TRINKETS, ora anche una serie originale Netflix!

L’amicizia non ha prezzo.

Tutto il resto, puoi rubarlo.

Dal bestseller di Kirsten Smith, co-sceneggiatrice di film cult come La rivincita delle bionde, 10 cose che odio di te ed Ella Enchanted, arriva TRINKETS, la serie TV originale Netflix disponibile dal 14 giugno.

Per vivere e sfogliare le avventure delle tre protagoniste – Moe, Tabitha ed Elodie – anche sulla carta, l’appuntamento è per il 18 giugno in tutte le librerie e store digitali.

TRINKETS è una brillante e disincantata storia di amicizia tutta al femminile: tre amiche che non potrebbero essere più diverse tra loro, troveranno nella cleptomania un punto d’incontro. Questa improbabile quanto forte amicizia, porterà le ragazze a scoprire di avere in comune molte più cose di quelle che pensavano…

 

“Beautiful boy” di David Sheff, dal 13 giugno al cinema!

“Un film imperdibile” Daily Mail

“Film intenso, interpretazioni e regia di qualità.” Bestmovie.it

 

Il 13 giugno arriva al cinema il film “Beautiful boy”, tratto dall’omonimo romanzo di David Sheff e con protagonisti le star Steve Carell. Timothée Chalamet, Maura Tierney e Amy Ryan.

Dopo il successo ottenuto dal libro, la drammatica e potente storia di Nic e David vi emozionerà anche sul grande schermo. Un racconto potente sulla forza e il coraggio di un padre, un viaggio nella tossicondipendenza e nel difficile percorso verso la guarigione.

Per chi si avvicinerà al libro dopo aver visto il film, ritroverà nelle pagine e nelle parole di David la stessa forza e determinazione e, soprattutto, l’amore incondizionato di un padre.

 

 

“Le persone e le droghe sono diverse, eppure siamo tutti uguali.

Per quanto Nic sia unico, lui è ogni figlio.

Potrebbe essere il vostro”

David Sheff 

Daniel Speck “Volevamo andare lontano”: la serie tv.

Crediti immagine: ZDF, Rai

Arriva anche in Italia la miniserie tv tratta dal bestseller di Daniel Speck “Volevamo andare lontano”, romanzo che, dopo essersi affermato come il debutto di maggior successo in Germania (con ben 85 settimane di permanenza nella classifica di Der Spiegel) tra 2016 e 2017, ha conquistato l’anno scorso anche la classifica di narrativa straniera in Italia.
Realizzata dalla emittente tedesca ZDF e acquisita dalla RAI durante l’ultimo Festival di Berlino, la fiction tv andrà in onda in due puntate stasera e domani (lunedì 3 e martedì 4 giugno), in prima serata su RAI 1. I tre episodi originali sono stati adattati per il palinsesto italiano in due parti, intitolate «L’amore» e «Il segreto». Per i lettori del romanzo, sarà un modo per rivivere l’appassionante saga della famiglia Marconi, tra l’isola di Salina e Milano, tra l’Italia e la Germania. Una storia che si snoda lungo tre generazioni, un grande amore sospeso nel tempo, e un mistero che una giovane donna in cerca delle proprie radici, oggi, cercherà di sciogliere.
Per chi attraverso la serie tv scopre per la prima volta questa saga, sarà l’occasione di farsi conquistare dalla narrazione travolgente di Daniel Speck, che in questi giorni sarà in Italia per parlarci anche del suo secondo romanzo, Piccola Sicilia.

