Senza perdere il filo

Sperling & Kupfer lancia il primo podcast sulla sostenibilità

Senza perdere il filo. Narratori di mondi possibili è il primo podcast a tema sostenibilità creato da una casa editrice con contributi originali realizzati ad hoc da alcuni autori delle case editrici del Gruppo Mondadori.

Legato al programma internazionale Nudge Global Impact Challenge, il format nasce da un’idea di Linda Poncetta (editor di narrativa di Sperling & Kupfer) e di Grazia Rusticali (responsabile editoriale della narrativa di Sperling & Kupfer e Piemme), che per ogni episodio si sono ispirate a uno dei 17 Sustainable Development Goals dell’ONU.

Chi racconta storie ha il potere di creare mondi nuovi, di mostrarci sotto una luce diversa quello in cui viviamo, indicandoci una via per renderlo migliore.

Con le loro storie, i protagonisti di questo podcast ispirano una riflessione verso un nuovo inizio, un’occasione per immaginare un futuro diverso, dopo il Covid. Perché c’è una risposta al cambiamento che cerchiamo: è un mondo più sostenibile, un futuro che rispetti noi stessi, gli altri e l’ambiente che ci circonda.

Dall’istruzione di qualità alla parità di genere, dalla lotta al cambiamento climatico al valore della diversità: Senza perdere il filo riflette sul passato, racconta il presente e immagina il futuro, attraverso il contributo di 7 autori, che hanno partecipato al progetto parlando di sostenibilità in ogni suo aspetto.

Hanno partecipato al progetto Sara Rattaro (Le parole cambiano il mondo; storytelling e scrittura creativa), Claudio Pelizzeni (Consigli per viaggiare sostenibile), Federica Gasbarro (Le parole insegnano, gli esempi trascinano; cambiamento climatico), Guido Marangoni (Uguali e diversi; diversità e inclusione), Francesca Vecchioni (È l’uomo misura di tutte le cose?; uguaglianza di genere), Andrea Maggi (Lezioni per un futuro sostenibile; istruzione di qualità) e Annalisa Monfreda (Quell’intreccio prezioso di vita e lavoro; smartworking e il futuro del lavoro).

Il podcast (prodotto da Sperling & Kupfer, con la cura editoriale di Linda Poncetta e il sound design di Luca Carano) è disponibile gratuitamente su Spotify, Apple Podcast, Google Podcast, Amazon Music.

I primi 3 episodi sono già disponibili; i prossimi due verranno pubblicati il 17 maggio e gli ultimi due il 24 maggio: https://www.spreaker.com/show/senza-perdere-il-filo. Buon ascolto!

CAMPAGNA SCONTI PICKWICK

È tornata la nostra Campagna Sconti! Dal 16 Aprile al 16 Maggio TUTTO* il catalogo PICKWICK è scontato del 20%.

Se siete alla ricerca di un amore giovane, tormentato e appassionato, la saga di After è quella adatta a voi. Vi piacciono le storie di ampio respiro, dove l’amore è un ingrediente che non manca mai? Vi aspettano i romanzi di Sveva Casati Modignani, Nicholas Sparks, Danielle Steel, Roberto Emanuelli, Sara Rattaro.
Se invece amate il thriller e l’horror, non potete perdere gli ultimi successi di Stephen King, Michael Connelly e Paula Hawkins.

A chi ama le streghe e le creature sovrannaturali, non possiamo che consigliare i titoli di A discovery of Witches, La trilogia delle anime di Deborah Harkness.
Vi incuriosisce tutto ciò che riguarda la cura dello spirito, del corpo e della mente? Affidatevi alla collana Pickwick Wellness.
Nel nostro catalogo non mancano saggi, biografie e bestseller intramontabili, opere ormai divenute dei classici, da Amatissima a Il bar delle grandi speranze, da Il cacciatore di aquiloni a Donne che corrono coi lupi.

