Jennifer Lynn Barnes ci racconta la storia di Avery Kylie Grambs

“The inheritance games”, “The Hawthorne legacy” e “The final gambit” sono i tre romanzi della saga di Jennifer Lynn Barnes che racconta la storia di Avery Kylie Grambs alle prese con una impressionante eredità e con la famiglia del misterioso benefattore.
Una saga mistery romance capace di coinvolgere il lettori con indovinelli e trabocchetti, esattamente come i personaggi dei libri.
Una sfida per Avery, per i lettori, ma anche per la traduttrice, Cristina Brambilla.

In occasione dell’uscita dell’ultimo romanzo, in libreria dal 7 marzo 2023, abbiamo intervistato la traduttrice che ci ha raccontato qualche retroscena della traduzione.

Come hai affrontato un’autrice come la Barnes? E, in generale, come ti approcci al lavoro di traduzione?
Bruno Arpaia, scrittore e traduttore, ha scritto che tradurre è ‘un piegarsi creativo’. Trovo sia una sintesi molto acuta del lavoro del traduttore: un servizio in cui metti a disposizione dell’opera tutto quello che sai e che sei.

Il romanzo è ricco di rompicapi e indovinelli, la cui resa in Italia è difficile e non sempre può essere fedele all’originale. Come ti sei approcciata a questi “tranelli” del testo?
E’ stata forse la parte in cui mi sono divertita di più. Poiché ogni traduzione è un rompicapo, gli indovinelli, le poesie, i rebus della Barnes sono stati un rompicapo nel rompicapo. Dovevano essere coerenti con la trama e risultare interessanti anche in italiano. Il mio preferito è il rebus di pagina 176 (nell’originale Final Gambit).

A proposito dei personaggi, gli abitanti di Casa Hawthorne non sono ordinari. C’è qualcuno di loro che ti ha colpito particolarmente? Hai un preferito?
Avery è un personaggio femminile interessante, e sono molto affezionata a sua sorella Libby. Ma forse mi stai chiedendo se ho un preferito tra i quattro fratelli Hawthorne. Difficile dirlo. Molto del loro fascino deriva dal confronto con gli altri. È il gruppo a renderli speciali, secondo me. Ma se proprio dovessi scegliere, sceglierei Nash. Ho un debole per i cowboy dal cuore d’oro.

Siete curiosi? Trovate i romanzi in libreria e l’autrice ha anche appena annunciato l’arrivo, a sorpresa, di un quarto, imperdibile volume.
A presto!

Beatrice Mariani ci racconta com’è nato “Amiche di una vita”

In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, “Amiche di una vita”, abbiamo chiesto a Beatrice Mariani di raccontarci com’è nata l’idea di questo libro.

Sono stata spinta a scrivere questo romanzo dal desiderio di scoperchiare le sofferenze nascoste che ognuna di noi custodisce.
Tutte conosciamo il valore di un’amicizia vera e profonda. Il senso di affinità, la sicurezza di essere accettate, comprese, protette, sostenute. Eppure anche quando una persona ci è vicina da tutta la vita, resistono in noi tormenti che non sappiamo condividere.

Il libro racconta la storia di tre giovani donne, Valentina, Cristiana e Arianna, diverse ma inseparabili dai tempi del liceo. Nella fase eroica della giovinezza tutte e tre hanno creduto di poter costruire la vita che desideravano. E’ stato il tempo a mostrare loro che ogni scelta ha conseguenze e che esistono decisioni da cui non si può tornare indietro. In un’epoca in cui a trent’anni si viene ancora considerate soltanto “ragazze”, ognuna di loro deve affrontare un dolore reale e inaspettato. Per la prima volta scopriranno di sentirsi immensamente sole, sentiranno la paura di perdersi per sempre.

E’ un che libro parla allo stesso tempo di vicinanza e di solitudine interiore. Valentina si sentirà sull’orlo del baratro proprio nel mezzo di un bel pranzo di famiglia. Cristiana proverà l’impotenza di essere in balia di errori che non riesce a non ripetere. Arianna dovrà provare a fidarsi di se stessa dopo una malattia che l’ha divorata.

