Intervista a Paloma Sánchez-Garnica

In occasione dell’uscita di Ultimi giorni a Berlino, la nostra editor Linda Poncetta ha intervistato l’autrice Paloma Sánchez-Garnica.

 

Prima di incontrarla, Paloma Sánchez-Garnica era per me “solo” una scrittrice pluripremiata, tra le più importanti del panorama spagnolo contemporaneo. Quando, nei giorni scorsi, è stata nostra ospite a Milano, dove ha incontrato giornalisti, librai, agenti e bookblogger, ho conosciuto una donna colta, decisa, intraprendente, che non ha paura di esporsi.

Parlare con lei è stato piacevole e illuminante, mi è venuta voglia di rileggere i suoi romanzi perché so che ora li apprezzerei ancora di più, sapendo dello scrupoloso lavoro che li precede e dello spirito che anima la mente che ci sta dietro.

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, Ultimi giorni a Berlino, disponibile online e in tutte le librerie, le ho fatto qualche domanda.

In tutti i tuoi romanzi, la Storia, con la S maiuscola, è un personaggio fondamentale, ma tu non ti definisci autrice di romanzi storici.

Nei miei libri non prendo un fatto o un personaggio storico come elemento centrale: pongo i miei personaggi in un’epoca determinata e ne racconto la vita quando si incontra con una determinata legge, una tradizione, dei principi morali e una precisa pressione sociale. È la gente comune a essere protagonista.

La mia intenzione è comprendere e far comprendere un’epoca attraverso gli occhi di persone come noi. Il contesto sociale, storico, geografico, infatti, ci cambia, tutto quello che ci circonda ci condiziona. E ai personaggi di Ultimi giorni a Berlino è toccato vivere in un’epoca molto dura: due guerre mondiali, crisi e totalitarismi.

Chi è il tuo preferito?

È una domanda difficile, ciascuno ha le sue peculiarità. Ci sono Claudia e Krista, le due donne protagoniste, complementari e contraddittorie, che rappresentano la realtà dell’epoca: una coscientemente antinazista, l’altra convinta che il nazismo sia la salvezza per la società, per la nazione, per il suo Paese umiliato, afflitto da crisi e problemi. Poi ci sono gli uomini, personaggi buoni ma trasformati dall’ideologia: Eric Villanueva, che ha una storia tutta particolare; il padre di Yuri, che preferisce assumersi la colpa contro di sé perché suo figlio mantenga l’immagine che ha di sua madre. Tutti loro hanno un po’ della mia ammirazione.

Il tuo ultimo romanzo è ambientato principalmente nella capitale tedesca, come il precedente, Il confine segreto dei ricordi. Sei molto legata a questa città?

Berlino mi ha sempre affascinata molto. Ci sono stata per la prima volta nel settembre del 1989, insieme a mio marito: avevo ventisette anni e per Madrid quello era il momento della liberazione, della movida, della libertà, dopo la fine del franchismo. Il passaggio in auto da una parte all’altra della città fu molto angoscioso, non sapevamo il tedesco e ci sembrò di viaggiare nel tempo. Quaranta giorni dopo, assistemmo in televisione alla caduta del muro e quello fu il momento storico che avrei voluto vivere. A partire da allora, ho seguito l’evoluzione del Paese, l’unità e la ricostruzione e mi ha sempre affascinata come la città abbia saputo imparare dalla storia, sia stata distrutta più volte e ogni volta sia stata in grado di ricostruirsi. È una città perfetta per essere raccontata in un romanzo.

Credi che in Ultimi giorni a Berlino ci siano delle somiglianze con la situazione politica attuale?

Alla fine dell’Ottocento, con la Belle Époque, l’Europa visse un’epoca di sviluppo, di scoperte, di innovamento scientifico e delle comunicazioni. Poi, i nazionalismi provocarono la Prima guerra mondiale, il cui esito destabilizzante fu causa di quella successiva, dopo l’apparizione sulla scena politica di personaggi mediocri. Oggi, siamo nella medesima situazione, come alla fine della Belle Époque: abbiamo vissuto per mezzo secolo in prosperità, poi ci siamo trovati ad affrontare una crisi sanitaria, economica e politica. Siamo vulnerabili e una società vulnerabile è facilmente manipolabile. Per questo dobbiamo contrastare i politici mediocri ed estremisti che stanno prendendo piede in Europa, affinché si garantisca l’equilibrio e si protegga la democrazia.