Cosa aspettate ad intascare il vostro titolo preferito?

*Ad esclusione dei titoli pubblicati dalle due case editrici nell’ultimo semestre, in conformità all’art. 8 della legge 13 febbraio 2020 n.15

 

Qui la lista dei titoli coinvolti: Lista dei titoli

La lista delle cose semplici

Ci si abitua anche alle cose più terribili. Alla morte di un padre o di una madre, di un fratello, di una sorella, di un amico, alla fine di un amore.

Ci si abitua ai non-amori, ai non-abbracci, alla non-vita, finché sembra tutto normale. Ma quanto possiamo resistere? È vero, siamo capaci di ricalcolare le nostre vite, come fa il navigatore quando sbagliamo strada, e ripartire. Io ho fatto così dopo che mi è successa una cosa che non avevo minimamente messo in conto.

Quando ho iniziato a scrivere “la lista delle cose semplici” ho dovuto far accomodare accanto a me la bambina di undici anni che avevo ignorato e che, improvvisamente, dopo quasi trent’anni di quieta convivenza, aveva alzato la mano per dire la sua. Allora, mi sono re-immersa nella placenta dei ricordi e, galleggiando in quel liquido che mi nutre e mi fa essere viva, ho ascoltato. E lì, in quell’habitat primordiale, ho capito che quello che mi era sembrato normale per tutta la vita e a cui mi ero abituata, era assolutamente non-normale.

Sono stata una bambina molto felice e poi molto triste. Ho perso molte cose della mia infanzia che non sono più tornate e ne ho trattenute altre, inconsapevolmente, che ancora oggi mi vengono in aiuto nei momenti di merda. Quando sei piccolo non hai idea di che cosa voglia dire crescere, diventare grandi. Che poi “grandi” rispetto a chi? Ai bambini? Mah, non saprei. Io dico che più diventi grande, più hai paura. Da piccolo hai quella del mostro sotto il letto, ma non quella più spaventosa di tutte: delle cose che non esistono, che non sono ancora, e che forse non saranno mai. Mentre cresci, cerchi di portare a casa la pelle, poco importa se stai sanguinando, se hai perso un braccio o una gamba, l’importante è salvarsi. A un certo punto, però, in questa roba aggrovigliata che è la vita, che ti chiede di essere all’altezza e di crollare, di ridere e di piangere, di andare e stare ferma, di perdere e di trovare, di cominciare e finire, di amare e di farti amare, proprio nel momento in cui dovresti “essere grande”, si riaffacciano tutte le domande che hai lasciato in sospeso, le cose non fatte, o fatte per compiacere gli altri, non dette, non provate. Le emozioni e i sentimenti ai quali hai rinunciato per non doverci fare i conti.

Nel mio romanzo c’è un grande dolore che avvolge tutto, che asciuga le lacrime e toglie le parole. C’è una bambina che diventa grande troppo in fretta e che invece avrebbe voluto ancora giocare con le farfalle in giardino con sua sorella. C’è la sacralità perduta della famiglia che non mantiene le promesse, ma più di tutto c’è il sentimento che sottende a tutte le nostre vite: la paura. La paura intangibile di essere liberi, di essere felici, di andare incontro ai sogni, di dire la verità e di ascoltarla. Ma c’è anche una forza silenziosa, una resilienza, un’obbedienza testarda e al contempo una ribellione al destino, che ha lanciato i suoi dadi senza chiederti il permesso, plasmando le vite di tutte le persone che fanno parte di questa storia, la mia storia. Vorrei che i miei lettori potessero riconoscervi un po’ della loro perché è questo che fanno i libri: aprono ferite ancora sanguinanti, ci fanno morire e rinascere più forti, più vivi, più “noi”, ci fanno alzare le saracinesche di stanze con secoli di polvere con coraggio e maleducazione. Scrivere è prendersi il permesso di essere pazzi, di disobbedire. Alla fine ci siamo noi, con le nostre piccole vite, le nostre nevrosi, i nostri demoni, il nostro coraggio e la nostra lista di cose importanti (ognuno ha la sua), che sono sempre di una semplicità disarmante.