Un’amica, una vera amica, è quella che ci resterà comunque accanto. Il coraggio di diventare grandi, però, dobbiamo trovarlo noi.

Intervista con l’autore Miguel Àngel Montero

In occasione dell’uscita del suo libro “Il cammino per la felicità” abbiamo intervistato l’autore Miguel àngel Montero.

Il tuo romanzo è ambientato sul Cammino di Santiago, che tu stesso hai percorso. Che cosa rappresenta per te il Cammino?

Penso che il Cammino di Santiago rappresenti il cambiamento e la trasformazione, un momento in cui puoi lasciarti alle spalle ciò che eri per diventare la persona che vuoi essere. Per questo motivo il vero camino inizia alla fine del percorso, quando terminano le indicazioni e le frecce che ti guidano e sei tu che devi decidere quale strada vuoi prendere e la direzione che vuoi dare alla tua vita, una volte che lo hai concluso.

In che modo questa storia può dare ispirazione ai lettori?

L’idea alla base di questo libro era quella di creare una storia che, oltre a intrattenere, facesse riflettere i lettori e risvegliasse le loro emozioni, attraverso un bel racconto di crescita che rappresentasse un’analogia con il camino della vita. Credo che questa storia possa portare ai lettori molta motivazione e possa coinvolgerli, attraverso illusione e realtà, percorrendo un cammino che è segnato, molto spesso, da buche e ostacoli, ma è anche pieno di fiori e meravigliosi tramonti, con luoghi bellissimi da godersi e luoghi inospitali da cui apprendere; momento di pace e momento difficili; persone che ti accompagneranno sempre e altre che si perderanno nel percorso; un cammino di rischi, avventura ed esplorazione; un cammino di lacrime e sorrisi che non possiamo perderci perché, con il tempo, diventerà la nostra reale meta, e potremo solo percorrerlo verso il futuro e andando avanti.

Nella tua vita hai lavorato e studiato per comprendere la differenza tra esistere e vivere. Puoi darci un consiglio per imparare a vivere davvero (oltre a essere i tuoi libri!)?

Quando eravamo piccoli, percepivamo ogni cosa nuova con magia, allegria, entusiasmo e sorpresa… Non c’era rancore né risentimento, sapevamo vivere il presente e dimostravamo amore con molta facilità, godendoci il momento ed eravamo sempre pieni di energia, ogni giorno. Senza dubbio, quando si diventa adulti la vita smette di essere un gioco e diventa qualcosa di serio, quindi accettiamo una routine che non ci piace ma che però consideriamo normale, visto che è la stessa cosa che capita alla maggior parte delle persone. Ci dimentichiamo i nostri sogni, perdiamo la motivazione, posticipiamo tutto quello che non vogliamo fare a un altro momento, momento che poi difficilmente arriverà. La nostra vita si riempie di paure immaginarie, frustrazioni e obblighi, mentre impariamo a esistere, e non a vivere.
Per questo, il mio consiglio è di tornare al nostro bambino interiore e tornare ad apprezzare l’illusione, godendoci la quotidianità, dando valore alle cose essenziali che in fondo sono quelle davvero fondamentali. Smettere di vedere solo problemi e trovare invece soluzioni; riprendere il controllo della nostra mente e impedire che i pensieri prendano il sopravvento su di noi; dare valore a quello che arriva nella nostra vita invece di fissarci su quello che ci manca; concentrarci su “essere” e non su “avere” perché, curiosamente, le cose che hanno più valore sono quelle che non si possono comprare con i soldi: non possiamo andare al supermercato a comprare un chilo di tempo o una porzione di allegria.
In generale, nella vita succedono cose dolorose, però è anche una vita meravigliosa e va vissuta al meglio perché si vive una volta sola, o anzi, si muore una volta, mentre vivere è una cosa che possiamo fare tutti i giorni.

Ci racconti qualcosa del tuo viaggio in Italia? Quali sono i luoghi che ti sono rimasti più impressi e che ti hanno emozionato?

