“Il registratore di sogni” di Mariam Tarkeshi

«È questo, il trauma» ha scritto una volta Patrick McGrath. «L’evento sta sempre accadendo ora, nel presente, per la prima volta.»

Immagino che cominciare a presentare il proprio libro in questo modo, usando le parole di qualcun altro, non sia propriamente saggio, ma spero che me lo concediate.
Queste parole mi sono sembrate così accurate, quando le ho lette per la prima volta, che sono entrate per sempre a far parte del mio modo di pensare e di vedere il mondo.
“Il registratore di sogni” ne è una prova.
Una delle cose che più mi premeva raccontare, in questa storia, è il modo diverso in cui persone diverse affrontano i propri demoni. C’è chi non è in grado di sconfiggerli, chi non è del tutto conscio di averne e chi, in un modo o nell’altro, finisce per liberarsene, o per lo meno accettarli. Un “demone”, per come lo vedo io, può essere un vero e proprio trauma, certo, ma anche più semplicemente una dura verità, o una parte di sé che non si apprezza o che si rifiuta di riconoscere. In ogni caso, qualcosa che ci tormenta. Un dolore tanto intenso che è come se lo provassimo, appunto, “ora, nel presente, per la prima volta.”

Vi è mai capitato di stare così male da decidere di non dormire per paura di quello che avreste potuto sognare? Vi è capitato di svegliarvi con la certezza di aver fatto un incubo e, pur non ricordandolo, di portarvi dietro per il resto della giornata una brutta sensazione che non riuscite a comprendere? Forse il sonno è il momento in cui i nostri demoni ci perseguitano meglio. È il luogo privo di regole in cui possono fare quello che vogliono, liberi dalla costrizione della razionalità che, durante le ore di veglia, li tiene imbrigliati nel tentativo di proteggerci.

“Il registratore di sogni” è prima di tutto la storia di Nico e di come, tramite il registratore, impari cose di se stesso che finora ha sempre ignorato, ma è anche la storia dei personaggi che gravitano intorno a lui e che sembrano camminare in punta di piedi intorno ai propri segreti e alle proprie paure più recondite. Se c’è una cosa che lo studio delle lingue mi ha insegnato, è che c’è sempre un motivo se le parole hanno un certo aspetto, o un certo significato.
Per esempio, i tedeschi traducono la parola “sogno” con “Traum”.

Romanzi all’aria aperta: le proposte dell’estate Frassinelli

Secondo i meteorologi l’estate comincia il 1° giugno, ma per tutti noi è oggi, 21 giugno, l’inizio della più attesa delle stagioni. Il solstizio d’estate quest’anno cade di venerdì, abbiamo tutto il weekend per goderci il momento. Le giornate sono lunghissime e piene di sole, le vacanze sono a un passo (pazienza, ancora un bel respiro), le valigie scalpitano per partire, belle piene. Di vestiti, infradito, scarponi, sneaker, e naturalmente libri.
Se siete di quelli che le serie TV se le godono a casa, sempre spiaggiati, ma sul divano, junk food e grande schermo, senza la seccatura di sabbia nelle cuffie e il rischio di un tuffo in acqua che vi frizza il tablet, allora vi piacciono le storie e aspettate questo momento per recuperare finalmente quel libro che volevate leggere proprio durante le vacanze. Che sia puro intrattenimento o il romanzone di cui tutti vi hanno parlato, che sia l’ultimo libro del vostro autore preferito o il classico che avreste sempre voluto vantarvi di aver letto, il libro è l’oggetto tecnologicamente più avanzato e compatibile con sdraio e ombrellone o alpeggio e rifugio.
E se è un buon libro, vi emozionate, vi commuovete e vi arrabbiate, vi affezionate ai personaggi e volete sapere come si svolge la trama. Se è un ottimo libro (qualcuno lo definisce letterario), vi fa anche discutere, pensare, immaginare. E alla fine, magari, lo consigliate al vicino/vicina di ombrellone, o lo lasciate nella biblioteca dell’albergo affinché qualcun altro possa divertirsi quanto voi. Perché, come diceva Dorothy Parker, la cura migliore contro la noia è la curiosità (e non c’è cura alla curiosità).
Con questa rubrica estiva rivolta dunque ai curiosi, ai lettori da spiaggia (o da rifugio), agli amanti dei libri, noi di Frassinelli proviamo a proporre le nostre letture, non solo raccontando in breve il contenuto dei romanzi, ma aggiungendo i pareri di altri lettori e recensori, coinvolgendo, quando è possibile, gli autori con
un commento e infine immaginando un profilo del lettore più affine a quel libro.
Last but not least: le nostre pagine sono aperte ai vostri commenti, pensatele come un circolino di lettura, un modo per scambiare pareri non solo e non tanto con la casa editrice (che magari vi può dare qualche informazione in più, comunque), quanto con altri lettori. Non si chiamano social network per questo?
Ci sentiamo lunedì con il primo consiglio di lettura, buon weekend.

