che ti viene affidato? Leggi tutto prima di cominciare? Cominci subito a fare ricerche sui punti critici o è una cosa che affronti man mano che traduci? Ci puoi dire come procedi?

Prima di tutto ci sono una o più letture per il piacere della lettura, se possibile, e per individuare il suono della scrittura originale, il suo ritmo, le sue peculiarità, che dovranno necessariamente essere resi anche nella nostra lingua. Poi inizio, e di solito i punti più ostici cerco di affrontarli nella prima bozza, ma ce n’è sempre anche una seconda, raramente ce n’è una terza. Di solito nella prima bozza sono più concentrato sul contenuto e nella seconda sullo stile, ed è il lavoro sullo stile quello che trovo più complesso e insieme più appagante. Quando traduco, per quanto non mi sia facile, cerco inoltre di dedicare qualche ora al giorno anche alla mia scrittura, proprio per tenere ben distinti i piaceri e i crucci del traduttore da quelli dello scrittore. Cedere alla tentazione di riportare un contenuto altrui a modo proprio, infatti, è una scorciatoia che spesso sarebbe facile imboccare, ma che non sarebbe onesta né nei confronti di chi quel libro l’ha scritto, né del futuro lettore. Un traduttore non deve farsi autore, imporsi su un’opera altrui, ma esserne efficace ambasciatore, e in alcuni casi questo va considerato un privilegio. Tradurre l’opera di Ted Chiang è senz’altro uno di questi casi.

Per quanto riguarda Ted Chiang, che non è solo uno dei più importanti autori di fantascienza, ma, come dici nel video, autore letterario tout-court, lo stile è molto curato, cristallino, classico nella scorrevolezza, ma inventivo nel linguaggio, quali sono stati i punti che hanno richiesto più ricerche?

Lo stile di Chiang è solo di Chiang, ed è proprio questo, insieme all’originale sviluppo che hanno sempre i suoi racconti a farne un autore maiuscolo. Il suo è uno stile talmente limpido e meticoloso nell’esposizione da essere straniante, a volte ipnotico, perfetto per il compito che si propone di assolvere, ovvero offrire a buone domande una o più possibili buone risposte. E’ un linguaggio che ad alcuni è apparso distaccato, ma che quando davvero ci si entra si rivela al contrario un distillato di calore, e non è mai pedante. I punti che hanno richiesto più ricerche sono quelle in cui Chiang attinge maggiormente al linguaggio scientifico, di qualsiasi scienza si tratti, tecnicismi che riplasma a fini narrativi e che a volte sa rendere addirittura sottilmente lirici. Tradurre Chiang, inoltre, prima di iniziare a farlo ha significato anche confrontarsi con precedenti traduzioni, che erano quasi sempre dignitose e in alcuni casi più che buone, nella speranza di migliorarle. Ho letto traduzioni del suo inglese non solo in italiano, ma anche in spagnolo e in francese, e oltre ad apprezzarne i pregi quando era il caso, in ogni versione ho cercato d’individuare quelli che per me erano i difetti o gli errori oggettivi. Curiosamente, non erano mai comuni da una lingua all’altra.

Inevitabile, quando si parla di fantascienza, speculative fiction, e tutto quello che ruota intorno, pensare ai classici. Leggere Chiang mi fa venire in mente Dick e Bradbury, in particolare, tu quali riferimenti hai tenuto presente per orientarti? A parte lo stesso Chiang, naturalmente.