Italia è sinonimo di belleza. Ci sono stato moltissime volte, perché è un paese che ti obbliga a tornare. È difficile trovare, nello stesso territorio, cultura, natura, storia, architettura affascinante, arte, spiagge, isole… Se a questo aggiungi anche la sua gente meraviglioso, credo sinceramente che sia un paese unico al mondo (e posso dire di aver viaggiato moltissimo). Per questo per me è sempre un vero piacere visitarlo, e nel mio ultimo viaggio sono stato a Roma e in Sicilia, visitando luoghi che conoscevo già ma che mi trasmettono sempre qualcosa di nuovo.

Diletta Pizzicori ci racconta la storia della sua saga famigliare

In occasione dell’uscita di “Gli anni dei ricordi“, Diletta Pizzicori ci racconta la storia della sua saga famigliare e ci svela qualche dietro le quinte della stesura.

«Ci resta sempre in fondo al cuore il rimpianto di un’ora, di un’estate, di un fuggevole istante in cui la giovinezza si schiude come una gemma.»
Non credo che esistano parole più appropriate di quelle scelte da Irène Némirovsky in Jezabel (Adelphi) per descrivere il momento del diventare adulti. Ma cosa significa esattamente diventare adulti? Per quale motivo compiamo certe cose o non le compiano? Perché proviamo nostalgia verso qualcosa che è perduto per sempre invece di goderci il momento presente? A queste domande ho cercato di rispondere nel mio romanzo, Gli anni dei ricordi, una saga famigliare tra passato e presente, tra la Toscana e l’Inghilterra degli anni Venti e Trenta.
Chi siamo stati prima di diventare altre versioni di noi stessi?
Anche Julia Patel se lo chiede nel 1993 quando, dopo aver scoperto che nonna Leticia si era trascinata addosso un doloroso segreto e aveva passato gran parte della vita ad amare silenziosamente il giardiniere della tenuta toscana, decide di lasciare Oxford per tornare a Meretto sulle tracce della storia di Leticia Parker e della sua famiglia. Attraverso vecchi diari e un manoscritto di cui non conosceva l’esistenza, Julia troverà risposta a molte domande, persino al giallo della piccola Virginia, che scomparve dalla Val di Bisenzio molti anni prima. Però, fare luce sul passato permette di placare la curiosità, oppure la alimenta?
«Se è una verità totale quella che cerchi, un fascio di luce che splenda in ogni angolo buio, temo che non la troverai mai.»
Dalla trama della Grande Storia ho ritagliano l’esistenza dorata di Leticia Parker, erede di un ricca famiglia anglofiorentina, secondogenita di proprietari terrieri appassionati di viaggi, di collezionismo e archeologia e poco interessati a dimostrare affetto ai loro figli, e quella molto più modesta di Primo Gualtieri, il giardiniere orfano del padre disperso in guerra, che ha frequentato solo pochi anni di scuola, ma che dimostra comunque una grande sensibilità verso letteratura e politica. Sono due personaggi inventati che, tuttavia, incarnano le grandi divisioni sociali del secolo scorso. Per dipingerli mi sono ispirata ai racconti di mia madre, figlia del giardiniere e dalla governante di Meretto alle dipendenze degli Spranger, i “veri” angloflorentini proprietari della villa narrata nel romanzo.
Rendere coerente e verosimile un panorama frammentato da una parte dalla classe borghese, e dall’altra da mezzadria e classe operaia, significa documentarsi molto. Io l’ho fatto leggendo numerosi testi e articoli, guardando un’infinità di foto d’epoca e, soprattutto, ascoltando le testimonianze orali di chi ancora ricorda un passato a portata di mano, eppure ormai così distante perché appartenente a un mondo perduto. Negli anni Venti e Trenta, noi lo sappiamo, si succedono inarrestabili violenti cambiamenti, tra proteste, rivoluzioni e fatti di sangue. Sullo sfondo di quegli eventi ho ricamato una trama di fantasia con al centro l’amore impossibile tra la figlia del padrone e il suo giardiniere, e il terribile segreto del fratello maggiore, Theodore Oswald Parker.
È stato bello poter legare le storie dei miei personaggi a quelle di persone realmente esistite, come il giovane archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli, che stringe con Leticia un’amicizia di lungo corso, e Matilde Forti, figlia dell’industriale pratese Giulio Forti, a cui si deve l’esistenza del villaggio-fabbrica di La Briglia.
Matilde si sposò con Giorgio Castelfranco, storico dell’arte, amico intimo e mecenate di Giorgio De Chirico. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Castelfranco si sarebbe distinto come uno dei monument men italiani; prima ancora era un ebreo, con tutto ciò che la sua origine implicò durante le Leggi razziali – la perdita del lavoro, la svendita della collezione privata di De Chirico per mettere in salvo i figli in America, la lotta per la sopravvivenza nei giorni dell’occupazione.
Matilde e Giorgio sono stati due individui in carne e ossa a cui ho cercato di rendere omaggio trasformandoli a loro volta in personaggi con desideri e sofferenze che io ho solo ipotizzato.
Anche con Ranuccio Bianchi Bandinelli mi sono presa qualche piccola libertà, senza mai alterare la figura di intellettuale genuino che la storia ci ha consegnato. Come è stato scritto, fu l’uomo “che non cambiò la storia”, perché durante la visita del Führer a Firenze nel maggio ’38 Bianchi Bandinelli ipotizzò di compiere un attentato ai danni di Hitler e Mussolini ma non lo fece. Perché? Perché le cose non sono mai semplici mentre le si vivono e lui era un antifascista generico, esattamente come il personaggio di Leticia.
Io credo, in verità, che Ranuccio il mondo lo abbia cambiato eccome, con l’acume e l’ingegno di una mente che non aveva paura di risultare scomoda e che fu sempre coerente con le proprie idee, anche e soprattutto durante quel fatidico maggio che ho cercato di far rivivere fedelmente.
Gli anni dei ricordi è un romanzo che parla dello scorrere del tempo, di come in una singola vita si possano susseguire decine di vite, dove nessuno è uguale a se stesso, ma cambia, giorno dopo giorno. È un romanzo storico perché racconta il Ventennio fascista a partire dai documenti ed è un romanzo sull’amore perché, come si suol dire, ogni storia è una storia d’amore. Ma è anche un caleidoscopio di voci, il racconto di un’amicizia, di un ritrovarsi a dispetto delle scelte e dei tradimenti.