In questo i libri possono essere di aiuto alla società.

I libri sono fondamentali. Una società che legge è una società che ha capacità di giudizio, ha un vocabolario più ampio, maggiori capacità di analisi, è una società meno manipolabile che può sfuggire a un potere che pretende di guidarla da una parte o dall’altra. La lettura è uno strumento potentissimo e alla portata di tutti.

Parlando invece del processo di scrittura: come ti documenti per scrivere i tuoi romanzi?

Principalmente con la lettura. Quando ho un’idea e un’epoca in mente, per comprenderla leggo tutti i libri tradotti in spagnolo che la raccontano: saggi, romanzi, resoconti, testimonianze e diari della gente che l’ha vissuta. Poi guardo film e documentari sull’argomento. Trascorro molti mesi pensando, prendendo appunti a mano, immedesimandomi nelle situazioni. Una volta che mi sono immersa nella mentalità di quell’epoca, arriva il momento in cui sento la necessità di mettermi a scrivere. E durante la fase di scrittura sono molto disciplinata, mi metto nel mio ufficio e scrivo.

Hai una routine?

L’ispirazione viene scrivendo. Nessuno mi impone niente, quindi devo impormi io di lavorare. All’inizio mi costa molto, non sono sicura di niente almeno fino a pagina cento e mi capita di scartare quello che ho già scritto, perché non sono convinta o la storia non mi appassiona, quando non voglio sapere cosa succede ai personaggi che sto conoscendo.

[ndr. Curiosità: l’autrice è di Madrid, ma ha una casa vicino a Malaga, a Marbella, sul mare, che è il suo buen retiro per scrivere].

C’è qualcuno che ti aiuta durante questa fase?

Mio marito è il compagno perfetto, il mio primo lettore. Gli scrittori si sentono speciali, unici, ma serve equilibrio: quando sono euforica o, al contrario, affranta, ne parlo con lui. Lui legge e insieme discutiamo molto fino a trovare una soluzione che convinca entrambi.

E com’è invece il rapporto con la tua editor?

Lavoriamo insieme dal 2010, dall’uscita della Cattedrale ai confini del mondo. Il nostro rapporto è molto personale, quasi mi conosce meglio di me, almeno dal punto di vista narrativo. Lei non mi pone alcun limite, né di tempo, né di argomento, e mentre scrivo non mi chiede nulla. Quando la storia è pressoché completa e strutturata, comincio a lavorare con lei. Riesce a cogliere la sostanza dei personaggi, di cui parliamo per ore, come se li conoscessimo davvero, e mi aiuta a lavorarci senza che la mia vanità si senta lesa, una cosa che è molto importante per un autore. Sa come prendermi, come farmi arrivare a cambiare qualcosa senza impormelo.

Cosa significa per te essere una scrittrice donna in Spagna?

Siamo in molte donne a scrivere in Spagna. E molte sono le donne che comprano e leggono libri. In generale, però, c’è la tendenza a giudicare con pregiudizio quello che scrivono: si crede che le donne scrivano per le donne, principalmente libri banali, facili. Il serio, al contrario, è ciò che è difficile, impossibile da capire, quindi tradizionalmente attribuito agli uomini. Ma in fondo, se un libro viene pubblicato e ha successo, non è perché è stato scritto da un uomo o da una donna, ma perché è un buon libro e piace ai lettori.

[ndr. Paloma mi ha confessato di non sopportare la categorizzazione di romanzi femminili: «Vuol dire che un uomo non può leggerli?» mi ha chiesto, provocatoria. In effetti, come darle torto?]

Tutti i colori tranne uno

In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo “Tutti i colori tranne uno”, la nostra editor Linda Poncetta ha intervistato Luca Ammirati sulla sua ultima storia.
Ecco che cosa ci ha raccontato.

Chi è Damiano, il protagonista di questo tuo nuovo romanzo?

