LOVE MATCH di Paola Gianinetto

Love Match è nato sui campi da calcio, o meglio, in tribuna.

Perché, ebbene sì, io sono la fortunata mamma di una calciatrice. Prima, una bimba di sei anni che mi avrebbe volentieri presa a schiaffi quando tentavo di infilarle il body da ginnastica ritmica e che sopportava senza battere ciglio i compagni maschi che la facevano sempre stare in porta, perché nessuno ne aveva voglia, e poi tanto lei era una femmina. Poi, una ragazzina di dodici che ha realizzato il sogno di giocare nella sua squadra del cuore, di indossare gli stessi colori dei suoi idoli. E adesso una ragazza di quindici che anche se va al liceo e c’è tanto da studiare lo spazio per il calcio riesce ancora a trovarlo, perché è qualcosa che fa parte di lei.

La vita della mamma di una piccola calciatrice non è facile. Tocca fare i salti mortali per riuscire a portarla agli allenamenti quando invece dovresti lavorare, dimenticarsi i weekend liberi per andare alle partite, anche se la temperatura è sotto zero e tu batti i denti per il freddo e ti chiedi perché tua figlia non abbia sviluppato una passione così grande, che ne so, per il nuoto sincronizzato. Eppure, mentre trascorrevo tutte quelle ore a congelarmi il sedere sul cemento, mi sono innamorata. Di ognuna delle piccole guerriere che ho incontrato negli anni, della loro forza, della loro determinazione. Della consapevolezza che hanno, già da bambine, del fatto che per loro sarà tutto più difficile. Ma non gliene frega niente, anzi, saperlo le rende solo più forti. Quello che mi ha sempre colpito è l’intensità con cui credono in quello che fanno, nei colori che indossano. Nell’essere una squadra, una squadra sul serio, una cosa sola contro il resto del mondo. Anno dopo anno, mi sono innamorata del loro immenso cuore e dei sogni che brillano loro negli occhi.

Nina, la protagonista di Love Match, è l’incarnazione di tutti quei sogni. Avrei potuto raccontare la sua storia in mille modi diversi, ma per lei volevo una storia d’amore a tutto tondo. Con il calcio e con la vita. Per Nina volevo la Fiaba, quella con la F maiuscola, il Principe Azzurro e il vissero per sempre felici e contenti. E chi poteva essere più adatto a vestire i panni del Principe Azzurro se non Samuel De Luca? Il Re, la stella assoluta della squadra, il golden boy del calcio italiano. Per Nina, un idolo da ammirare da lontano, almeno finché…

Ho scritto tanti libri e li ho amati tutti alla follia, ma questo mi ha dato qualcosa in più: uno straordinario viaggio nel tempo. Mentre scrivevo ho avuto di nuovo diciott’anni, ho provato tutta l’intensità delle emozioni del primo amore. Un primo amore da favola, quello che tutte prima o poi abbiamo sognato e che poche fortunate hanno vissuto. Ho scoperto che non c’è età per il batticuore e le farfalle nello stomaco e me le sono godute tutte, fino in fondo.

Che abbiate diciotto anni oppure sessanta, spero che Samuel e Nina facciano lo stesso effetto anche a voi, perché non siamo mai abbastanza grandi, abbastanza seri o abbastanza impegnati per sognare.

E, quando sogni, tanto vale farlo in grande.

Lucilla Ricottini, l’omeopatia

1 -Come funziona l’omeopatia.

Ormai è una nozione comune, la parola omeopatia vuol dire la cura con il simile, cioè dare una sostanza diluita può curare quella malattia che verrebbe causata dalla stessa sostanza in concentrazione elevata.  In realtà la preparazione è poi più complessa, perché prevede anche un procedimento “energizzante” che si chiama dinamizzazione. Senza questa attivazione la sostanza diluita non ha effetto terapeutico.

 

2- L’omeopatia cura il malato e non la malattia. Che significa?

Si dice così perché l’omeopatia guarda al malato nella sua totalità. Infatti nella ricerca della cura, il medico omeopata va a studiare anche sintomi specifici come i gusti alimentari, l’attrazione o avversione per le temperature calde o fredde, il desiderio di liquidi caldi o freddi, la presenza o meno di brividi, etc.. Tutte indicazioni che lo guidano nella scelta del rimedio specifico. Non esiste quindi la cura per la gastrite, piuttosto esiste la cura per Paolo che ha la gastrite. Ogni volta che una persona supera una patologia utilizzando un rimedio omeopatico, rafforza tutto il suo organismo.

 

3- Perché i prodotti omeopatici non hanno il bugiardino?

Fino ad oggi non sono stati inseriti per il timore che possano creare una tendenza all’automedicazione anche in casi gravi. E’ importante infatti che il rimedio omeopatico venga prescritto da un medico- e in Italia gli omeopati sono medici- in modo che la patologia venga curata con un rimedio omeopatico quando non mette a rischio la vita.

 

4- In quali patologie è efficace l’omeopatia?

L’omeopatia è utile in tutti i casi in cui la patologia non è così grave da richiedere un intervento immediato di tipo chimico. In questo caso l’omeopatia sostiene i processi naturali di guarigione, ottimizzando la risposta immunitaria e riequilibrando il sistema globale organico, andando a potenziare la risposta biologica .

Questo può  richiedere del tempo, come ad esempio nella cura di una rinite allergica . La terapia omeopatica non è indicata nei casi in cui la patologia può degenerare in poche ore, mettendo a rischio la vita o compromettendo fortemente la qualità di vita di un paziente. E’ comunque utile per la disintossicazione (termine tecnico:drenaggio) dopo l’assunzione di farmaci chimici ed è anche molto efficace nella prevenzione.