Crediti immagine: ZDF, Rai

Daniel Speck: Scrivo di famiglie per raccontare il mondo

«Scrivo di famiglie per raccontare il mondo.»*

Sin dagli esordi della sua brillante carriera di sceneggiatore, Daniel Speck ha posto la famiglia al centro del suo universo creativo. Nelle sue storie, il nucleo famigliare è un microcosmo che rispecchia emozioni e tensioni del mondo che ci circonda, un punto di osservazione privilegiato per raccontare i tempi che stiamo vivendo e i mutamenti della società. Fino ad abbracciare le epoche che ci precedono, attraverso un’alternanza avvincente di piani temporali e salti generazionali.
Così è stato anche nel suo primo romanzo, Volevamo andare lontano, che raccontava l’avvincente saga di una famiglia italiana in cerca di fortuna in Germania: nella storia dei Marconi, abbiamo riscoperto un pezzo della nostra Storia nazionale, il recente passato di emigrazione in cui eravamo noi a vestire i panni di coloro che oggi bussano alla nostra porta carichi solo di sogni e speranze.
Dopo il grande successo di Volevamo andare lontano – in Germania è stato l’esordio più venduto nell’anno di pubblicazione e ne è stata subito tratta una serie tv, a breve in onda anche su Rai1 – Daniel Speck è tornato a scalare le classifiche tedesche con un nuovo romanzo: Piccola Sicilia, che in questi giorni arriva anche nelle librerie italiane.
Cuore della storia è l’epopea dei Sarfati, «al contempo italiani, tunisini ed ebrei»: una famiglia che ha nel dna il cosmopolitismo del quartiere in cui abita, quella “Piccola Sicilia” che dà il titolo al romanzo: la Little Italy di Tunisi, dove – fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale – cristiani, ebrei e musulmani convivevano pacificamente. Mentre i semi dell’odio portati dal conflitto attecchiscono anche in quell’oasi di tolleranza – in pagine poeticamente drammatiche che sembrano un monito per il nostro presente – la famiglia Sarfati è in balia di quella bufera in cui storie e destini, ferocia e umanità si intrecciano in maniera inestricabile. Scossi da quella tempesta, i protagonisti di Piccola Sicilia sono anime in cerca di un’identità in cui riconoscersi nuovamente, di una patria cui appartenere, di una verità che possa colmare la mancanza. Verità che passa inevitabilmente dai segreti della famiglia: epicentro da cui tutto parte e a cui tutto torna, da cui desideriamo fuggire e al contempo ritornare. Perché ognuno di noi ha bisogno di un luogo da chiamare casa.

*Daniel Speck in una intervista a Die Zeit.

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Alchimisti di parole – Intervista a Silvia Fornasiero

Il primo traduttore che ha accettato il nostro invito a contribuire ad Alchimisti di parole è una traduttrice: Silvia Fornasiero. È lei che ha firmato la traduzione di Una spia americana di Lauren Wilkinson (in libreria dal 21 maggio) e ci racconta in un video che cosa ne pensa. Silvia ha poi risposto a qualche domanda sugli «attrezzi del suo mestiere», almeno quelli che ha utilizzato per lavorare su questo libro. Con generosità ed evidente passione, Silvia ci porta tra le pieghe del testo. E ci sembra che leggere sia ancora più bello.

La prima cosa che ti chiedo è come lavori, perché i traduttori lavorano ciascuno a suo modo: leggi il libro prima e poi fai le ricerche, prepari tutto il terreno per poi metterti a tradurre, lavori di getto? Raccontaci il tuo laboratorio.

Innanzitutto approccio il libro come lettrice (in questo senso, un po’ mi dispiace non ricevere più i libri di carta, anche se indubbiamente lavorare su file è molto più pratico), cerco di gustarmelo e intanto di cominciare a capire quali sono i punti ostici e i punti di forza; poi, quando mi metto al lavoro, faccio le ricerche necessarie via via che incontro i problemi, perché spesso non saltano all’occhio subito. Sono tra coloro che arrivano a una prima stesura già ben costruita, non dico «buona la prima», ma già un lavoro più che dignitoso. Una volta terminata questa prima fase, mi dedico a una revisione di fino con il testo a fronte e poi a una seconda lettura, solo sull’italiano, di nuovo come se fossi una lettrice, per vedere se sono riuscita a ricreare lo stesso effetto del testo inglese.

Nel caso di Una spia americana le ricerche non sono poche. Ricordiamo per esempio che nel libro si parla del periodo tra gli anni ‘60 e ‘80, tra America e Burkina Faso, quando il suo presidente era Thomas Sankara. Dove sei andata a pescare le notizie?