Alchimisti di parole – Intervista a Christian Pastore

Il 18 giugno è uscito in libreria la seconda raccolta di racconti di Ted Chiang, Respiro. Abbiamo pubblicato Storie della tua vita, la prima raccolta, nel 2016, a poche settimane dall’uscita del film di Denis Villeneuve che è riuscito meravigliosamente a trasportare sullo schermo uno dei racconti, Arrival, con Amy Adams linguista e traduttrice. È a questa donna apparentemente fragile, segnata da una tragedia, che spetta il compito di mettersi in contatto con invasori alieni. E solo attraverso quel “parlarsi”, quello scambiare suoni e segni, quell’intuire intenzioni si giunge a una soluzione davvero umana.

A Christian Pastore abbiamo affidato invece il compito di leggere, interpretare e tradurre il linguaggio di Ted Chiang, con le sue invenzioni, la sua visione unica del mondo (o forse sarebbe meglio dire, dei mondi). Gli chiediamo quindi di raccontarci come ha lavorato.

Innanzitutto, una domanda generale sul mestiere di traduttore, sulla tua tecnica di lavoro, ricordando che sei tu stesso autore di romanzi e racconti. Come affronti il libro che ti viene affidato? Leggi tutto prima di cominciare? Cominci subito a fare ricerche sui punti critici o è una cosa che affronti man mano che traduci? Ci puoi dire come procedi?

Prima di tutto ci sono una o più letture per il piacere della lettura, se possibile, e per individuare il suono della scrittura originale, il suo ritmo, le sue peculiarità, che dovranno necessariamente essere resi anche nella nostra lingua. Poi inizio, e di solito i punti più ostici cerco di affrontarli nella prima bozza, ma ce n’è sempre anche una seconda, raramente ce n’è una terza. Di solito nella prima bozza sono più concentrato sul contenuto e nella seconda sullo stile, ed è il lavoro sullo stile quello che trovo più complesso e insieme più appagante. Quando traduco, per quanto non mi sia facile, cerco inoltre di dedicare qualche ora al giorno anche alla mia scrittura, proprio per tenere ben distinti i piaceri e i crucci del traduttore da quelli dello scrittore. Cedere alla tentazione di riportare un contenuto altrui a modo proprio, infatti, è una scorciatoia che spesso sarebbe facile imboccare, ma che non sarebbe onesta né nei confronti di chi quel libro l’ha scritto, né del futuro lettore. Un traduttore non deve farsi autore, imporsi su un’opera altrui, ma esserne efficace ambasciatore, e in alcuni casi questo va considerato un privilegio. Tradurre l’opera di Ted Chiang è senz’altro uno di questi casi.

Per quanto riguarda Ted Chiang, che non è solo uno dei più importanti autori di fantascienza, ma, come dici nel video, autore letterario tout-court, lo stile è molto curato, cristallino, classico nella scorrevolezza, ma inventivo nel linguaggio, quali sono stati i punti che hanno richiesto più ricerche?

Lo stile di Chiang è solo di Chiang, ed è proprio questo, insieme all’originale sviluppo che hanno sempre i suoi racconti a farne un autore maiuscolo. Il suo è uno stile talmente limpido e meticoloso nell’esposizione da essere straniante, a volte ipnotico, perfetto per il compito che si propone di assolvere, ovvero offrire a buone domande una o più possibili buone risposte. E’ un linguaggio che ad alcuni è apparso distaccato, ma che quando davvero ci si entra si rivela al contrario un distillato di calore, e non è mai pedante. I punti che hanno richiesto più ricerche sono quelle in cui Chiang attinge maggiormente al linguaggio scientifico, di qualsiasi scienza si tratti, tecnicismi che riplasma a fini narrativi e che a volte sa rendere addirittura sottilmente lirici. Tradurre Chiang, inoltre, prima di iniziare a farlo ha significato anche confrontarsi con precedenti traduzioni, che erano quasi sempre dignitose e in alcuni casi più che buone, nella speranza di migliorarle. Ho letto traduzioni del suo inglese non solo in italiano, ma anche in spagnolo e in francese, e oltre ad apprezzarne i pregi quando era il caso, in ogni versione ho cercato d’individuare quelli che per me erano i difetti o gli errori oggettivi. Curiosamente, non erano mai comuni da una lingua all’altra.