Intervista a Lucy Adlington, autrice di “Il nastro rosso”

In occasione della Giornata della Memoria, abbiamo intervistato Lucy Adlington, autrice di “Il nastro rosso”, in libreria dal 24 gennaio.

Lucy, per quale motivo hai deciso di raccontare questa storia? Che cosa ti ha colpito di questa vicenda?

Ho sentito lo stimolo incredibile e incontenibile di scrivere questa storia non appena ho letto che ad Auschwitz esisteva un salone di moda. Ho provato a immaginare che cosa volesse dire essere circondati da abiti meravigliosi in un luogo orribile. Volevo esplorare la tensione e la sensazione di dover cucire per salvare la propria vita. E soprattutto volevo dare enfasi a quanto sia importante il potere dell’amicizia per opporsi alla brutalità più assoluta. Il tema più importante della storia è la speranza, qualcosa a cui possiamo aggrapparci quando la vita è difficile. C’è sempre qualcosa di bello, da qualche parte.

Raccontaci qualcosa delle protagoniste.
Ella e Rose sono le eroine di questa storia. Sono così diverse tra loro, ma insieme fanno un’ottima squadra. Le ho chiamate così in onore di mia nonna, che è stata una sarta negli anni Quaranta. In ogni caso ho deliberatamente scelto di non mettere date nel libro, perché volevo che i lettori lo trovassero attuale: potrebbe succedere anche ora.
Ella ha 14 anni ed è veramente talentuosa, quello che le serve è solo affetto. Rose è una giovane e delicata sognatrice. Si incontrano in una sartoria e si supportano a vicenda finché non arriva la catastrofe. Carla invece è una guardia. A volte è crudele, sempre egoista, spesso si sente sola. Sono tutte protagoniste molto giovani, che si trovano ad affrontare delle circostanza capaci di travolgerle. Ella usa la sua creatività per contrastare la violenza di Carla. Rose si rifugia nella sua immaginazione. Questa creatività e questa necessità di fuga mi appartengono. Questo è il motivo per cui mi piace tanto scrivere storie.