Damiano è figlio di un viticoltore, il padre Vittorio è produttore del Rossese di Dolceacqua, il vino rosso principe della Liguria. Fin da bambino è stato abituato a correre tra i filari d’uva e ha partecipato a più di una vendemmia. Ma, contrariamente a quanto avrebbe desiderato il suo amato genitore, quando è cresciuto non si è occupato dell’azienda di famiglia, in parte a causa degli screzi con la madre, Ester, con la quale ha sempre avuto un rapporto conflittuale, un po’ per la convinzione di non essere all’altezza della situazione. Damiano infatti è daltonico, lo ha scoperto alle elementari in modo traumatico sbagliando a colorare un disegno, e i suoi occhi non sono in grado di percepire il rosso, il colore delle passioni, delle emozioni forti, dell’amore, dello slancio vitale. Crescendo in mezzo a quel senso di insicurezza è diventato un adulto incompleto, proprio come il suo corredo genetico. Un uomo che ha abdicato a tantissimi buoni propositi, che non ha mantenuto quello che gli anni giovanili promettevano e che forse ha perso il gusto per la vita stessa. Solo che, come è inevitabile, quest’ultima prima o poi chiama, e quando lo farà nella maniera più dura starà a Damiano capire se finalmente prendere atto delle proprie mancanze, abbracciare i cambiamenti e farci i conti una volta per tutte.

Il vino è per i personaggi di questa storia un lavoro e una passione, ma dalle parole del padre di Damiano diventa, in un certo senso, metafora della vita.

Nei vari flashback che lo vedono coinvolto con il figlio, Vittorio appare come una figura presente e rassicurante, nonché come una sorta di filosofo, di artista, di maestro. Lasciava che Damiano, prima bambino e poi ragazzo, lo seguisse nelle vigne e in cantina, dispensava i suoi insegnamenti sul vino e intanto condivideva con lui la sua visione del mondo. Vino e vita, per certi versi, vanno di pari passo. Prima di tutto perché sono divisi in annate, e ogni annata è una storia a sé: ci sono quelle buone, caratterizzate da momenti importanti e indimenticabili, e ci sono quelle in cui invece è necessario farsi forza. E poi perché il vino è sinonimo di aggregazione, dello stare insieme, un qualcosa che è prezioso tanto nella felicità quanto nella tristezza. Accompagna le domeniche in famiglia, le giornate con gli amici, le occasioni speciali, serve a festeggiare le belle notizie ricevute e a confortare quando si ricevono quelle cattive. Scorre dove scorre la vita. E infatti, ultimo parallelismo ma non meno importante, il vino è anche metafora dell’invecchiamento inteso come risorsa.

Come in tutti i tuoi romanzi, a fare da sfondo è la tua Liguria, i suoi paesaggi, le sue tradizioni e i suoi abitanti. Dove è ambientato Tutti i colori tranne uno?

Amo moltissimo raccontare il mio territorio, la mia Sanremo, il Ponente Ligure e in particolar modo il suo spettacolare entroterra. Dopo aver raccontato il suggestivo Osservatorio astronomico di Perinaldo in “Se i pesci guardassero le stelle” e l’affascinante villaggio degli artisti, Bussana Vecchia, ne “L’inizio di ogni cosa”, ho sentito il desiderio di ambientare una storia a Dolceacqua, il borgo reso celebre e immortale da un dipinto di Claude Monet, durante il suo soggiorno in Riviera nel 1884. Mi sono divertito a tratteggiare gli scorci, i colori, i caruggi e i sapori di questo luogo, che per me ha un significato particolare. Dolceacqua, infatti, ha dato i natali a mio nonno materno. E anche se non l’ho mai conosciuto perché se ne è andato diversi anni prima che nascessi, anch’io, come il mio protagonista, fin da piccolo mi sono ritrovato sul vecchio ponte a schiena d’asino con il castello dei Doria sullo sfondo, un vero e proprio paesaggio impressionista, con le mani sporche dello zucchero delle michette, un dolcetto dalla storia importante che vi invito a leggere. Devo ammettere che, personalmente, è poi motivo di grande orgoglio constatare, da parte dei lettori che mi scrivono messaggi, quanto affetto ci sia nelle altre parti d’Italia e all’estero verso il nostro territorio, le nostre eccellenze. È emozionante ricevere le loro testimonianze sull’accuratezza delle descrizioni che faccio e addirittura le loro foto dai posti che racconto perché, una volta terminato il libro, desiderano andare a vedere con i loro occhi quanto ho narrato. Mi auguro che, come successo in passato, in tanti possano innamorarsi di Dolceacqua, merita assolutamente una visita. Piccolo spoiler: nel romanzo sono presenti alcuni capitoli ambientati a Monte Carlo. Lascio a voi scoprire come, dove e perché…

Nuova campagna sconti Pickwick!