Inevitabile, quando si parla di fantascienza, speculative fiction, e tutto quello che ruota intorno, pensare ai classici. Leggere Chiang mi fa venire in mente Dick e Bradbury, in particolare, tu quali riferimenti hai tenuto presente per orientarti? A parte lo stesso Chiang, naturalmente.

Fermo restando che, come dicevo, Chiang è un autore unico, è innegabile che nella sua scrittura come in qualunque altra risuonino alcune influenze. Oltre a quelle che hai citato, l’autore a cui più l’accosto è Clifford D. Simak, sia per la straordinaria inventiva sia per la qualità della scrittura. Poi sento l’influenza dell’umanesimo alla Vonnegut, la rivalsa del diverso tipica di Sturgeon, e abbandonando del tutto la fantascienza, il sommo Borges per come viene amministrata e dispiegata lungo ogni racconto la sospensione dell’incredulità. In numerosi passaggi si avverte l’influenza di Kafka, e vari interrogativi che Chiang si pone derivano dal pensiero esistenzialista. Ma oltre ad essere stato influenzato da qualcuno come chiunque, Chiang è un autore che ne influenza già molti altri. La serie Black Mirror, per esempio, ha spesso una sensibilità e tematiche affini, anche se i suoi episodi migliori non offrono alcuna speranza ai suoi protagonisti, mentre Chiang, pur senza indorare nessuna pillola, una speranza la lascia trapelare anche nella tragedia. Forse perché ritiene, come cantava Leonard Cohen, che c’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce.

E infine, c’è un punto, una frase, una riflessione, un personaggio che ti è rimasto particolarmente impresso nella memoria?

Chiang è capace di frasi belle ed incisive, ma più che su specifiche frasi ad effetto, trovo che punti sulla meraviglia generata dal racconto nel complesso, ossia da un certo concatenarsi delle frasi, ed è uno dei motivi per cui più l’apprezzo. Le riflessioni che mi sono rimaste impresse sono tante, quelle sulla relatività del tempo e della stessa morte in Storia della tua vita, naturalmente, ma anche quelle sul destino che animano uno dei suoi racconti secondo me più belli e disturbanti, L’inferno è l’assenza di Dio, da cui mi auguro che prima o poi venga tratto un film all’altezza di Arrival (certo, ci vorrebbe di nuovo un regista all’altezza di Villeneuve). Nella nuova raccolta non c’è racconto che a suo modo non mi sia piaciuto, ma a parte Respiro – che alla raccolta dà il titolo ed è una gemma, anche per ciò che rappresenta il suo memorabile protagonista – ho trovato particolarmente stimolante uno dei racconti del tutto inediti, L’angoscia è la vertigine della libertà, titolo che è una citazione di Kierkegaard e introduce uno degli intrecci più “chianghiani” che Chiang abbia mai concepito. Comunque, a dire il vero, tutto quello che di lui ho letto e tradotto, cioè tutto quello che per il momento ha scritto, mi è rimasto ben impresso.

Brevi riflessioni di fisica quantistica – I primi 30 anni del Web – (Fabio Fracas 49)

“Volendo estremizzare, possiamo considerare il mondo come un’unica connessione. Di solito consideriamo un vocabolario come una raccolta di significati, ma in realtà questo tipo di libro definisce il mondo soltanto in termini di parole. Mi piaceva molto l’idea che un frammento d’informazione fosse definibile soltanto attraverso ciò a cui è collegato, e come. In realtà nel significato c’è ben poco d’altro. La struttura è tutto.”

Questa frase di Tim Berners Lee, inventore – assieme all’informatico belga Robert Cailliau – del World Wide Web chiarisce il suo punto di vista su quella che, a ragione, può essere considerata una delle più grandi rivoluzioni della modernità.