 

5- Cosa si intende per biotipo?

In omeopatia parlare del terreno vuol dire rimandare alla costituzione di base della persona e, in questo, lo studio del biotipo si è rivelato molto utile. Infatti ogni individuo è un mondo a sé, ma nello stesso tempo condivide con altri individui delle caratteristiche  metaboliche, endocrinologiche e immunitarie per cui tende a reagire con le stesse modalità  agli stimoli ambientali, chiamati in gergo stressor. Gli stressor  possono essere di tipo: infettivo, tossico, ambientale in senso lato (come per esempio l’elettromagnetismo), emotivi. Quindi il biotipo individua delle caratteristiche biologiche di risposta agli stressor e la tendenza a sviluppare alcune patologie piuttosto che altre.

 

6- Quanti sono i biotipi?

Nell’omeopatia costituzionale sono quattro e sono caratterizzati da un assetto morfologico, temperamentale, endocrino, metabolico e immunitario che li individua. In grandi linee vengono divisi in 2 tipi longilinei e 2 tipi brevilinei. Ciascuno di questi tipi reagisce in modo simile agli stimoli ambientali e appare predisposto a specifiche patologie. Nell’omeopatia classica , secondo alcuni studi di inizio secolo, possiamo riconoscere le quattro tipologie anche dal nome di alcune sostanze chimiche che vengono poco metabolizzate da questi individui. Riconosceremo pertanto il tipo: carbonico, sulfurico, fosforico e muriatico.

Osserviamo gli individui da punti di osservazione diversi e li chiamiamo con nomi diversi, ma si tratta sempre degli stessi biotipi. Ciascuno di questi si ammalerà secondo modalità caratteristiche, guarirà secondo tempi e modalità caratteristici, presenterà un proprio metabolismo e un proprio modo di rispondere alle infiammazioni. Sarà favorito dall’assunzione diche digerisce ed utilizza meglio L’individuazione del biotipo aiuta fortemente nella prevenzione.

 

Lorenzo Zassoli de Bianchi – La luna rossa

Ho scritto il romanzo “La luna rossa” durante la pandemia.

Il “lockdown” è stata una inusuale condizione di estraniazione che mi ha spinto a raccontare una storia musicale, una vicenda umana che unisce nella melodia Napoli e New York. Due città-mondo legate da una singolare coincidenza geografica, il 41esimo parallelo e da un comune sentire.

“La luna rossa” narra di un’affettuosa complicità tra un padre e un figlio, Gerardo e Ninetto Romano, uniti da uno straordinario amore per la musica e capaci di immaginare un futuro con un’abbondanza di cose desiderabili.

Gerardo è un musicista mancato ricco d’amore, di ingenui ideali, di fiducia nella bontà altrui tanto da restare immutato e candido attraverso ogni esperienza. Sorridere al mondo è l’ultimo segreto del suo fascino. La sua grande passione musicale è Tom Waits, il menestrello di Pomona: canzoni come lingue d’asfalto che attraversano canyon e terre di nessuno abbracciando solitudine e emarginazione.

Tom Waits è la sottotraccia del libro, il solco musicale che attraversa il tempo con una inaudita forza espressiva.

Ci vuole coraggio per lasciare Napoli, città che ha il profumo di un’umanità potente, perspicace, avventurosa, ma Gerardo e Ninetto partono inseguendo un sogno e si ritrovano a New York dove l’altezza dei grattacieli si smorza negli spazi allungati di Central Park, dove le luci di Broadway annegano nell’acqua torbida dell’Hudson.

Nel loro percorso utopico incontrano strambi personaggi: da Oracle Fire Blues il benzinaio di Pomona che si credeva il bassista di Tom Waits a Nanà, la stupenda responsabile all’immigrazione di New York; da Michael Stipe, il magnetico leader dei R.E.M. a Imma Nazionale, la cantante detta l’Alhambra per i capelli rossi, la facilità della mossa e l’abilità nella danza del ventre.

Le canzoni sono la sublime banalità della nostra esistenza, le compagne delle nostre piccole odissee. Perciò chi avrà la pazienza di leggere il libro si potrà immergere in tanta musica napoletana e americana disponibile nella playlist LA LUNA ROSSA su Spotify.

Mi è, infine, piaciuto immaginare che la luna conosca le ragioni della vita, la sofferenza, il dolore, il sospiro, la morte e il frutto dell’infinito passaggio del tempo. La luna ha il potere di placare l’inquietudine delle cose.

Si è scritto tanto sulla luna e tante sono le canzoni che la evocano. Ne ho scelta una in particolare: la melodia di Luna Rossa che è il fil rouge lungo cui scorre tutto il libro.

Daniela Volontè: Ti scrivo una canzone

Vi è mai capitato di ascoltare una canzone e di innamorarvene all’istante?

A me, no! Almeno non fino al giorno in cui mio marito mi ha fatto ascoltare una canzone italiana che mi ha completamente stregato.

Ma per farmi capire meglio, devo fare un piccolo passo indietro e spiegarvi che non sono una grande ascoltatrice di musica, anzi… Non vado ai concerti, non canto a squarciagola sotto la doccia e accendo la radio solo quando sono in auto e devo affrontare un lungo viaggio. Non amo quando esco con le amiche e nei pub alzano il volume della stereo, perché non riesco più ad ascoltare chi mi sta accanto. C’è soltanto un momento in cui mi lascio cullare dal ritmo di una canzone: quando scrivo. Infatti, secondo me, per ogni romanzo deve esserci una colonna sonora ben definita.