Puoi dirci qualcosa del tuo hobby di restauro abiti?
Ho collezionato abiti vintage e antichi per oltre vent’anni. Amo molto il modo in cui i vestiti conservino i ricordi, e allo stesso modo come siano in grado di raccontare storie. I vestiti possono cambiare il modo in cui ci sentiamo e come esprimiamo noi stessi. I colori, i materiali con cui vengono realizzati e la moda possono essere altrettanto meravigliosi.
A volte penso a chi ha realizzato i vestiti che indosso o che colleziono… Quali sono le loro vite? Che cosa sognano quando si siedono e iniziano a cucire?
In calce trovate una foto di Lucy con indosso l’abito della liberazione, che viene nominato anche nel libro.

Perché è ancora importante raccontare storie come questa?
La cosa straordinaria del “Nastro rosso” è che è una storia di fantasia, nata dalla mia immaginazione… ma mi ha portato a scoprire la verità sulle reali sarte del salone di moda di Auschwitz. Quando il romanzo è stato pubblicato inizialmente sono stata contattata dalle famiglie delle donne che sono effettivamente sopravvissute ad Auschwitz grazie alle loro abilità nel cucito. Sono riuscita a incontrare e interviste le ultime sarte in vita e a raccontare la loro storia in un libro di non-fiction, “Le sarte di Auschwitz” (Rizzoli).
Penso che la narrativa ci possa portare in un altro mondo e che ci possa ispirare per scoprire di più riguardo alla vera storia. La cosa più importante è di ricordarci di onorare l’amicizia e la resilienza delle donne e delle ragazze che hanno utilizzato l’arte del cucito per sopravvivere durante l’Olocausto.


Lucy con indosso l’abito della liberazione, che viene nominato anche nel libro.

TRACY WOLFF E IL SUO #BITEMETOUR FANNO TAPPA IN ITALIA

TRACY WOLFF E IL SUO #BITEMETOUR FANNO TAPPA IN ITALIA:

Venerdì 14 ottobre

Ore 18: firmacopie presso la libreria Mondadori Megastore Duomo

piazza Duomo, Milano

Ingresso libero.

Sabato 15 ottobre

Ore 17: presentazione presso l’Accademia di Belle Arti di Brera in collaborazione con La Città dei Lettori.

L’autrice dialoga con Sara Menichetti.

Via Ricasoli 66, Firenze

Ingresso libero.

Domenica 16 ottobre

Ore 17: presentazione del romanzo presso la libreria Mondadori e firmacopie

Festival Buk Romance – Centro Commerciale Aura

Viale di Valle Aurelia 30, Roma

Ingresso libero, il biglietto per il festival è gratuito e acquistabile sul sito.

Sara Fregosi al Salone del Libro di Torino

GIOVEDÌ 19 MAGGIO

ore 15.00

Sara Fregosi

autrice di Ho sempre amato troppo (Sperling & Kupfer)

Sala Magenta, AREA ESTERNA PAD 3

con Paolo Armelli

Giovane attivista per i diritti LGBTQIA+, Sara Fregosi racconta ogni giorno nel mondo dei social tutte le sfumature del mondo arcobaleno. Il suo esordio letterario approfondisce i temi che affronta su TikTok e nel suo podcast.

Intervista a Chiara Ferraris

Raccontaci le storie delle due donne protagoniste di questo libro. Cos’hanno in comune? E cosa invece le rende diverse