È tornato l’imperdibile appuntamento con la nostra Campagna Sconti! Dal 7 Aprile al 7 Maggio TUTTO* il catalogo PICKWICK è scontato del 20%.

Le cose scontate nella nostra vita di tutti i giorni ormai non sono più molte. Il primo caldo ad aprile? Nah… Lo scudetto alla Juventus? Nah… Gli ingredienti della carbonara? Non ne parliamo. Fatti salvi gli aumenti in bolletta e i tempi di attesa per una tac, ormai di certezze ce ne restano poche. È quindi fondamentale approfittare delle cose scontate quando appaiono all’orizzonte, specialmente se si tratta di LIBRI!
Quale piacere più grande che rifugiarsi fra le pagine di un thriller di Michael Connelly o Alafair Burke o Paula Hawkins, per non pensare all’imminente dichiarazione dei redditi? Come non approfittare della penna incantatrice di Stephen King o non farsi travolgere dall’onda di sentimenti che sollevano i romanzi di Nicholas Sparks, Sveva Casati Modignani o Francesco Sole? Preferite un romanzo storico? Nessun problema, la scelta è ampia, così come per i titoli inspirational, le biografie, i saggi, i libri utilissimi della collana Wellness – che vi aiuteranno a rimettere in forma corpo, mente e anche il vostro spirito. Se poi siete appassionati di film e serie TV, scoprirete con piacere che molti prodotti cinematografici hanno preso spunto proprio da libri presenti nel nostro catalogo. Ad esempio? L’intramontabile Storia di una ladra di libri, After, It, The Tender Bar, I ponti di Madison County, Vita di Pi, La ragazza del treno, Le pagine della nostra vita… e ancora, ancora… E poi, come tutti gli anni, arriveranno le vacanze! Fate ora incetta dei libri che vi terranno compagnia sotto l’ombrellone o di fronte alle vette montane. Non rischiate di affrontare un lungo e magari noioso viaggio senza un bel libro nella borsa. Scorrete il nostro catalogo, c’è davvero una proposta per tutti i gusti, gli interessi e le età. Approfittarne è… scontato!

Consulta il listino completo (PDF).

Una pioggia da brivido

Dal 17 al 31 marzo 2023, grazie a Sperling & Kupfer e Picwick puoi avere anche tu l’iconica mantellina realizzata in omaggio a Stephen King.
All’acquisto di due titoli di King, sia trade che paperback, e/o della collana Macabre, riceverai in omaggio la mantellina di Stephen King.
In tutti i negozi e gli store online aderenti, tra cui Mondadori Store, Giunti e il Libraccio.

Jennifer Lynn Barnes ci racconta la storia di Avery Kylie Grambs

“The inheritance games”, “The Hawthorne legacy” e “The final gambit” sono i tre romanzi della saga di Jennifer Lynn Barnes che racconta la storia di Avery Kylie Grambs alle prese con una impressionante eredità e con la famiglia del misterioso benefattore.
Una saga mistery romance capace di coinvolgere il lettori con indovinelli e trabocchetti, esattamente come i personaggi dei libri.
Una sfida per Avery, per i lettori, ma anche per la traduttrice, Cristina Brambilla.

In occasione dell’uscita dell’ultimo romanzo, in libreria dal 7 marzo 2023, abbiamo intervistato la traduttrice che ci ha raccontato qualche retroscena della traduzione.

Come hai affrontato un’autrice come la Barnes? E, in generale, come ti approcci al lavoro di traduzione?
Bruno Arpaia, scrittore e traduttore, ha scritto che tradurre è ‘un piegarsi creativo’. Trovo sia una sintesi molto acuta del lavoro del traduttore: un servizio in cui metti a disposizione dell’opera tutto quello che sai e che sei.

Il romanzo è ricco di rompicapi e indovinelli, la cui resa in Italia è difficile e non sempre può essere fedele all’originale. Come ti sei approcciata a questi “tranelli” del testo?
E’ stata forse la parte in cui mi sono divertita di più. Poiché ogni traduzione è un rompicapo, gli indovinelli, le poesie, i rebus della Barnes sono stati un rompicapo nel rompicapo. Dovevano essere coerenti con la trama e risultare interessanti anche in italiano. Il mio preferito è il rebus di pagina 176 (nell’originale Final Gambit).