Da ciò si desume che io e la musica viaggiamo su binari ben distanti, eppure… Appena ho sentito per la prima volta la canzone a cui vi accennavo, ho cambiato completamente prospettiva. Ogni cosa mi ha intrigato di quella canzone e più la ascoltavo, o leggevo il testo, più nella mia testa si faceva largo una storia. Di norma non ho le idee chiare fin dall’inizio circa lo sviluppo di una nuova trama, invece, questa volta il romanzo è nato in una maniera tanto spontanea da stupire anche me. Inoltre, io, che di solito sono ipercritica su ciò che scrivo, ho adorato mettere nero su bianco alcune scene che nella mia testa continuavo a rivedere, come la sequenza preferita di un film amato.

Il risultato finale di questo processo lo metto nelle vostre mani e ovviamente mi auguro che sia un bellissimo “film da vedere”. Se volete conoscere il titolo della canzone che ha ispirato l’intero romanzo, non dovete far altro che leggerlo e arrivare all’ultima pagina, dove la vostra curiosità troverà di sicuro soddisfazione.

Prima che la lettura inizi, non posso che ringraziare tutti coloro che si lasceranno condurre per mano in un mondo fatto di musica e di parole.

Buon viaggio da parte mia e da parte dei Sonder.

Manzoni VS Arrigoni

È possibile che alla base dei Promessi Sposi si nasconda una faida famigliare? Leggendo i documenti sembrerebbe proprio di sì, e affiora addirittura l’ipotesi che Manzoni non fosse del tutto ironico quando affermava di aver ritrovato un vecchio manoscritto “dilavato e graffiato”.


Altoforno alla norvegese https://media.snl.no/media/236012/standard_NJ-003859.jpg [Licenza: CC BY NC 2.0 – Georg Haas/C.A. Lorentzen/Næs Jernverksmuseum]

Gli avi di don Lisander nella zona di Lecco e della Valsassina, infatti, furono a lungo in competizione con la potente famiglia di… don Rodrigo! Avete letto bene, è infatti probabile che il Palazzotto del nobile antagonista di Renzo e Lucia altro non fosse che quello che si trova sullo Zucco di Olate, costruito nel 1570 dalla famiglia Arrigoni.
Il motivo della contesa fra le due enclave, i Manzoni in rapida ascesa, ma non ancora nobili, e gli Arrigoni in lenta decadenza, pare fosse incentrata sul monopolio delle ricche miniere della Valsassina e del commercio del ferro.
Al centro della contesa troviamo lo spietato Giacomo Maria Manzoni e i suoi bravi (sì, i bravi ce li avevano anche i Manzoni!), sospettato tra l’altro di essere il mandante dell’omicidio di Giovanni Arrigoni, assassinato con una archibugiata in un giorno d’estate del 1621, nei boschi sopra Barzio. Ancora oggi nello stemma del paese sono riportati gli stemmi delle due famiglie rivali, il manzo passante e la sigla AR.

Tuttavia. nei Promessi Sposi non si fa diretto riferimento a questa contesa, e la (proto)industria messa al centro della trama non è quella del metallo, ma quella della seta. Lucia era una filandina e Renzo un filatore di seta, due professioni diversissime tra loro, ma già diffuse nel milanese fin dalla seconda metà del Quattrocento, ai tempi di Leonardo Da Vinci e Ludovico il Moro. Il soprannome di quest’ultimo infatti non allude né al colore né alla lotta contro i “Mori”, bensì… ai gelsi! Gli unici alberi adatti a sfamare i bachi da seta, che in dialetto venivano chiamati “moroni”. D’altro canto, storicamente l’industria della seta nel lecchese visse il proprio exploit a partire dalla seconda metà del Seicento e soprattutto nel Settecento, parecchi anni dopo la fine della storia dei due sposi promessi.

Ma i Promessi Sposi non si concludono con il loro matrimonio, bensì… con la Storia della Colonna Infame. Che ha a che fare l’iniquo processo contro gli untori della peste, pregno di superstizioni, con la faida tra gli Arrigoni e i Manzoni? In realtà, moltissimo: ricordate che la peste era entrata nel Ducato di Milano con i Lanzichenecchi passando dalla Valsassina? Ebbene, nel 1630 Ambrogio Arrigoni, Deputato della Sanità per la Valsassina, approfittò della sua posizione per vendicarsi degli avversari di una vita, estorcendo la confessione di Caterina Rozzona, amante di Francesco Manzoni, detto il Bonazzo. L’accusa era quella di aver “unto” la casa del fratello morto di peste, di aver fatto un patto con il diavolo e di aver partecipato a tutte le perversioni del barilotto (nome lecchese del sabba delle streghe) insieme ad altri parenti e amici. Tra questi: Simone Manzoni detto il Gambarello, sua moglie Clara Bossi, il quindicenne Bernardo Boccaretto… e soprattutto il signor Giacomo Maria Manzoni del Caleotto, accusato di essere capo e mandante di tutta la congrega.
Come andò a finire la vicenda? Lo potrete scoprire sulle pagine di Engaged, in cui ho intessuto ferro e seta, combinando le vicende narrate dal Manzoni a quelle da lui taciute, legandole con… un pizzico di magia. E chissà che non fossero proprio queste le “Traggedie d’horrori, e Scene di malvaggità grandiosa, con intermezi d’Imprese virtuose e buontà angeliche, opposte alle operationi diaboliche” contenute nel (vero) manoscritto dell’Anonimo!