Anime qualunque ha due protagoniste femminili, una donna del presente, Serena, con una vita abbastanza ordinaria, un lavoro, un marito, piccoli appuntamenti fissi che scandiscono la sua esistenza, e una donna del passato, Lady Catherine, un’aristocratica inglese che si trova a transitare per Genova durante il suo Grand Tour a cavallo tra il 1833 e il 1834. Due donne che apparentemente non hanno nulla in comune, non sono imparentate, né connazionali, nulla sembra poterle avvicinare, eppure c’è tra di loro un legame invisibile. Entrambe sembrano arrese a un’esistenza già predefinita, quella di Serena che oscilla tra una cena a casa dei suoi e una chiacchierata con la sorella e quella di Catherine, rassegnata al destino di ogni giovane del suo rango, quello di sposare l’uomo che la sua famiglia riterrà opportuno, frequentare l’alta società, avere dei figli. Eppure, entrambe a un certo punto si rendono conto che non può essere tutto qui. O almeno, che a loro non basta. Incapperanno in qualcosa, in qualcuno, che le porrà di fronte a domande scomode, le aiuterà a guardare bene dentro loro stesse, cosa che forse non avevano mai fatto sul serio. E a quel punto non ci sarà molto da fare: dovranno prendere delle decisioni e saranno decisioni che, in un modo o nell’altro, daranno una svolta definitiva alle loro vite.

 

Dopo L’impromissa, un’altra storia ambientata nella tua terra. Come sono rappresentate Genova e la Liguria? E cosa rappresentano invece per i personaggi e per te?

Con L’impromissa ho raccontato una parte della Liguria a cui sono molto legata, l’entroterra, con Anime Qualunque mi sono mantenuta legata a questa ambientazione nella prima parte, per poi spostarmi a Genova e lasciarle lo spazio che si merita. Posso dire che questo libro è una vera e propria dichiarazione d’amore alla mia città e a quello che rappresenta. Abbiamo la fortuna di vivere in un paese, l’Italia, con città impregnate di storia. La calpestiamo sui marciapiedi, la respiriamo tra le pietre degli edifici, ci sono aneddoti ovunque che, inanellati uno dietro l’altro, raccontano la Storia del nostro paese. E’ così anche per Genova, in particolare per il periodo che ho voluto raccontare, i primi decenni dell’Ottocento, ed è stato come voler tirare fuori una collana da uno scrigno, ogni perla portava con sé altri gioielli, monili, uno più bello dell’altro. Scopriamo, attraverso gli occhi di Catherine, la Genova dell’Ottocento, le sue bellezze ma anche gli aspetti meno turistici. Lei stessa capirà che Genova non è solo un elenco di palazzi e chiese da visitare, dato che al pari di città come Milano, Torino, Napoli, Firenze, Roma, anche Genova è una tappa irrinunciabile per i viaggi dell’epoca, ma tra i suoi vicoli conoscerà aspetti del tutto nuovi della realtà e, in fondo, anche di se stessa. Anche Serena accompagna Catherine in questo viaggio e la città che inizialmente è solo uno sfondo delle sue azioni quotidiane si trasforma in qualcosa di diverso e inaspettato.

 

Da dove hai tratto ispirazione per questo romanzo? C’è qualcosa di vero? Il processo di scrittura ha previsto delle ricerche?

Tutto è iniziato con un brano letto a scuola da una mia collega, un brano scritto da Lady Sidney Morgan, una scrittrice che nel 1819 è transitata per il Passo della Bocchetta, descrivendolo con parole molto lusinghiere. Ne sono rimasta colpita, il Passo è a pochi chilometri da casa mia, l’ho percorso decine di volte e mai ho pensato che potesse avere un fascino particolare. Mi sono incuriosita e ho voluto scoprire qualcosa di più su Lady Sidney Morgan, una donna molto intraprendente per la sua epoca, con una storia interessante e che, nei suoi scritti, ha trattato molti temi sociali, tra cui anche la delicata situazione italiana di inizio Ottocento. Mi ha solleticato l’idea di ambientare un romanzo nella Genova risorgimentale e di usare il Grand Tour, l’antenato del moderno turismo, come stratagemma per avere come protagonista una giovane nobile inglese. Ero divertita dall’idea di attingere all’immaginario sull’alta società inglese che ultimamente è stato alimentato anche da serie come Downton Abbey o Bridgerton, per non parlare della nutrita letteratura in merito. Insomma, è iniziato come un gioco, è diventato duro lavoro. Mi sono immersa nei diari dei viaggiatori, inglesi e non, che hanno toccato la Liguria tra il Settecento e l’Ottocento, ho letto le loro descrizioni di Genova, ho approfondito molti aspetti del Grand Tour, le abitudini dell’aristocrazia inglese, la Genova dell’Ottocento; le ricerche si sono diramate verso tante strade diverse. Per la mia protagonista, ho scelto di prendere in prestito alcuni aspetti biografici di Lady Morgan e ovviamente le sue prime impressioni sul Passo della Bocchetta. Ho attinto dalle sue pagine su Genova, per far muovere i primi passi nella città anche alla mia Lady Catherine, ma poi le loro strade si sono divise. La mia Cathy doveva seguire il vento di Genova e le difficili scelte che l’ha obbligata a prendere.