A proposito dei personaggi, gli abitanti di Casa Hawthorne non sono ordinari. C’è qualcuno di loro che ti ha colpito particolarmente? Hai un preferito?
Avery è un personaggio femminile interessante, e sono molto affezionata a sua sorella Libby. Ma forse mi stai chiedendo se ho un preferito tra i quattro fratelli Hawthorne. Difficile dirlo. Molto del loro fascino deriva dal confronto con gli altri. È il gruppo a renderli speciali, secondo me. Ma se proprio dovessi scegliere, sceglierei Nash. Ho un debole per i cowboy dal cuore d’oro.

Siete curiosi? Trovate i romanzi in libreria e l’autrice ha anche appena annunciato l’arrivo, a sorpresa, di un quarto, imperdibile volume.
A presto!

Beatrice Mariani ci racconta com’è nato “Amiche di una vita”

In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, “Amiche di una vita”, abbiamo chiesto a Beatrice Mariani di raccontarci com’è nata l’idea di questo libro.

Sono stata spinta a scrivere questo romanzo dal desiderio di scoperchiare le sofferenze nascoste che ognuna di noi custodisce.
Tutte conosciamo il valore di un’amicizia vera e profonda. Il senso di affinità, la sicurezza di essere accettate, comprese, protette, sostenute. Eppure anche quando una persona ci è vicina da tutta la vita, resistono in noi tormenti che non sappiamo condividere.

Il libro racconta la storia di tre giovani donne, Valentina, Cristiana e Arianna, diverse ma inseparabili dai tempi del liceo. Nella fase eroica della giovinezza tutte e tre hanno creduto di poter costruire la vita che desideravano. E’ stato il tempo a mostrare loro che ogni scelta ha conseguenze e che esistono decisioni da cui non si può tornare indietro. In un’epoca in cui a trent’anni si viene ancora considerate soltanto “ragazze”, ognuna di loro deve affrontare un dolore reale e inaspettato. Per la prima volta scopriranno di sentirsi immensamente sole, sentiranno la paura di perdersi per sempre.

E’ un che libro parla allo stesso tempo di vicinanza e di solitudine interiore. Valentina si sentirà sull’orlo del baratro proprio nel mezzo di un bel pranzo di famiglia. Cristiana proverà l’impotenza di essere in balia di errori che non riesce a non ripetere. Arianna dovrà provare a fidarsi di se stessa dopo una malattia che l’ha divorata.

Un’amica, una vera amica, è quella che ci resterà comunque accanto. Il coraggio di diventare grandi, però, dobbiamo trovarlo noi.

Intervista con l’autore Miguel Àngel Montero

In occasione dell’uscita del suo libro “Il cammino per la felicità” abbiamo intervistato l’autore Miguel àngel Montero.

Il tuo romanzo è ambientato sul Cammino di Santiago, che tu stesso hai percorso. Che cosa rappresenta per te il Cammino?

Penso che il Cammino di Santiago rappresenti il cambiamento e la trasformazione, un momento in cui puoi lasciarti alle spalle ciò che eri per diventare la persona che vuoi essere. Per questo motivo il vero camino inizia alla fine del percorso, quando terminano le indicazioni e le frecce che ti guidano e sei tu che devi decidere quale strada vuoi prendere e la direzione che vuoi dare alla tua vita, una volte che lo hai concluso.

In che modo questa storia può dare ispirazione ai lettori?

L’idea alla base di questo libro era quella di creare una storia che, oltre a intrattenere, facesse riflettere i lettori e risvegliasse le loro emozioni, attraverso un bel racconto di crescita che rappresentasse un’analogia con il camino della vita. Credo che questa storia possa portare ai lettori molta motivazione e possa coinvolgerli, attraverso illusione e realtà, percorrendo un cammino che è segnato, molto spesso, da buche e ostacoli, ma è anche pieno di fiori e meravigliosi tramonti, con luoghi bellissimi da godersi e luoghi inospitali da cui apprendere; momento di pace e momento difficili; persone che ti accompagneranno sempre e altre che si perderanno nel percorso; un cammino di rischi, avventura ed esplorazione; un cammino di lacrime e sorrisi che non possiamo perderci perché, con il tempo, diventerà la nostra reale meta, e potremo solo percorrerlo verso il futuro e andando avanti.

Nella tua vita hai lavorato e studiato per comprendere la differenza tra esistere e vivere. Puoi darci un consiglio per imparare a vivere davvero (oltre a essere i tuoi libri!)?