Il Web, nella sua prima forma, nacque nel 1989 al CERN di Ginevra per rispondere a un’esigenza pratica relativa alla condivisione delle informazioni fra i vari dipartimenti e laboratori. Un’esigenza che, dall’iniziale ambito fisico degli studi sulle alte energie, si è estesa a coprire qualsiasi tipologia di attività: dalla ricerca alla cultura, dall’economia al divertimento. Non esiste campo nel quale il Web non trovi applicazioni né è più possibile pensare a un mondo senza Internet e senza lo scambio continuo di informazioni e di dati. Un mondo, come lo descrive Berners Lee, che oggi può essere effettivamente considerato come un’unica connessione e del quale, volenti o nolenti, facciamo già attivamente parte tutti noi. Un mondo che offre grandissime opportunità ma che ci obbliga, contemporaneamente, ad assumerci altrettante responsabilità. Nei confronti degli altri e anche di noi stessi.

TRINKETS, ora anche una serie originale Netflix!

L’amicizia non ha prezzo.

Tutto il resto, puoi rubarlo.

Dal bestseller di Kirsten Smith, co-sceneggiatrice di film cult come La rivincita delle bionde, 10 cose che odio di te ed Ella Enchanted, arriva TRINKETS, la serie TV originale Netflix disponibile dal 14 giugno.

Per vivere e sfogliare le avventure delle tre protagoniste – Moe, Tabitha ed Elodie – anche sulla carta, l’appuntamento è per il 18 giugno in tutte le librerie e store digitali.

TRINKETS è una brillante e disincantata storia di amicizia tutta al femminile: tre amiche che non potrebbero essere più diverse tra loro, troveranno nella cleptomania un punto d’incontro. Questa improbabile quanto forte amicizia, porterà le ragazze a scoprire di avere in comune molte più cose di quelle che pensavano…

 

“Beautiful boy” di David Sheff, dal 13 giugno al cinema!

“Un film imperdibile” Daily Mail

“Film intenso, interpretazioni e regia di qualità.” Bestmovie.it

 

Il 13 giugno arriva al cinema il film “Beautiful boy”, tratto dall’omonimo romanzo di David Sheff e con protagonisti le star Steve Carell. Timothée Chalamet, Maura Tierney e Amy Ryan.

Dopo il successo ottenuto dal libro, la drammatica e potente storia di Nic e David vi emozionerà anche sul grande schermo. Un racconto potente sulla forza e il coraggio di un padre, un viaggio nella tossicondipendenza e nel difficile percorso verso la guarigione.

Per chi si avvicinerà al libro dopo aver visto il film, ritroverà nelle pagine e nelle parole di David la stessa forza e determinazione e, soprattutto, l’amore incondizionato di un padre.

 

 

“Le persone e le droghe sono diverse, eppure siamo tutti uguali.

Per quanto Nic sia unico, lui è ogni figlio.

Potrebbe essere il vostro”

David Sheff 

Daniel Speck “Volevamo andare lontano”: la serie tv.

Crediti immagine: ZDF, Rai

Arriva anche in Italia la miniserie tv tratta dal bestseller di Daniel Speck “Volevamo andare lontano”, romanzo che, dopo essersi affermato come il debutto di maggior successo in Germania (con ben 85 settimane di permanenza nella classifica di Der Spiegel) tra 2016 e 2017, ha conquistato l’anno scorso anche la classifica di narrativa straniera in Italia.
Realizzata dalla emittente tedesca ZDF e acquisita dalla RAI durante l’ultimo Festival di Berlino, la fiction tv andrà in onda in due puntate stasera e domani (lunedì 3 e martedì 4 giugno), in prima serata su RAI 1. I tre episodi originali sono stati adattati per il palinsesto italiano in due parti, intitolate «L’amore» e «Il segreto». Per i lettori del romanzo, sarà un modo per rivivere l’appassionante saga della famiglia Marconi, tra l’isola di Salina e Milano, tra l’Italia e la Germania. Una storia che si snoda lungo tre generazioni, un grande amore sospeso nel tempo, e un mistero che una giovane donna in cerca delle proprie radici, oggi, cercherà di sciogliere.
Per chi attraverso la serie tv scopre per la prima volta questa saga, sarà l’occasione di farsi conquistare dalla narrazione travolgente di Daniel Speck, che in questi giorni sarà in Italia per parlarci anche del suo secondo romanzo, Piccola Sicilia.