UN MONDO LIBERO: intervista all’autrice Valentina Cebeni

1.    Con il tuo nuovo romanzo ritroviamo la famiglia Fontamara al completo: cosa è cambiato negli anni intercorsi dopo Una nuova vita?

Nel nuovo capitolo della saga a essere cambiati, o meglio cresciuti, sono proprio i figli di Eva e Ottavia. In “Una nuova vita” avevamo lasciato i Fontamara il giorno in cui sono state promulgate le leggi razziali in Italia, alla vigilia di quello che avrebbe rappresentato un cambiamento decisivo per la storia del nostro Paese, che ci avrebbe avvicinato ancora di più all’alleato tedesco e allontanato dal mondo liberale. Avevamo salutato i Fontamara mentre erano alle prese con un nuovo equilibrio raggiunto, anche se imperfetto, con alcuni nodi del passato sciolti e nuove fasi della vita da affrontare, mentre in questo secondo volume li troviamo scossi, provati da una guerra iniziata in ritardo, per il nostro Paese, che tuttavia non risparmia loro importanti prove di coraggio, di vita. E loro, cui il coraggio e la determinazione non sono mai mancati, troveranno il modo per vivere coerentemente con i loro valori anche questa pagina tragica della storia del secolo scorso.

 

2.    Il secondo capitolo della saga si intitola Un mondo libero. Come mai? Com’è rappresentata la libertà in questa storia e cosa rappresenta per te?

La libertà è un valore di cui questo secondo capitolo è intriso, anche se in realtà lo è tutta la saga; mentre nel primo volume, infatti, il valore della libertà era espresso dalla condizione femminile, dal modo di vivere emancipato delle donne Fontamara, in questo secondo volume questa assume un senso più ampio e quasi letterale, perché tutti si ritroveranno a combattere per riconquistarla. In “Un mondo libero” la libertà investe tutti i personaggi e tutti i piani della storia, e questo spiega la scelta del titolo, ma se penso a cosa significhi per me questa parola non posso evitare di fare riferimento agli eventi che caratterizzano questi primi mesi del 2022: libertà è per me la possibilità di vivere pienamente i propri ideali e valori nel rispetto degli altri, senza che questo crei disagio, scandalo, o peggio sia considerato un crimine.

 

3.    Sebbene il romanzo sia ambientato in una Roma devastata dalla Seconda guerra mondiale e dalla Resistenza, è tragicamente attuale, ora più che mai. Perché? Cosa pensi possa lasciare al lettore?

La prima regola per chi scrive romanzi è: “poni domande ma non dare mai risposte”, una filosofia che sposo pienamente. E questo mio approccio alla scrittura si spiega con il bisogno di fornire al lettore, soprattutto in questo momento storico così complesso, uno spunto per riflettere sulla ciclicità degli eventi storici, di modo che questo possa cercare liberamente, appunto, le sue soluzioni, le sue risposte a ciò che purtroppo viviamo in queste settimane. In questa guerra e in quella che racconto in “Un mondo libero” ci sono meccanismi che si ripetono, così come si ripete la tragedia che investe la popolazione civile, ma le soluzioni che possiamo offrire oggi forse possono essere diverse, se si è davvero fatto tesoro di quanto accaduto negli anni ’40. Ed è proprio questo il messaggio che vorrei lasciare ai miei lettori: cercate nel passato le risposte per capire e affrontare il presente. Come farlo, però, è una sfida per tutti noi.

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