Tanto nei romanzi che traduco quanto nei film che adatto, la ricerca è maggiore soprattutto per quegli aspetti che non rientrano nei libri di storia, nelle enciclopedie. In questo caso, per esempio, i colori delle spillette del movimento panafricanista degli anni ‘70; oppure il nome della margarina servita sui waffle in un diner. Cito la margarina perché ho scoperto che ai tempi i produttori di burro statunitensi si erano opposti all’impiego di un colorante giallo per renderla più simile al burro, e avevano imposto che restasse bianca oppure venisse colorata in maniera accesa (addirittura di rosa!). Ho approfondito questo dettaglio perché nel testo c’era un misterioso «Technicolor oleo», che ho poi reso in italiano con un semplice «margarina dal colore vivace» perché non mi sembrava opportuno dilungarmi in spiegazioni. La ricerca che riguarda gli aspetti storici, politici e culturali presenti nel romanzo è stata più intensa ma anche più appassionante: si va dai movimenti della controcultura degli anni ‘60 e ‘70 alla vita in ufficio negli anni ’80; dalla sede di New York dell’FBI, ai negozi e ai locali storici degli anni ‘80, che ora non ci sono più. È stata una ricerca a tutto campo, tra enciclopedie, siti, testi di storia. Su Thomas Sankara ho trovato due volumi dedicati alla sua biografia e ai suoi discorsi, in parte citati nel libro. E poi ringrazio il cielo che esista Google Maps, perché ho potuto seguire la mia protagonista non solo per le vie di New York ma anche nei quartieri di Ouagadougou! Infine, non dimentichiamo l’ambito spionistico: nel libro gli omaggi letterari ai romanzi più celebri non mancano, perciò mi sono riletta alcuni capisaldi della letteratura di spionaggio. È stato un tuffo in un mondo diverso alla scoperta di decine, centinaia, di cose che non sapevo, e questo è anche il bello del mio lavoro.

All’interno del libro sono citati diversi libri pubblicati molti anni fa, quando il linguaggio era meno rispettoso di razza, genere, cultura diverse da quella dominante. Che approccio hai avuto rispetto a questo punto?

Una spia americana, oltre a contenere alcuni riferimenti alla letteratura più conosciuta, si colloca anche esplicitamente all’interno del canone della letteratura afro-americana. La dichiarazione d’intenti di Lauren Wilkinson si trova nell’epigrafe, una citazione da Uomo invisibile di Ralph Ellison, nella quale un padre invita figli e nipoti a vivere nella terra dei bianchi come se fossero spie. Poi nel testo non ci sono digressioni insistite, ma sottili rimandi che aspettano solo di essere colti dal lettore più attento, come la conversazione su Passing di Nella Larsen. C’è anche un aspetto più radicale legato alla citazione di un romanzo di cinquant’anni fa che viene tuttora studiato all’accademia dell’FBI di Quantico, The Spook Who Sat by the Door di Sam Greenlee. In italiano all’epoca è divenuto Il negro seduto accanto alla porta, un titolo che oggi fa sobbalzare e incuriosisce. Approfondendo ho scoperto che è una storia esplosiva, una vicenda fantapolitica in cui il primo agente nero reclutato dall’FBI si mette a capo di un movimento rivoluzionario per minare le fondamenta del potere negli Stati Uniti. E la protagonista di Una spia americana, Marie, si presenta come la prima agente nera donna all’interno dell’FBI di New York!

Ti faccio un’ultima domanda, una curiosità: c’è una frase che ti ha colpito in modo particolare?

Mi è piaciuta una frase, come riflessione generale, e mi è proprio rimasta impressa nella memoria. È un momento molto drammatico, la protagonista è piena di dolore e di rabbia e dice: «Probabilmente voi non mi avete mai visto così. Quasi nessuno, in realtà. Non ci ho mai guadagnato niente nel mostrare il mio lato più oscuro. La rabbia che rivelo al mondo è soltanto sottintesa: lascio intendere di essere sul punto di non riuscire più a controllare la mia furia. Solo così risulta accettabile la forza di una donna: quando appare trattenuta».