Così, impariamo che siamo proprio noi il miracolo che andiamo cercando.

L’inizio di ogni cosa – contest

Partecipa alla nostra iniziativa “Un incipit indimenticabile” e raccontaci in quale di quelli riportati in L’inizio di ogni cosa di Luca Ammirati ti ritrovi di più.

Come fare?

Dal 5 al 21 marzo 2021 condividi sul tuo profilo instagram una fotografia (creativa ed originale) che ritrae uno degli incipit del libro, quello che rappresenta al meglio la tua personalità.
Ricordati di taggare @sperlingkupfer e utilizzare l’hashtag #liniziodiognicosa.

I contributi verranno valutati da una giuria e potranno essere poi pubblicati sulla piattaforma social dell’autore e della casa editrice, che annuncerà i tre vincitori il 26 marzo 2021.

I vincitori riceveranno un taccuino “LEGAMI” dedicato al libro.

Consulta il regolamento.

Il mistero degli scacchi

Il mondo sta impazzendo per gli scacchi, ma  io non mi sorprendo. Questo gioco seduce da sempre gli uomini e in particolare gli scrittori. Io sono attratto, tra le altre cose, dal suo mistero. “Scacco matto con delitto” è un giallo dove il fascino del gioco si unisce a quello del giallo. Perché il mistero si addice agli scacchi. Ogni posizione è per il giocatore un enigma da risolvere; ogni partita un assassinio da compiere. La stessa storia del gioco è ricca di gialli mai chiariti. A cominciare da quello delle sue origini, avvolte nella leggenda. E continuando poi con veri e propri omicidi. Per esempio il caso Wallace, che affascinò anche Raymond Chandler, il creatore di Marlowe, che lo riteneva “insuperabile”, e che vide come vittima la moglie di uno scacchista di Liverpool, nel 1931. O la misteriosa morte, proprio alla vigilia di un campionato del mondo, del leggendario campione russo Alechin, archiviata nel 1946 come “incidente” ma considerata da molti un delitto abilmente insabbiato. Entrambi questi misteri hanno un ruolo importante nel mio romanzo, che si svolge però in tutt’altra epoca e tutt’altro luogo: al giorno d’oggi e a Urbavia, deliziosa città d’arte del Centro Italia (a proposito, è inutile che la cerchiate sulla mappa. Anche questo nome racchiude un piccolo enigma). Cosa c’entrano allora col pacioso Maestro Petrosi, il protagonista del mio romanzo, quei due indimenticabili gialli di quasi 100 anni fa? Questo è un altro mistero. E lo potrete sciogliere solo leggendo “Scacco matto con delitto”.

Con l’amore non si scherza… ma si può giocare!

Con l’amore non si scherza… ma si può giocare!

Partecipa alla nostra iniziativa e raccontaci questo speciale San Valentino 2021 in compagnia del nostro “Diario d’amore per adulti”.

 Dal 9 al 15 febbraio raccontaci il tuo San Valentino con una fotografia originale e in tema che mostri la tua copia del “Diario d’amore per adulti”.

 Come fare?

Pubblica la tua foto su Instagram e tagga il profilo @sperlingkupfer e inviala insieme al tuo nome, cognome, numero di telefono e indirizzo via mail all’indirizzo di posta diariodamore@mondadori.it.

 La giuria eleggerà le 6 fotografie più originali entro il 26 febbraio.

I vincitori riceveranno direttamente da uno degli autori del Diario un gioiello.

 Scarica qui il regolamento.

 

Aggiornamento del 26/02/2021: Ecco i vincitori!