Per approfondire:

Pietro Pensa, “Famiglia Manzoni: quel ramo del casato”, 1985, https://pietro.pensa.it/Famiglia_Manzoni:_quel_ramo_del_casato

Lucio Causo, “Mortale contesa nata nel 1600 tra le famiglie Manzoni e Arrigoni per il possesso delle miniere di ferro in Valsassina”, 2011,
http://www.aksaicultura.net/luciocauso/index.php?nohead=1&view=10

Marco Rapetti Arrigoni, “Quando gli avi di Manzoni erano in causa con i miei: alle fonti de I Promessi Sposi”, 2019, https://www.breviarium.eu/2019/08/03/arrigoni-manzoni-fermo-lucia-promessisposi/

eccoLecco, “Palazzotto di Don Rodrigo”, 2022,
https://www.eccolecco.it/i-promessi-sposi/luoghi-manzoniani/palazzotto-didon-rodrigo/

Wikipedia, “Untore”, 2023,
https://it.wikipedia.org/wiki/Untore

Ignazio Cantù, “Le vicende della Brianza e de’ paesi circonvicini”, 1837

Giuseppe Arrigoni, “Documenti inediti risguardanti la storia della Valsassina e delle terre limitrofe”, 1857

Antonio Balbiani, “I famosi untori della peste: seguito alla Colonna Infame di Alessandro Manzoni” (romanzo), 1875

Armando Frumento, “Imprese lombarde nella storia della siderurgia italiana”, volume II, Il ferro milanese tra il 1450 e il 1796, 1963

Giuseppe Farinelli, Ermanno Paccagnini, “Processo agli untori. Milano 1630: cronaca e atti giudiziari”, 1988

Alessandra Dattero, “La famiglia Manzoni e la Brianza”, 1997

Gian Luigi Daccò, “Giacomo Maria Manzoni. Documenti” in «Manzoni-Grossi, Tomo I», 1991

Mauro Rossetto, “Villa Manzoni al Caleotto nelle carte dell’Archivio ManzoniScola”, in «Manzoni-Grossi, Tomo I», 1991

Marco Tizzoni, Pierfranco Invernizzi, Matteo Lambrugo, “Memorie dal sottosuolo. Per una storia mineraria della Valsassina”, 2015

Claudio Paglieri “Il conte Attilio” (romanzo storico), 2023

Inquisitori… inquisiti!

Lo sapevate che spesso a finire inquisiti dal Sant’Uffizio erano… gli inquisitori stessi? E che sono esistiti inquisitori che si sono tassati personalmente per curare e risarcire gli eretici pentiti all’ultimo minuto?
La storia dell’Inquisizione è molto più lunga e complicata di quello che ci viene mostrato nei film, e non fu nemmeno un fenomeno limitato al Medioevo. Si potrebbe dire, anzi, che l’Inquisizione visse il suo periodo più “luminoso” (o oscuro, a seconda dei punti di vista) proprio nella cosiddetta Età Moderna.


Gerard ter Borch (II), “Il supplizio della corda”, 1633-1635 Fonte: Rijksmuseum di Amsterdam, http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.431172