“Alchimisti di parole”, la nuova rubrica Frassinelli dedicata ai nostri traduttori

Cari lettori,

Inauguriamo una nuova rubrica, dedicata ai nostri traduttori, cioè a quegli «autori invisibili», come qualcuno li ha definiti, che traghettano i nostri libri dalla lingua originale in italiano. Tradurre è un mestiere affascinante, che richiede doti umane e professionali di pazienza, ascolto, curiosità, empatia, competenza linguistica, creatività; e ci fermiamo qui, perché l’elenco potrebbe continuare.   A volte considerati meno di quanto si dovrebbe, i traduttori sono anche i primi e migliori lettori di un libro. Per questo, abbiamo pensato di chiedere il loro parere e, quando hanno tempo e voglia, di raccontarci un po’ meglio il loro lavoro. Per dare il nome alla rubrica, abbiamo attinto alla definizione di un grande scrittore, Rainer Maria Rilke, che ci è sembrata una delle più giuste e forse, perché no, delle più romantiche:

«Tradurre è un’arte affine a quella dei grandi attori; è alchimia, conversione in oro di elementi altrui.» 

Brevi riflessioni di fisica quantistica: Un universo da scoprire – (Fabio Fracas 48)

“Einstein quindi sbagliò quando disse: ”Dio non gioca a dadi“. La considerazione dei buchi neri suggerisce infatti non solo che Dio gioca a dadi, ma che a volte ci confonde gettandoli dove non li si può vedere.”

Questo pensiero di Stephen Hawking si può leggere nel saggio “La natura dello spazio e del tempo” – del 1996, scritto assieme al matematico inglese Sir Roger Penrose – e rappresenta l’ideale continuazione della riflessione iniziata nel lontano 4 dicembre del 1926, da Albert Einstein. In quella data, infatti, Einstein scrisse all’amico e collega Niels Bohr per mettere in evidenza quelli che, nel suo pensiero, erano i problemi aperti della fisica quantistica. E lo fece proprio coniando la famosa frase “Dio non gioca a dadi con l’Universo”.

Oggi, però, stiamo cominciando a vedere molti dei dadi sparsi per l’Universo ed è dello scorso 10 aprile 2019 la notizia della prima immagine “scattata” a un buco nero: il corpo celeste teorizzato da Karl Schwarzschild nel 1916, grazie ai principi della Relatività Generale di Einstein, e al cui studio ha dato un importante contributo proprio Stephen Hawking. Lo storico successo lo si deve all’Event Horizon Telescope, collaborazione internazionale che vede la partecipazione di centri di ricerca in tutto il mondo. Ed è grazie al progetto BlackHoleCam, dell’EHT, che finalmente possiamo osservare la foto del buco nero da sei miliardi di masse solari situato al centro della galassia Messier 87, nell’ammasso della Vergine. Dadi e buchi neri, grazie alla ricerca scientifica, continuano così a dialogare fra loro.

Fuoco è tutto ciò che siamo – Guido Saraceni

Il romanzo narra la storia di Davide Manfredi e di Giulio Lisi. Il primo è uno studente liceale di quasi diciotto anni convinto di trovarsi in quella fase della vita in cui un essere umano non conta quasi nulla, relegato a mero numero da un mondo di adulti che non sempre stima e raramente comprende, isolato dalla maggior parte dei suoi coetanei soprattutto a causa della loro superficiale e malsana passione per i social network. A questo “pazzo pazzo mondo fatto di like e di cuoricini”, Davide preferisce, di gran lunga, la vita reale: il suono distorto della sua chitarra elettrica, le “situazioni esplosive” organizzate assieme a pochi ma fidati amici, i baci appassionati di Alice – la sua ragazza. Giulio Lisi, invece, è un uomo di quarant’anni che insegna storia della filosofia nello stesso liceo in cui studia Davide, un professore profondamente innamorato della sua materia e dei suoi studenti – ma altrettanto seriamente seccato dalle mille pastoie che mortificano il sistema scolastico italiano, snaturandone la vocazione. Oltre ad essere parecchio attivo sui social
network, il prof. è responsabile di un progetto educativo con cui segue da vicino gli studenti “problematici”.

Giulio e Davide si incontreranno casualmente un pomeriggio di gennaio, quel giorno, ciascuno avrà qualcosa di importante da imparare dall’altro.