Crediti immagine: ZDF, Rai

Daniel Speck: Scrivo di famiglie per raccontare il mondo

«Scrivo di famiglie per raccontare il mondo.»*

Sin dagli esordi della sua brillante carriera di sceneggiatore, Daniel Speck ha posto la famiglia al centro del suo universo creativo. Nelle sue storie, il nucleo famigliare è un microcosmo che rispecchia emozioni e tensioni del mondo che ci circonda, un punto di osservazione privilegiato per raccontare i tempi che stiamo vivendo e i mutamenti della società. Fino ad abbracciare le epoche che ci precedono, attraverso un’alternanza avvincente di piani temporali e salti generazionali.
Così è stato anche nel suo primo romanzo, Volevamo andare lontano, che raccontava l’avvincente saga di una famiglia italiana in cerca di fortuna in Germania: nella storia dei Marconi, abbiamo riscoperto un pezzo della nostra Storia nazionale, il recente passato di emigrazione in cui eravamo noi a vestire i panni di coloro che oggi bussano alla nostra porta carichi solo di sogni e speranze.
Dopo il grande successo di Volevamo andare lontano – in Germania è stato l’esordio più venduto nell’anno di pubblicazione e ne è stata subito tratta una serie tv, a breve in onda anche su Rai1 – Daniel Speck è tornato a scalare le classifiche tedesche con un nuovo romanzo: Piccola Sicilia, che in questi giorni arriva anche nelle librerie italiane.
Cuore della storia è l’epopea dei Sarfati, «al contempo italiani, tunisini ed ebrei»: una famiglia che ha nel dna il cosmopolitismo del quartiere in cui abita, quella “Piccola Sicilia” che dà il titolo al romanzo: la Little Italy di Tunisi, dove – fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale – cristiani, ebrei e musulmani convivevano pacificamente. Mentre i semi dell’odio portati dal conflitto attecchiscono anche in quell’oasi di tolleranza – in pagine poeticamente drammatiche che sembrano un monito per il nostro presente – la famiglia Sarfati è in balia di quella bufera in cui storie e destini, ferocia e umanità si intrecciano in maniera inestricabile. Scossi da quella tempesta, i protagonisti di Piccola Sicilia sono anime in cerca di un’identità in cui riconoscersi nuovamente, di una patria cui appartenere, di una verità che possa colmare la mancanza. Verità che passa inevitabilmente dai segreti della famiglia: epicentro da cui tutto parte e a cui tutto torna, da cui desideriamo fuggire e al contempo ritornare. Perché ognuno di noi ha bisogno di un luogo da chiamare casa.

*Daniel Speck in una intervista a Die Zeit.

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Alchimisti di parole – Intervista a Silvia Fornasiero

Il primo traduttore che ha accettato il nostro invito a contribuire ad Alchimisti di parole è una traduttrice: Silvia Fornasiero. È lei che ha firmato la traduzione di Una spia americana di Lauren Wilkinson (in libreria dal 21 maggio) e ci racconta in un video che cosa ne pensa. Silvia ha poi risposto a qualche domanda sugli «attrezzi del suo mestiere», almeno quelli che ha utilizzato per lavorare su questo libro. Con generosità ed evidente passione, Silvia ci porta tra le pieghe del testo. E ci sembra che leggere sia ancora più bello.

La prima cosa che ti chiedo è come lavori, perché i traduttori lavorano ciascuno a suo modo: leggi il libro prima e poi fai le ricerche, prepari tutto il terreno per poi metterti a tradurre, lavori di getto? Raccontaci il tuo laboratorio.

Innanzitutto approccio il libro come lettrice (in questo senso, un po’ mi dispiace non ricevere più i libri di carta, anche se indubbiamente lavorare su file è molto più pratico), cerco di gustarmelo e intanto di cominciare a capire quali sono i punti ostici e i punti di forza; poi, quando mi metto al lavoro, faccio le ricerche necessarie via via che incontro i problemi, perché spesso non saltano all’occhio subito. Sono tra coloro che arrivano a una prima stesura già ben costruita, non dico «buona la prima», ma già un lavoro più che dignitoso. Una volta terminata questa prima fase, mi dedico a una revisione di fino con il testo a fronte e poi a una seconda lettura, solo sull’italiano, di nuovo come se fossi una lettrice, per vedere se sono riuscita a ricreare lo stesso effetto del testo inglese.