La leggenda nera di un’Inquisizione fatta di frati sadici che seviziavano in modo orrendo eretici e streghe in realtà è figlia di due epoche diversissime fra loro ma accomunate dalla condanna dell’oscurantismo: l’Illuminismo e il Romanticismo. Il fenomeno storico dell’Inquisizione, o meglio, delle Inquisizioni al plurale (medievale, spagnola e romana), è molto più complesso e variegato di quanto s’immagini… e la sua storia non è ancora finita. Pochi infatti sanno che il Sant’Uffizio non ha mai smesso di esistere nella Chiesa Cattolica, ma ha solo cambiato nome. Oggi è la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Ah, ed è un fenomeno esclusivamente cristiano. Gli ebrei e i musulmani non potevano venir indagati dal Sant’Uffizio, perché non potevano essere “eretici”, non essendo mai stati cristiani, salvo il caso dei convertiti e dei finti convertiti. E a Venezia ce n’erano parecchi… ma questo discorso ci porterebbe lontano.
Ma allora che cos’è l’Inquisizione? Per quale scopo sorse? E perché è così difficile darne una definizione?
La risposta alla prima domanda getta luce anche sulle altre. Prima dell’Inquisizione nacquero gli inquisitori e la procedura inquisitoria. Cioè un’indagine segreta e attiva volta a scoprire e combattere l’eretica pravità. In pratica, tutte le deviazioni dall’ortodossia cattolica. E fin qui, in realtà, non c’è niente di nuovo. La Chiesa reprimeva da sempre le eresie, cioè le deviazioni dall’ortodossia stabilita dai concili ecumenici, e lo faceva tramite i vescovi e i loro tribunali.
Intorno al XIII secolo, tuttavia, all’epoca della crociata contro gli Albigesi e del conflitto istituzionale tra l’imperatore Federico II e papa Gregorio IX, si rese sempre più necessario da parte di quest’ultimo ribadire la supremazia della Chiesa in materia di fede, davanti all’imperatore che voleva arrogare a sé la prerogativa di giudicare chi fosse o non fosse eretico. Gregorio IX e il suo successore, Innocenzo III, furono quindi spinti a istituire dei giudizi speciali, gli inquisitores, con lettere d’incarico che li mettevano al di sopra di ogni altro tribunale, almeno per quanto concerneva la lotta contro l’eresia. Questi mandati furono affidati innanzitutto ai neonati frati domenicani (1235) e poi anche ai frati minori francescani (1246).
Restava tuttavia inalterato il potere dei vescovi, che potevano far ricercare, indagare e condannare gli eretici in autonomia. Questo fatto creò molti problemi. Per esempio, se erano in disaccordo, a chi spettava giudicare se una persona fosse o meno eretica? Al vescovo o all’inquisitore? La risposta non era affatto ovvia, e si rese necessaria la creazione di un ente centrale che tenesse traccia di tutti i procedimenti inquisitoriali. Fu così che a Roma nacque il Sant’Uffizio vero e proprio (1542).
Un caso di conflitto di giurisdizione riguarda proprio la storia che narro in Engaged. Nel 1618, don Giuseppe Ripamonti venne accusato di eresia, sodomia (leggi: omosessualità) e negligenza dal tribunale del suo protettore, l’arcivescovo di Milano e cardinale Federico Borromeo. Il Ripamonti, tuttavia, si appellò a Roma e il procedimento si trascinò per quattro anni finché, stremato, preferì confessare alcune delle colpe minori (escludendo quelle di eresia e omosessualità) pur di non dover passare il resto della vita chiuso in carcere, fra continui ricorsi, nel disperato tentativo di provare la propria innocenza.
Ad arrestarlo era stato un certo Fischillario, o Fiscillario. Non un inquisitore. E allora chi poteva essere? Si trattava probabilmente di un “patentato” dell’Inquisizione. Sì, perché nei secoli la macchina del tribunale inquisitorio si era fatta più variegata e complessa e comprendeva ormai vari ruoli: economi, notai, carcerieri e… uomini armati. E come i primi inquisitori avevano avuto un incarico dal papa, così ora gli inquisitori stessi davano mandato, o “patente” di agire a nome loro a degli sgherri armati incaricati, per così dire, di fare il “lavoro sporco”: indagini in incognito, agguati, arresti, perquisizioni e confische.
Allo stesso tempo, si era anche raffinato il sistema di carcerazione, la trascrizione degli interrogatori, e la codifica di come e quando si poteva procedere all’esame rigoroso, cioè, alla tortura. E niente di particolarmente elaborato. il tormento consisteva quasi esclusivamente nei “tratti di corda”, cioè nell’essere sospesi da terra con le braccia dietro la schiena ed essere lasciati cadere e strattonati, in modo da slogare i muscoli e i tendini, con dolori atroci.
Se vi sembra un sistema barbaro e diverso da quello del nostro mondo “civilizzato”, ricordate che non sono passati molti anni da Guantanamo e dai tormenti preventivi agli arrestati sospettati di essere terroristi, e che in molte carceri nel mondo è vietato l’accesso alle organizzazioni mediche e umanitarie. Dite quello che volete contro l’Inquisizione romana (quella spagnola, obiettivamente, era un po’ peggio), ma i detenuti del Sant’Uffizio avevano diritto a un avvocato difensore, a vitto e alloggio (anche se erano tenuti a pagarlo loro stessi) e anche alle visite mediche. Inoltre, godevano del conforto di varie istituzioni benefiche, che raccoglievano donazioni per i carcerati meno abbienti, e avevano anche diritto all’assistenza nel momento in cui fossero stati condannati alla pena capitale. In tal caso, entrava in azione un’apposita confraternita laica, spesso chiamata di San Giovanni “Decollato” (cioè, Decapitato, non partito in volo!), che pagava a proprie spese anche il conforto morale del prigioniero.
Altre confraternite avevano compiti di sorveglianza, di scorta o paramilitari, come quelle dei Crocesignati di San Pietro Martire, che affiancavano o in alcuni casi si sovrapponevano ai “patentati” e ai “famigli” degli inquisitori.
Quanto alle condanne, non sempre erano cruente. Al primo giro, se si pentiva, l’eretico poteva anche solo ricevere una multa e una penitenza. Spesso quest’ultima consisteva nell’indossare un abito con cucita sopra la croce da penitente e stare in ginocchio fuori di chiesa la domenica per qualche settimana di fila.
Le condanne a morte erano invece riservate agli eretici relapsi, cioè ricaduti nell’errore, oppure impenitenti, che si ostinavano cioè a non riconoscere il proprio errore.
Engaged si apre con la scena di Giordano Bruno bruciato vivo sul rogo per eresia, ma il suo fu un caso eccezionale. Molto spesso i condannati venivano strangolati prima che i loro cadaveri venissero dati alle fiamme. Condanne in ogni caso eseguite sempre e solo dalle autorità civili, e mai dalla Chiesa, che con magistrale ipocrisia si mascherava dietro il motto Ecclesia abhorret da sanguine (la Chiesa ha orrore del sangue) e dietro una preghiera ai governatori di aver misericordia del condannato. Nel caso di Bruno, per esempio, la sentenza recitava così: “ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilazione di membro”.
Fra parentesi, il prelato governatore di Roma all’epoca era il milanese Ferrante Taverna, e un altro illustre ambrosiano che si trovava nella Città Eterna era il cardinal Federico Borromeo, in esilio da Milano per dissidenze con il governo spagnolo. Le loro divergenze si appianarono anche grazie alla loro convergenza in tema di caccia alle streghe e agli stregoni… ma questa è un’altra storia.
Il caso di Giordano Bruno è emblematico per capire quanto fosse complicata la situazione inquisitoriale all’epoca. Domenicani, gesuiti, francescani, appelli al papa, finti pentimenti, delatori, lettere segrete… c’è tutto. Tranne lo spazio per parlarne ampiamente in questa sede.
Vorrei concludere invece con un caso curioso che ho scoperto per caso mentre mi documentavo per il romanzo. Nel 1628, un libraio di Venezia specializzato nella vendita di libri proibiti, tale Salvatore Negri, vendette un anello magico a un orefice con il vizio del gioco. Il potere dell’anello era fuori di dubbio perché… be’, perché era stato incantato da un inquisitore! Nello specifico, un francescano chiamato fra’ Bonaventura Perinetti da Piacenza, ex Vicario dell’Inquisizione di Padova. Il francescano, affermava il libraio, aveva intrappolato nell’anello uno spirito demoniaco chiamato “Gabba”. L’orefice, tuttavia, continuò a perdere al gioco e, sentendosi gabbato, denunciò la vicenda all’inquisitore di Venezia, il domenicano padre Girolamo Zappetti da Quinzano. Credete che il Sant’Uffizio procedette contro fra’ Bonaventura? Ma nemmeno per sogno! Anzi, lo troviamo poco dopo come inquisitore di Belluno.
L’Inquisizione, ormai, era diventata una macchina burocratica immensa e, come spesso accade, sembrava più interessata a difendere se stessa e la propria reputazione dagli attacchi esterni che preoccupata di fare luce sulla verità. E in fondo, si trattava forse di materia per un processo inquisitoriale? La stregoneria era stata già da tempo equiparata all’eresia, certo, ma il francescano, in fondo, aveva solo tolto di mezzo un demone confinandolo in un anello. Cosa che nessuno, al tempo, dubitava che fosse davvero possibile.