Quando eravamo piccoli, percepivamo ogni cosa nuova con magia, allegria, entusiasmo e sorpresa… Non c’era rancore né risentimento, sapevamo vivere il presente e dimostravamo amore con molta facilità, godendoci il momento ed eravamo sempre pieni di energia, ogni giorno. Senza dubbio, quando si diventa adulti la vita smette di essere un gioco e diventa qualcosa di serio, quindi accettiamo una routine che non ci piace ma che però consideriamo normale, visto che è la stessa cosa che capita alla maggior parte delle persone. Ci dimentichiamo i nostri sogni, perdiamo la motivazione, posticipiamo tutto quello che non vogliamo fare a un altro momento, momento che poi difficilmente arriverà. La nostra vita si riempie di paure immaginarie, frustrazioni e obblighi, mentre impariamo a esistere, e non a vivere.
Per questo, il mio consiglio è di tornare al nostro bambino interiore e tornare ad apprezzare l’illusione, godendoci la quotidianità, dando valore alle cose essenziali che in fondo sono quelle davvero fondamentali. Smettere di vedere solo problemi e trovare invece soluzioni; riprendere il controllo della nostra mente e impedire che i pensieri prendano il sopravvento su di noi; dare valore a quello che arriva nella nostra vita invece di fissarci su quello che ci manca; concentrarci su “essere” e non su “avere” perché, curiosamente, le cose che hanno più valore sono quelle che non si possono comprare con i soldi: non possiamo andare al supermercato a comprare un chilo di tempo o una porzione di allegria.
In generale, nella vita succedono cose dolorose, però è anche una vita meravigliosa e va vissuta al meglio perché si vive una volta sola, o anzi, si muore una volta, mentre vivere è una cosa che possiamo fare tutti i giorni.

Ci racconti qualcosa del tuo viaggio in Italia? Quali sono i luoghi che ti sono rimasti più impressi e che ti hanno emozionato?

Italia è sinonimo di belleza. Ci sono stato moltissime volte, perché è un paese che ti obbliga a tornare. È difficile trovare, nello stesso territorio, cultura, natura, storia, architettura affascinante, arte, spiagge, isole… Se a questo aggiungi anche la sua gente meraviglioso, credo sinceramente che sia un paese unico al mondo (e posso dire di aver viaggiato moltissimo). Per questo per me è sempre un vero piacere visitarlo, e nel mio ultimo viaggio sono stato a Roma e in Sicilia, visitando luoghi che conoscevo già ma che mi trasmettono sempre qualcosa di nuovo.

Diletta Pizzicori ci racconta la storia della sua saga famigliare

In occasione dell’uscita di “Gli anni dei ricordi“, Diletta Pizzicori ci racconta la storia della sua saga famigliare e ci svela qualche dietro le quinte della stesura.