Fuoco è tutto ciò che siamo è un libro poliedrico, colmo di spunti sapientemente intrecciati e coesi. Utilizzando uno stile narrativo semplice ed accattivante, l’autore racconta di gioventù, di amore, scuola, amicizia… soprattutto, descrive la sconfinata passione che gli adolescenti provano nei confronti della vita, una preziosa scintilla vitale che gli insegnanti di ogni ordine e grado hanno il dovere di suscitare e proteggere, perché, come ebbe a dire Plutarco, “gli studenti non sono cassetti da riempire, ma fuochi da accendere”.

Auguri a tutte le mamme!

In occasione della Festa della mamma, vi proponiamo un approfondimento sul rapporto “madri e figlie” di Aj Pearce, autrice del libro “La posta del cuore di Mrs bird”.

 

Proprio non riuscirei a immaginare La posta del cuore di Mrs Bird senza la madre della protagonista. Conoscere la storia della mamma di Emmeline – e di sua nonna – era fondamentale per la stesura del romanzo. Ciò vale per tutti i personaggi principali: comprendere a fondo le loro famiglie, anche se la gran parte di esse non compare nel romanzo, mi aiuta a definire l’identità dei personaggi stessi. All’inizio del romanzo, sono ancora la madre e la nonna a influenzare Emmy maggiormente. Lei ha ventidue anni e sogna di diventare una corrispondente di guerra, che racconta la verità e può cambiare le cose. Quando si ritrova alla rivista Women’s Friend, dove lavora alla posta del cuore di Henrietta Bird, che tuttavia si rifiuta di affrontare certi problemi femminili poiché li considera delle “sgradevolezze”, Emmy ha la sensazione di non poter stare a guardare. Sebbene non sia autorizzata, decide di rispondere alle lettrici in prima persona. La sua è una mossa coraggiosa e, dato che Emmy stessa non la prende alla leggera, era importante per me far trasparire perché si sentisse così coinvolta e fosse disposta a rischiare il posto per cercare di aiutare delle sconosciute. Perciò ho riflettuto a lungo sulle sue origini, sulla sua educazione e, in particolare, su sua madre. Ho deciso in un baleno che spettasse alla famiglia di suo padre trasmetterle una stabilità tradizionale.

Il dottor Lake è un brav’uomo, intelligente, abbastanza sveglio da aver sposato la madre di Emmy – la parte radicale della coppia. Sebbene nulla di ciò appaia apertamente nel romanzo, durante lo sviluppo dei personaggi avevo stabilito anche che la nonna di Emmy fosse stata un’eminente suffragetta (l’indizio è nel nome di Emmy – Emmeline Pankhurst è stata una famosa attivista per il diritto di voto alle donne – n.d.r) e che la signora Lake, da ragazza, avesse preso parte con lei al movimento. Sin da piccola, quindi, Emmy abituata ad aspettarsi equità per tutti, e a darsi da fare per risolvere da sé i problemi, se necessario. È una domanda che personalmente trovo affascinante: come cresceresti se una suffragetta avesse grandissima influenza sulla tua vita? Che impatto può avere avuto sulla mentalità di Emmy, in quanto giovane donna del 1941? Non si tratta di un tema preminente nel libro, ma di qualcosa che durante la scrittura è sempre rimasto in fondo ai miei pensieri. L’ispirazione data da sua madre è molto radicata nel personaggio di Emmy, che crede che tutto sia possibile se non demordi dall’obiettivo, che le donne (così come tutte le persone) debbano essere ascoltate, ma soprattutto che non si debba mai abbandonare gli amici.

Come le dice suo padre con un certo orgoglio: «Emmy… tu discendi da una stirpe di donne formidabili». E come le dice sua madre: «Una volta sistemata questa sciocca faccenda, tu e Bunty e tutte le vostre amiche potrete ottenere quello che vorrete. Altrimenti stiamo perdendo tempo a combattere contro quel pazzoide».
(Amo profondamente la famiglia Lake – il capitolo in cui Emmy torna a casa per il weekend è una delle mie parti preferite del romanzo). Emmy è fortunata: sua madre sostiene le sue lotte, talvolta in carne e ossa, e comunque sempre in termini di ispirazione. La storia di Emmy e La posta del cuore di Mrs Bird non esisterebbero senza di lei.

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