Nel caso di Una spia americana le ricerche non sono poche. Ricordiamo per esempio che nel libro si parla del periodo tra gli anni ‘60 e ‘80, tra America e Burkina Faso, quando il suo presidente era Thomas Sankara. Dove sei andata a pescare le notizie?

Tanto nei romanzi che traduco quanto nei film che adatto, la ricerca è maggiore soprattutto per quegli aspetti che non rientrano nei libri di storia, nelle enciclopedie. In questo caso, per esempio, i colori delle spillette del movimento panafricanista degli anni ‘70; oppure il nome della margarina servita sui waffle in un diner. Cito la margarina perché ho scoperto che ai tempi i produttori di burro statunitensi si erano opposti all’impiego di un colorante giallo per renderla più simile al burro, e avevano imposto che restasse bianca oppure venisse colorata in maniera accesa (addirittura di rosa!). Ho approfondito questo dettaglio perché nel testo c’era un misterioso «Technicolor oleo», che ho poi reso in italiano con un semplice «margarina dal colore vivace» perché non mi sembrava opportuno dilungarmi in spiegazioni. La ricerca che riguarda gli aspetti storici, politici e culturali presenti nel romanzo è stata più intensa ma anche più appassionante: si va dai movimenti della controcultura degli anni ‘60 e ‘70 alla vita in ufficio negli anni ’80; dalla sede di New York dell’FBI, ai negozi e ai locali storici degli anni ‘80, che ora non ci sono più. È stata una ricerca a tutto campo, tra enciclopedie, siti, testi di storia. Su Thomas Sankara ho trovato due volumi dedicati alla sua biografia e ai suoi discorsi, in parte citati nel libro. E poi ringrazio il cielo che esista Google Maps, perché ho potuto seguire la mia protagonista non solo per le vie di New York ma anche nei quartieri di Ouagadougou! Infine, non dimentichiamo l’ambito spionistico: nel libro gli omaggi letterari ai romanzi più celebri non mancano, perciò mi sono riletta alcuni capisaldi della letteratura di spionaggio. È stato un tuffo in un mondo diverso alla scoperta di decine, centinaia, di cose che non sapevo, e questo è anche il bello del mio lavoro.

All’interno del libro sono citati diversi libri pubblicati molti anni fa, quando il linguaggio era meno rispettoso di razza, genere, cultura diverse da quella dominante. Che approccio hai avuto rispetto a questo punto?

Una spia americana, oltre a contenere alcuni riferimenti alla letteratura più conosciuta, si colloca anche esplicitamente all’interno del canone della letteratura afro-americana. La dichiarazione d’intenti di Lauren Wilkinson si trova nell’epigrafe, una citazione da Uomo invisibile di Ralph Ellison, nella quale un padre invita figli e nipoti a vivere nella terra dei bianchi come se fossero spie. Poi nel testo non ci sono digressioni insistite, ma sottili rimandi che aspettano solo di essere colti dal lettore più attento, come la conversazione su Passing di Nella Larsen. C’è anche un aspetto più radicale legato alla citazione di un romanzo di cinquant’anni fa che viene tuttora studiato all’accademia dell’FBI di Quantico, The Spook Who Sat by the Door di Sam Greenlee. In italiano all’epoca è divenuto Il negro seduto accanto alla porta, un titolo che oggi fa sobbalzare e incuriosisce. Approfondendo ho scoperto che è una storia esplosiva, una vicenda fantapolitica in cui il primo agente nero reclutato dall’FBI si mette a capo di un movimento rivoluzionario per minare le fondamenta del potere negli Stati Uniti. E la protagonista di Una spia americana, Marie, si presenta come la prima agente nera donna all’interno dell’FBI di New York!

Ti faccio un’ultima domanda, una curiosità: c’è una frase che ti ha colpito in modo particolare?

Mi è piaciuta una frase, come riflessione generale, e mi è proprio rimasta impressa nella memoria. È un momento molto drammatico, la protagonista è piena di dolore e di rabbia e dice: «Probabilmente voi non mi avete mai visto così. Quasi nessuno, in realtà. Non ci ho mai guadagnato niente nel mostrare il mio lato più oscuro. La rabbia che rivelo al mondo è soltanto sottintesa: lascio intendere di essere sul punto di non riuscire più a controllare la mia furia. Solo così risulta accettabile la forza di una donna: quando appare trattenuta».

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