«Ci resta sempre in fondo al cuore il rimpianto di un’ora, di un’estate, di un fuggevole istante in cui la giovinezza si schiude come una gemma.»
Non credo che esistano parole più appropriate di quelle scelte da Irène Némirovsky in Jezabel (Adelphi) per descrivere il momento del diventare adulti. Ma cosa significa esattamente diventare adulti? Per quale motivo compiamo certe cose o non le compiano? Perché proviamo nostalgia verso qualcosa che è perduto per sempre invece di goderci il momento presente? A queste domande ho cercato di rispondere nel mio romanzo, Gli anni dei ricordi, una saga famigliare tra passato e presente, tra la Toscana e l’Inghilterra degli anni Venti e Trenta.
Chi siamo stati prima di diventare altre versioni di noi stessi?
Anche Julia Patel se lo chiede nel 1993 quando, dopo aver scoperto che nonna Leticia si era trascinata addosso un doloroso segreto e aveva passato gran parte della vita ad amare silenziosamente il giardiniere della tenuta toscana, decide di lasciare Oxford per tornare a Meretto sulle tracce della storia di Leticia Parker e della sua famiglia. Attraverso vecchi diari e un manoscritto di cui non conosceva l’esistenza, Julia troverà risposta a molte domande, persino al giallo della piccola Virginia, che scomparve dalla Val di Bisenzio molti anni prima. Però, fare luce sul passato permette di placare la curiosità, oppure la alimenta?
«Se è una verità totale quella che cerchi, un fascio di luce che splenda in ogni angolo buio, temo che non la troverai mai.»
Dalla trama della Grande Storia ho ritagliano l’esistenza dorata di Leticia Parker, erede di un ricca famiglia anglofiorentina, secondogenita di proprietari terrieri appassionati di viaggi, di collezionismo e archeologia e poco interessati a dimostrare affetto ai loro figli, e quella molto più modesta di Primo Gualtieri, il giardiniere orfano del padre disperso in guerra, che ha frequentato solo pochi anni di scuola, ma che dimostra comunque una grande sensibilità verso letteratura e politica. Sono due personaggi inventati che, tuttavia, incarnano le grandi divisioni sociali del secolo scorso. Per dipingerli mi sono ispirata ai racconti di mia madre, figlia del giardiniere e dalla governante di Meretto alle dipendenze degli Spranger, i “veri” angloflorentini proprietari della villa narrata nel romanzo.
Rendere coerente e verosimile un panorama frammentato da una parte dalla classe borghese, e dall’altra da mezzadria e classe operaia, significa documentarsi molto. Io l’ho fatto leggendo numerosi testi e articoli, guardando un’infinità di foto d’epoca e, soprattutto, ascoltando le testimonianze orali di chi ancora ricorda un passato a portata di mano, eppure ormai così distante perché appartenente a un mondo perduto. Negli anni Venti e Trenta, noi lo sappiamo, si succedono inarrestabili violenti cambiamenti, tra proteste, rivoluzioni e fatti di sangue. Sullo sfondo di quegli eventi ho ricamato una trama di fantasia con al centro l’amore impossibile tra la figlia del padrone e il suo giardiniere, e il terribile segreto del fratello maggiore, Theodore Oswald Parker.
È stato bello poter legare le storie dei miei personaggi a quelle di persone realmente esistite, come il giovane archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli, che stringe con Leticia un’amicizia di lungo corso, e Matilde Forti, figlia dell’industriale pratese Giulio Forti, a cui si deve l’esistenza del villaggio-fabbrica di La Briglia.
Matilde si sposò con Giorgio Castelfranco, storico dell’arte, amico intimo e mecenate di Giorgio De Chirico. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Castelfranco si sarebbe distinto come uno dei monument men italiani; prima ancora era un ebreo, con tutto ciò che la sua origine implicò durante le Leggi razziali – la perdita del lavoro, la svendita della collezione privata di De Chirico per mettere in salvo i figli in America, la lotta per la sopravvivenza nei giorni dell’occupazione.
Matilde e Giorgio sono stati due individui in carne e ossa a cui ho cercato di rendere omaggio trasformandoli a loro volta in personaggi con desideri e sofferenze che io ho solo ipotizzato.
Anche con Ranuccio Bianchi Bandinelli mi sono presa qualche piccola libertà, senza mai alterare la figura di intellettuale genuino che la storia ci ha consegnato. Come è stato scritto, fu l’uomo “che non cambiò la storia”, perché durante la visita del Führer a Firenze nel maggio ’38 Bianchi Bandinelli ipotizzò di compiere un attentato ai danni di Hitler e Mussolini ma non lo fece. Perché? Perché le cose non sono mai semplici mentre le si vivono e lui era un antifascista generico, esattamente come il personaggio di Leticia.
Io credo, in verità, che Ranuccio il mondo lo abbia cambiato eccome, con l’acume e l’ingegno di una mente che non aveva paura di risultare scomoda e che fu sempre coerente con le proprie idee, anche e soprattutto durante quel fatidico maggio che ho cercato di far rivivere fedelmente.
Gli anni dei ricordi è un romanzo che parla dello scorrere del tempo, di come in una singola vita si possano susseguire decine di vite, dove nessuno è uguale a se stesso, ma cambia, giorno dopo giorno. È un romanzo storico perché racconta il Ventennio fascista a partire dai documenti ed è un romanzo sull’amore perché, come si suol dire, ogni storia è una storia d’amore. Ma è anche un caleidoscopio di voci, il racconto di un’amicizia, di un ritrovarsi a dispetto delle scelte e dei tradimenti.

Intervista a Lucy Adlington, autrice di “Il nastro rosso”

In occasione della Giornata della Memoria, abbiamo intervistato Lucy Adlington, autrice di “Il nastro rosso”, in libreria dal 24 gennaio.

Lucy, per quale motivo hai deciso di raccontare questa storia? Che cosa ti ha colpito di questa vicenda?