Per approfondire:
Mario Niccoli, “Enciclopedia Italiana”, 1933, voce sull’Inquisizione, https://www.treccani.it/enciclopedia/inquisizione_%28EnciclopediaItaliana%29/
Riccardo Calimani, “L’inquisizione a Venezia”, 2003
Federico Barbierato, “La rovina di Venetia in materia de’ libri prohibiti. Il libraio Salvatore de’ Negri e l’Inquisizione veneziana (1628-1661)”, 2007
Gianvittorio Signorotto, Claudia Di Filippo Bareggi, “L’inquisizione in età moderna e il caso milanese”, 2009
Vaticano, Congregazione per la Dottrina della Fede, 2015, https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/storia/documents/rc_c on_cfaith_storia_20150319_promuovere-custodirefede_it.html#LA_CONGREGAZIONE
Edgardo Franzosini, “Sotto il nome del Cardinale”, 2013
Stefano Dei Rossi, “Uno strano inquisitore da inquisire… a Venezia nel 1629”, Una curiosità veneziana per volta n. 119, 2016, http://stedrs.blogspot.com/2016/09/uno-strano-inquisitore-da-inquisire.html
Germano Maifreda, “Io dirò la verità. Il processo a Giordano Bruno”, 2018
Dennj Solera, “Sotto l’ombra della patente del Santo Officio. I familiares dell’Inquisizione romana tra XVI e XVII secolo”, 2020
Dennj Solera, “La società dell’Inquisizione. Uomini, tribunali e pratiche del Sant’Uffizio romano”, 2021

La novella di Stephen King Se scorre il sangue è stata opzionata da Netflix

La novella di Stephen King Se scorre il sangue è stata opzionata da Netflix & John Lee Hancock/Jason Blum/Ryan Murphy, mentre Ben Stiller e Darren Aronofsky se ne sono aggiudicate altre due.

 

Se scorre il sangue, la raccolta di Stephen King che occupa i primi posti delle classifiche fin dalla sua uscita, ha già tre opzioni cinematografiche, mentre una quarta è in trattativa perché coinvolge un personaggio preesistente, protagonista di una serie TV HBO. E visto che King accetta 1$ per opzione, sono 4$ in più nelle tasche del prolifico autore, ai quali si aggiungeranno ben altre cifre al momento della realizzazione.

Netflix, Blumhouse e Ryan Murphy hanno unito le forze per opzionare il primo racconto della raccolta, Il telefono di Mr. Harrigan, con l’adattamento e la regia di John Lee Hancock. Jason Blum, Murphy e Carla Hacken sono I produttori.

Ratto è stato opzionato da Ben Stiller, che ha deciso non solo di produrlo e dirigerlo, ma anche di esserne protagonista.

E la Protozoa di Darren Aronofsky ha opzionato La vita di Chuck. A questo punto, Aronofosky è anche produttore.

Il quarto racconto, Se scorre il sangue, potrebbe seguire una strada diversa, poiché ha per protagonista Holly, la detective visionaria resa indimenticabile da Cynthia Erivo nella serie HBO The Outsider. Nessuna sorpresa quindi, se nel futuro della serie dovesse entrare anche Se scorre il sangue.

Ora, bisogna tornare parecchio indietro nel tempo, e precisamente alla raccolta del 1982 Stagioni diverse, per ritrovare lo stesso numero di opzioni da un solo libro. Stiamo parlando di racconti, e film, leggendari: Il corpo, che è diventato Stand by me di Rob Reiner, un classico; Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank portato al cinema col titolo Le ali della libertà, con Tim Robbins e Morgan Freeman; L’allievo, diretto da Bryan Singer e interpretato da due attori del calibro di Yan McKellan e Brand Renfro. L’unico titolo di quel libro che a suo tempo non è arrivato al grande schermo è Il metodo di respirazione. Che la Blum sta realizzando in questo periodo.

Quando ho scritto che King opziona le sue opere per 1$, non ho detto che si tratta di una cifra simbolica e che il contratto prevede molte clausole riguardanti il suo controllo sul lavoro – anche se King tende a non soffocare il processo creativo – e delle scadenze a breve termine, in modo che le sue opere non languiscano nel limbo delle eterne opzioni.

Secondo molti, Il telefono di Mr. Harrigan è il racconto più vicino a Stand by me, con un tocco horror, tanto per gradire. Un ragazzo del Maine fa amicizia con Mr. Harrigan, anziano signore in pensione per il quale comincia a fare qualche lavoretto fin dall’età di nove anni. Ad Harrigan piace regalare al ragazzo dei gratta e vinci, e quando il giovane vince davvero, gli dimostra la sua gratitudine regalandogli il suo primo smartphone. Quando Mr. Harrigan muore, il suo amico gli mette il telefono in una tasca. Poi gli manda un sms, ed è sconvolto nel ricevere una risposta dall’oltretomba.