Elisa Dolce

Chiara Malinverno

Arsida Picoka

Emanuela Comastri

Sanja Trajkoska

Intervista a Anna Carbone, traduttrice di Crave

Definito da autrici e stampa americana il Twilight di questa generazione, arriva finalmente in Italia Crave, il primo volume della serie paranormal romance di Tracy Wolff.

1) Sei una traduttrice che spesso si cimenta con generi diversi. Spazi da Kiera Cass a Mona Kasten, per esempio. Come hai affrontato un’autrice come la Wolff? E, in generale, come ti approcci al lavoro di traduzione?

Sì, sono generi molto diversi, e anche lingue diverse, perché la Kasten ambienta i suoi romanzi nei college statunitensi, però scrive in tedesco. Per quanto riguarda il mio approccio al lavoro, io sono, nella vita come nel lavoro, un tipo molto ansioso, ho sempre paura di non arrivare in tempo (non vi dico la disperazione dei miei compagni di viaggio, se non mi presento in stazione mezz’ora prima dell’orario del treno, non sono contenta), perciò in genere mi butto a capofitto nella traduzione senza avere letto prima tutto il testo, imponendomi ritmi molto rigidi, un tot di pagine al giorno, per avere il tempo di fare più riletture. Spesso lascio in sospeso qualcosa, nodi da sciogliere, termini per i quali non trovo subito una soluzione efficace, parole chiave per le quali soltanto andando avanti nel lavoro scopro la traduzione più soddisfacente. La mia prima stesura è piena di asterischi, punti interrogativi ed evidenziature in giallo. In casi particolari, se ci sono poesie, filastrocche (traduco spesso libri per ragazzi) giochi di parole o barzellette (come in Crave), me li stampo a parte e ogni tanto ci do un’occhiata, perché è inutile starci a pensare mezz’ora di seguito, spesso l’idea ti viene all’improvviso, così come la parola giusta spesso la cogli per la strada o sull’autobus, sentendo una conversazione per caso. Per fortuna con il computer non è un problema tornare indietro e correggere. Le mie primissime traduzioni, all’indomani della laurea, erano ancora battute a macchina, e lì l’approccio era molto diverso, un errore o una correzione significavano buttare via il foglio e ribattere tutto da capo, lì doveva per forza essere buona la prima! E poi, come dicevo, faccio diverse riletture, le prime su carta, penna alla mano, ma le ultime direttamente a computer, ad alta voce, perché solo così riesco a cogliere ripetizioni, rime non volute, eccetera. (Che poi ne restano ancora, ma qui entra in scena il revisore, per fortuna!)  

 

2) Tradurre fantasy e paranormal romance non è mai semplice perché è compito del traduttore ricreare un mondo nuovo, inedito. Come è stato lavorare al mondo di Crave e soprattutto alle descrizioni della Katmere Academy?

Be’, naturalmente dire che il traduttore ricrea un mondo nuovo è inesatto, il mondo lo ricrea l’autore, il traduttore… lo traduce, appunto. E come sempre, è essenziale non restare sempre troppo aderenti alla lettera del testo originale, perché si rischia di produrre un testo confuso, arruffato, che non rende l’idea e in cui il lettore non riesce a immedesimarsi. L’importante, secondo me, è farsi un’idea ben chiara dell’ambientazione immaginata dall’autore, e con questa idea in testa, e sul canovaccio del testo di partenza, riprodurre una descrizione in cui anche il lettore possa immaginare di muoversi.

 

3) A proposito dei personaggi, gli studenti della Katmere Academy non sono ragazzi ordinari. C’è qualcuno di loro che ti ha colpito particolarmente? Hai un preferito?

Credo che la mia preferita in assoluto sia Grace. Arriva alla Katmere ancora sconvolta per la morte dei genitori, metà scuola la guarda di sottecchi e l’altra metà cerca di farla fuori fin dalla sera del suo arrivo; senza saperlo si aggira tra vampiri, draghi, lupi mannari e streghe, però non si perde d’animo, anzi, tira fuori una grinta pazzesca e finisce per sfuggire a Lia e persino per salvare la vita a Jaxon.