Fermo restando che, come dicevo, Chiang è un autore unico, è innegabile che nella sua scrittura come in qualunque altra risuonino alcune influenze. Oltre a quelle che hai citato, l’autore a cui più l’accosto è Clifford D. Simak, sia per la straordinaria inventiva sia per la qualità della scrittura. Poi sento l’influenza dell’umanesimo alla Vonnegut, la rivalsa del diverso tipica di Sturgeon, e abbandonando del tutto la fantascienza, il sommo Borges per come viene amministrata e dispiegata lungo ogni racconto la sospensione dell’incredulità. In numerosi passaggi si avverte l’influenza di Kafka, e vari interrogativi che Chiang si pone derivano dal pensiero esistenzialista. Ma oltre ad essere stato influenzato da qualcuno come chiunque, Chiang è un autore che ne influenza già molti altri. La serie Black Mirror, per esempio, ha spesso una sensibilità e tematiche affini, anche se i suoi episodi migliori non offrono alcuna speranza ai suoi protagonisti, mentre Chiang, pur senza indorare nessuna pillola, una speranza la lascia trapelare anche nella tragedia. Forse perché ritiene, come cantava Leonard Cohen, che c’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce.

E infine, c’è un punto, una frase, una riflessione, un personaggio che ti è rimasto particolarmente impresso nella memoria?

Chiang è capace di frasi belle ed incisive, ma più che su specifiche frasi ad effetto, trovo che punti sulla meraviglia generata dal racconto nel complesso, ossia da un certo concatenarsi delle frasi, ed è uno dei motivi per cui più l’apprezzo. Le riflessioni che mi sono rimaste impresse sono tante, quelle sulla relatività del tempo e della stessa morte in Storia della tua vita, naturalmente, ma anche quelle sul destino che animano uno dei suoi racconti secondo me più belli e disturbanti, L’inferno è l’assenza di Dio, da cui mi auguro che prima o poi venga tratto un film all’altezza di Arrival (certo, ci vorrebbe di nuovo un regista all’altezza di Villeneuve). Nella nuova raccolta non c’è racconto che a suo modo non mi sia piaciuto, ma a parte Respiro – che alla raccolta dà il titolo ed è una gemma, anche per ciò che rappresenta il suo memorabile protagonista – ho trovato particolarmente stimolante uno dei racconti del tutto inediti, L’angoscia è la vertigine della libertà, titolo che è una citazione di Kierkegaard e introduce uno degli intrecci più “chianghiani” che Chiang abbia mai concepito. Comunque, a dire il vero, tutto quello che di lui ho letto e tradotto, cioè tutto quello che per il momento ha scritto, mi è rimasto ben impresso.

Brevi riflessioni di fisica quantistica – I primi 30 anni del Web – (Fabio Fracas 49)

“Volendo estremizzare, possiamo considerare il mondo come un’unica connessione. Di solito consideriamo un vocabolario come una raccolta di significati, ma in realtà questo tipo di libro definisce il mondo soltanto in termini di parole. Mi piaceva molto l’idea che un frammento d’informazione fosse definibile soltanto attraverso ciò a cui è collegato, e come. In realtà nel significato c’è ben poco d’altro. La struttura è tutto.”

Questa frase di Tim Berners Lee, inventore – assieme all’informatico belga Robert Cailliau – del World Wide Web chiarisce il suo punto di vista su quella che, a ragione, può essere considerata una delle più grandi rivoluzioni della modernità.

Il Web, nella sua prima forma, nacque nel 1989 al CERN di Ginevra per rispondere a un’esigenza pratica relativa alla condivisione delle informazioni fra i vari dipartimenti e laboratori. Un’esigenza che, dall’iniziale ambito fisico degli studi sulle alte energie, si è estesa a coprire qualsiasi tipologia di attività: dalla ricerca alla cultura, dall’economia al divertimento. Non esiste campo nel quale il Web non trovi applicazioni né è più possibile pensare a un mondo senza Internet e senza lo scambio continuo di informazioni e di dati. Un mondo, come lo descrive Berners Lee, che oggi può essere effettivamente considerato come un’unica connessione e del quale, volenti o nolenti, facciamo già attivamente parte tutti noi. Un mondo che offre grandissime opportunità ma che ci obbliga, contemporaneamente, ad assumerci altrettante responsabilità. Nei confronti degli altri e anche di noi stessi.

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