Marci Wiseman e Jeremy Gold di Blumhouse Television sono i produttori esecutivi di questo che sarà il quarto film Netflix tratto da King dopo Il gioco di Gerald, 1922 e Nell’erba alta.

La vita di Chuck riguarda Charles Krantz, morto all’età di 39 anni per un tumore al cervello e la cui vita è segmentata in diversi capitoli dalle atmosfere soprannaturali.

Il protagonista di Ratto è Drew Larson, uno scrittore frustrato, che ha al suo attivo un racconto molto promettente, relegato ormai a oggetto di studio, perché ogni volta che ha una buona idea, succede qualcosa di tremendo. Quando gli viene in mente di scrivere un western, si chiude in un vecchio rifugio di famiglia nei boschi, ben deciso a portare a termine il lavoro. Durante il soggiorno, però, tra bufere e blocco dello scrittore, Larsen si ritrova a stringere un patto faustiano. Con un ratto. Convinto che tutto sia avvenuto in uno stato di delirio notturno, ben presto scopre invece di aver davvero firmato per il successo, ma in cambio della vita di una persona amata…

Se scorre il sangue ha per protagonista Holly Gibney, detective dell’agenzia Finders Keepers impegnata nel ritrovamento di un cane. Mentre indaga, assiste a un servizio sull’attentato a una scuola e si convince che l’inviato potrebbe essere tutt’altro che imparziale. Oltre che in The Outsider, Gibney è anche nella trilogia di Bill Hodges, la serie con Brendan Gleeson che comprende Mr. Mercedes, Chi perde paga e Fine turno.

 

Fonte: Deadline/Variety.

Una magia… che lascia il segno

Una magia… che lascia il segno Di Beppe Roncari

Come funzionava la magia popolare a inizio Seicento? A differenza di quella colta, praticata da negromanti e alchimisti alle corti dei sovrani, delle pratiche che facevano parte del folklore popolare ci sono rimaste solo testimonianze indirette, nei processi istituiti dalle autorità civili e religiose contro le streghe. E nei manuali degli inquisitori.

Matthäus Merian, Basilicae Philosophicae, in Johann Daniel Mylius, Opus Medico Chymicum, Francoforte, 1618

I gentiluomini dell’epoca, afferma don Ferrante nei Promessi Sposi, studiavano la stregoneria solo “per potersene guardare, e difendere”. E rigorosamente in forma teorica, un po’ come nella classe di Difesa contro le Arti Oscure di Hogwarts, e con la stessa puzza sotto il naso dei “maghi teorici” di Jonathan Strange e il Signor Norrell.
La gente dell’epoca, dunque, si teneva davvero alla larga dalle pratiche magiche? Assolutamente no. Il Manzoni, o meglio, l’Anonimo, ci informa infatti che la magia era una scienza molto “in voga” all’epoca, i cui effetti erano sotto gli occhi di tutti, tanto “da poterli verificare”.
Ma quali erano questi incantesimi e come funzionavano?
Una testimonianza molto interessante, a cui ho attinto abbondantemente durante la scrittura di Engaged, è un codicillo conservato nell’Archivio Storico Diocesano di Milano, su cui sono riportate le “vane osservanze” magiche nella zona di Lecco nella seconda metà del Cinquecento.
“Vane” perché la Chiesa ci teneva ad affermare che il loro potere era puramente illusorio e superstizioso. Salvo poi uccidere veramente coloro che venivano condannati come streghe o stregoni… ma questa è un’altra storia.
Ben 134 scongiuri e incantesimi, frutto della trascrizione della testimonianza orale di 53 persone diverse, per la maggior parte donne.
Ecco un esempio di magia tempestaria contro il maltempo, composta da un gesto, chiamato segnatura, e da una formula di scongiuro:
Falso inimico parteti di qui
ti non ghe, ne fa, ne dì,
in quella val scuria
dove non canta ne gal ne galina
ne nisura creatura
in quella Grigna pelada
dove è la tua masnada.

Confrontiamola con una preghiera a San Giovanni, tuttora diffusa nel Salento (la riporto in italiano):
Alzati, San Giovanni, non dormire,
che sto vedendo tre nuvole venire:
una di acqua, una di vento e una di maltempo.
“Dove lo portiamo questo maltempo?”
“Sotto una grotta oscura, dove non canta gallo, e dove
non brilla la luna
, affinché non faccia del male
a me e a nessun’altra creatura”
.
Una somiglianza strabiliante, non è vero? Ma non c’è da stupirsene più di tanto, considerando che le benedizioni dei preti, contro il maltempo o le malattie del bestiame, non differivano molto dai rituali praticati in segreto, ma nemmeno più di tanto, dalle donne più sagge.
La differenza, spesso, stava proprio nel fatto che i primi erano officiati da figure riconosciute dalla Chiesa ufficiale, mentre i secondi erano praticati… beh, lo avete già capito, dalle “streghe”.
Un’altra forma di magia popolare molto in voga era la legatura, che consisteva nella creazione di nodi simbolici. Una legatura amorosa poteva legare due anime fra loro, ma anche prendere la forma di un maleficio, per esempio “legando” la virilità di un uomo e impedendogli così di avere rapporti sessuali.
Un unico gesto, ma con due intenzionalità diametralmente opposte. La magia bianca, dunque, non era ontologicamente diversa da quella nera. Si trattava piuttosto di una distinzione di natura sociale e morale.
In Engaged ho cercato di ridare vita agli antichi riti e al ricchissimo substrato sociale e culturale da cui provenivano, immaginando solo… che il loro potere non fosse “vano”, ma vero.