Poi naturalmente non posso non citare Jaxon, che dietro l’apparenza fredda e distaccata cela un animo tormentato, e come non capirlo, con la famiglia da cui proviene! È bello vedere come con Grace sappia essere tenerissimo e molto protettivo.

Però permettimi una menzione speciale per la cuginetta Macy: certo, ha il difettuccio della passione per il rosa shocking ?, ma a parte questo, è una vera amica per Grace, e senza fare troppo spoiling, nel secondo volume tirerà fuori tutte le sue arti di strega e darà prova di tutta la sua lealtà.

 

4) Il romanzo contiene molti giochi di parole, molte battute e molti riferimenti pop che non sono facilissimi da tradurre. Che approccio hai scelto con questi elementi? Sei rimasta fedele all’originale o hai preferito basarti sul lettore finale?

Ah, questi giochi di parole sono stati la croce e la delizia del libro, ma sono anche quelli che mi hanno dato più soddisfazione, quando sono riuscita a risolverli. Ogni titolo di capitolo è stato una sfida, dietro ognuno di essi si nascondeva un tranello, a volte evidente, a volte nascosto, e anche all’interno del testo ricorrevano spesso doppi sensi, soprattutto con il verbo “bite”, mordere, come nell’espressione “bite me”, che vuol dire “va’ al diavolo!”. Devo dire che, soprattutto per i titoli dei capitoli, ho usato approcci diversi: a volte ho potuto riprodurre il gioco di parole pari pari; a volte l’ho tradotto con un altro; una volta ho addirittura sostituito il titolo di una canzone inglese con una italiana (di Gianna Nannini); altre volte il titolo del capitolo era il titolo di un film o di un libro di cui esisteva una traduzione in italiano, ma era così lontana dall’originale che si perdeva il riferimento, perciò magari ho preferito “pescare” all’interno del capitolo una frase a effetto.

Grace e Jaxon amano scambiarsi barzellette e indovinelli: in certi casi le ho modificate completamente, perché quello che contava era creare l’effetto ridicolo, ma qualche volta è stato proprio necessario restare aderenti al testo. Penso per esempio alla freddura di capitolo 24, quella sul vampiro che incontra il pupazzo di neve: qui i due elementi vampiro-pupazzo di neve andavano mantenuti per forza. Ecco, in casi come questi per fortuna vengono in soccorso i colleghi, e devo ringraziare le mailing list di traduttori di Biblit e di Qwerty, cui mi rivolgo quando non so più dove sbattere la testa, che mi hanno suggerito la soluzione (e anche quella dei tentacoli, poco sopra). Mi fa piacere dirlo, perché sul frontespizio del libro compare il nome del traduttore, ma i lettori non sanno che la traduzione è un gioco di squadra che coinvolge, oltre al traduttore, anche editor, redazione, revisore, traduttore di bozze, appunto colleghi e consulenti, e spesso anche mariti/mogli/compagni/figli e amici vittime, che si prestano a leggere l’ultima stesura prima che il traduttore clicchi sul fatidico tasto Invio.

 

 

 

 

Claudia Venuti: Quante cose possiamo vivere per la prima volta?

Quante cose possiamo vivere per la prima volta?
Mi sono posta spesso questa domanda negli ultimi tempi, in particolar modo nel tempo legato alla stesura del libro, che ad un certo punto ho addirittura messo in stand-by perché era come se, dopo aver spento le mie trentatré candeline, avessi iniziato un nuovo ciclo di vita, una sorta di rinascita interiore che richiedeva maggior tempo per essere metabolizzata. Mentre cercavo parole nuove e rileggevo quelle già scritte, trovavo continuamente cuori a terra e ho sempre pensato non fosse un caso, ma una sorta di: “Sei sulla strada giusta”, una rassicurazione per il mio animo sempre in tempesta.