Ho sentito lo stimolo incredibile e incontenibile di scrivere questa storia non appena ho letto che ad Auschwitz esisteva un salone di moda. Ho provato a immaginare che cosa volesse dire essere circondati da abiti meravigliosi in un luogo orribile. Volevo esplorare la tensione e la sensazione di dover cucire per salvare la propria vita. E soprattutto volevo dare enfasi a quanto sia importante il potere dell’amicizia per opporsi alla brutalità più assoluta. Il tema più importante della storia è la speranza, qualcosa a cui possiamo aggrapparci quando la vita è difficile. C’è sempre qualcosa di bello, da qualche parte.

Raccontaci qualcosa delle protagoniste.
Ella e Rose sono le eroine di questa storia. Sono così diverse tra loro, ma insieme fanno un’ottima squadra. Le ho chiamate così in onore di mia nonna, che è stata una sarta negli anni Quaranta. In ogni caso ho deliberatamente scelto di non mettere date nel libro, perché volevo che i lettori lo trovassero attuale: potrebbe succedere anche ora.
Ella ha 14 anni ed è veramente talentuosa, quello che le serve è solo affetto. Rose è una giovane e delicata sognatrice. Si incontrano in una sartoria e si supportano a vicenda finché non arriva la catastrofe. Carla invece è una guardia. A volte è crudele, sempre egoista, spesso si sente sola. Sono tutte protagoniste molto giovani, che si trovano ad affrontare delle circostanza capaci di travolgerle. Ella usa la sua creatività per contrastare la violenza di Carla. Rose si rifugia nella sua immaginazione. Questa creatività e questa necessità di fuga mi appartengono. Questo è il motivo per cui mi piace tanto scrivere storie.

Puoi dirci qualcosa del tuo hobby di restauro abiti?
Ho collezionato abiti vintage e antichi per oltre vent’anni. Amo molto il modo in cui i vestiti conservino i ricordi, e allo stesso modo come siano in grado di raccontare storie. I vestiti possono cambiare il modo in cui ci sentiamo e come esprimiamo noi stessi. I colori, i materiali con cui vengono realizzati e la moda possono essere altrettanto meravigliosi.
A volte penso a chi ha realizzato i vestiti che indosso o che colleziono… Quali sono le loro vite? Che cosa sognano quando si siedono e iniziano a cucire?
In calce trovate una foto di Lucy con indosso l’abito della liberazione, che viene nominato anche nel libro.

Perché è ancora importante raccontare storie come questa?
La cosa straordinaria del “Nastro rosso” è che è una storia di fantasia, nata dalla mia immaginazione… ma mi ha portato a scoprire la verità sulle reali sarte del salone di moda di Auschwitz. Quando il romanzo è stato pubblicato inizialmente sono stata contattata dalle famiglie delle donne che sono effettivamente sopravvissute ad Auschwitz grazie alle loro abilità nel cucito. Sono riuscita a incontrare e interviste le ultime sarte in vita e a raccontare la loro storia in un libro di non-fiction, “Le sarte di Auschwitz” (Rizzoli).
Penso che la narrativa ci possa portare in un altro mondo e che ci possa ispirare per scoprire di più riguardo alla vera storia. La cosa più importante è di ricordarci di onorare l’amicizia e la resilienza delle donne e delle ragazze che hanno utilizzato l’arte del cucito per sopravvivere durante l’Olocausto.


Lucy con indosso l’abito della liberazione, che viene nominato anche nel libro.

TRACY WOLFF E IL SUO #BITEMETOUR FANNO TAPPA IN ITALIA

TRACY WOLFF E IL SUO #BITEMETOUR FANNO TAPPA IN ITALIA:

Venerdì 14 ottobre

Ore 18: firmacopie presso la libreria Mondadori Megastore Duomo

piazza Duomo, Milano

Ingresso libero.

Sabato 15 ottobre

Ore 17: presentazione presso l’Accademia di Belle Arti di Brera in collaborazione con La Città dei Lettori.

L’autrice dialoga con Sara Menichetti.

Via Ricasoli 66, Firenze

Ingresso libero.

Domenica 16 ottobre

Ore 17: presentazione del romanzo presso la libreria Mondadori e firmacopie

Festival Buk Romance – Centro Commerciale Aura

Viale di Valle Aurelia 30, Roma

Ingresso libero, il biglietto per il festival è gratuito e acquistabile sul sito.

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