“Ho trovato un cuore a terra ma non era il mio” credo sia il mio libro più intimo perché è il simbolo di un viaggio diverso da tutti gli altri miei viaggi fatti con carta e penna.

Nina, la protagonista, amante della solitudine, in realtà ha solo un carico di paure troppo grandi con sé ed è vero che le persone sono in grado di ferirci, ma è ancor più vero che anche noi stessi siamo perfettamente in grado di farci del male da soli.

Ho cercato di toccare tante “corde” della vita, tanti sentimenti e stati d’animo provati, sentiti, respirati mentre andavo in bici con la musica nelle cuffie, mentre camminavo in silenzio a riva o mi fermavo a riflettere seduta sul mio scoglio preferito davanti al mare.

La nostra esistenza è una costellazione di lezioni continue e spesso abbiamo la sensazione di non aver appreso molto o addirittura niente. La verità è che scavando un po’ a fondo, dove andiamo a nascondere tutto ciò che ci spaventa di più, risiedono tantissime risposte. La differenza sta nell’iniziare a scavare per scoprire cosa potrebbe esserci e la cosa straordinaria è che non è detto che ci siano solo brutti ricordi, ma anche tanti piccoli spiragli di luce e speranza per ricostruire il nostro presente e perché no, persino il nostro futuro.

Lasciatevi la possibilità di sorprendervi ancora.

La felicità è coraggio.

A Natale regala l’emozione di un libro! ?

Il periodo più magico dell’anno si avvicina e, inevitabilmente, come la corsa ai regali per le persone a noi più care. Quest’anno sarà un Natale particolare, più intimo e moderato per molti aspetti ma non per questo meno intenso e ricco di calore.

Se siete alla ricerca del regalo perfetto da donare o donarvi, date un’occhiata ai nostri consigli di lettura. Esiste per tutti il libro ideale e noi vogliamo aiutarvi a trovarlo.

    

    

    

    

 

 

 

 

I gatti di Venezia

Se esiste una città a misura di gatto, quella è Venezia. E lo è storicamente, da diversi secoli, un po’ per necessità e un po’ per simpatia. Perché i gatti hanno sempre aiutato i veneziani a combattere i topi e perché il loro carattere, fiero e indipendente, affezionato alle consuetudini e poco incline ai cambiamenti improvvisi, assomiglia in fondo a quello della città. Fino a tempi non troppo lontani esistevano vere e proprie comunità di gatti, che vivevano liberi nei campi e nelle calli, al punto da costituire un tratto caratteristico del paesaggio urbano. Ma anche oggi, pur essendo ridotti nel numero, rimangono sempre una parte integrante dell’anima di Venezia.

Ne ho conosciuti di tutti i tipi, dai caratteri più diversi. Il soriano dal nome sconosciuto, che per qualche misteriosa ragione affrontava quasi ogni giorno un incredibile viaggio col vaporetto, sfidando la paura dell’acqua e la folla nelle ore di punta. Cuba, il gattone bianco e nero che veniva a raspare alla mia finestra e che poi, una volta saltato dentro, restava a farmi compagnia mentre scrivevo fino a tarda sera. Il Rosso di San Martino, che aveva scelto una vecchia barca di legno per andare a poltrire nelle giornate di sole, convinto che lì nessuno lo avrebbe mai disturbato. Damasco, il gatto guardiano del faro, che se ne stava seduto a guardare le navi passare vicino alla riva, affascinato da quei giganti di ferro, alti come palazzi. E che dire dei gatti che vivono liberi nelle isole della laguna? O di quelli ospitati nei chiostri dell’ospedale – forse un caso unico al mondo – accuditi amorevolmente da un’anziana mama dei gati?

Seguendo i suoi gatti, possiamo addentrarci in una Venezia nascosta, lontana dai grandi flussi turistici, dove si può ancora respirare un’atmosfera popolare e scoprire l’anima vera della città.

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