Per approfondire:

Fra’ Francesco Maria Guazzo, “Compendium maleficarum”, 1618
Alessandro Manzoni, “I Promessi Sposi”, 1842, capitolo 27
Giuseppe Farinelli, Ermanno Paccagnini, “Processo per stregoneria a Caterina de’ Medici (1616-1617)”, 1989
Natale Perego, “Stregherie e malefici. Paure, superstizioni, fatti miracolosi a Lecco e nella Brianza del Cinque e Seicento”, 1990
Carlo Ginzburg, “I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento”, 1996
Massimo Priovano, “Vermi, donne che segnano, trasmissione dei saperi magico-religiosi. Una ricerca sul campo nel territorio lecchese”, 2001
Antonio Carminati, “I sègn de bén tra magia bianca e pratica teraputica popolare”, 2019,
http://www.ruralpini.it/I-segni-del-bene.html
Remo Bracchi, “Nomi e volti della paura nelle valli dell’Adda e della Mera”, 2009, https://epdf.tips/nomi-e-volti-della-paura-nelle-valli-delladda-e-dellamera.html
Sapori del Salento, “La candela della candelora”, 2013,
https://saporidelsalento.wordpress.com/tag/per-allontanare-il-cattivo-tempopreghiera-a-san-giovanni/

Sono una strega, non sono una santa

Sono una strega, non sono una santa, di Beppe Roncari

“Tremate, tremate, le streghe son tornate!” Questa vecchia filastrocca per bambini divenne il motto del movimento femminista degli anni Settanta. E non avrebbe potuto essere più appropriato. Per quanto gli storici non siano ancora concordi sull’entità del fenomeno della caccia alle streghe, e sul numero delle vittime, su un punto sono unanimi: furono molte più donne che uomini a essere condannate a sequestro dei beni, a penitenze umilianti e soprattutto al rogo.


Jan van de Velde (II), Strega, 1626, Rijksmuseum di Amsterdam
https://www.rijksmuseum.nl/nl/collectie/RP-P-OB-15.310

Nella Milano dei primi decenni del Seicento, quella del cardinal Federico Borromeo, su nove esecuzioni capitali documentate, otto furono di streghe e una soltanto di uno stregone. Ma si presuppone che le condanne siano state molte di più, dato che le carte dell’Inquisizione finirono anch’esse in fiamme nel 1788, per ironia della sorte. Bruciate per ordine dell’imperatore asburgico!
A esacerbare questo divario tra i sessi contribuisce il fatto inquietante che mentre le donne che praticavano la magia venivano considerate automaticamente malefiche, esseri capaci di macchiarsi dei crimini più efferati, compresi vampirismo e infanticidio, i loro colleghi di sesso maschile, maghi o negromanti che fossero, venivano spesso protetti dai potenti.
Ecco così il paradosso di un mondo in cui Nostradamus veniva onorato alla corte di Francia dalla regina Caterina de’ Medici, mentre una popolana omonima della sovrana, Caterina de’ Medici da Broni, veniva bruciata come strega alla Vetra. L’accusa contro Caterina era di aver lanciato un maleficio di morte sul senatore Luigi Melzi, padre del vicario di provvisione dei Promessi Sposi, che tuttavia sopravvisse benissimo. Dalle carte processuali, però, emerge in filigrana una storia molto diversa: l’anziano padrone si era invaghito di Caterina, con tanto di avances e molestie sessuali… ma questa scomoda realtà non poteva essere accettata, soprattutto perché rischiava di mettere in questione una cosa molto più preziosa della verità, ovvero il patrimonio di famiglia.
Caterina era di estrazione popolare ma istruita, il padre era maestro elementare e le aveva insegnato a leggere e scrivere. E aveva fieramente riconosciuto di essere una strega. Ma era povera, senza una famiglia alle spalle e, oltretutto, laica. La sua sorte sarebbe stata diversa se fosse stata nobile, ricca o religiosa?
Possiamo avvicinarsi a una risposta osservando la vicenda di tre sue omonime: Caterina di Jacopo di Benincasa, meglio nota come santa Caterina da Siena, Caterina Fieschi Adorno, cioè santa Caterina da Genova, e infine Caterina Mattei, la beata Caterina da Racconigi, soprannominata in vita la masca, cioè strega, di Dio.
Tutte queste donne vissero esperienze simili a quelle descritte dalle streghe: il volo notturno, le estasi, l’insensibilità al fuoco o al dolore, miracoli curativi, visioni di angeli e demoni o di atti sessuali sfrenati.
Il confine tra santità e stregoneria era molto più labile di quello che potremmo immaginare, e a volte era solo una questione di fortuna, o di avere gli appoggi giusti, a fare la differenza tra le donne che venivano elevate sugli altari… o sulle pire dei roghi.
La Monaca di Monza stessa, suor Virginia, al secolo la nobile Marianna de Leyva, per giustificarne il voto infranto invocò motivazioni magiche, affermando di essere stata vittima di un sortilegio amoroso da parte del suo amante, Gian Paolo Osio. E di aver cercato a sua volta di sottrarsi alla sua influenza facendo ricorso alla stregoneria. Probabilmente, è solo grazie all’enorme prestigio della sua famiglia e al fatto che vestiva l’abito di monaca benedettina se riuscì a scappare a una condanna capitale, cavandosela solamente, si fa per dire, con la pena di essere murata viva.
Nella scrittura dei Promessi Sposi, Manzoni afferma di aver sfrondato intenzionalmente ogni riferimento all’elemento magico, se si eccettuano poche allusioni, attribuite quasi tutte all’Anonimo. Lucia appare allora, per usare le parole irriverenti e sarcastiche di don Abbondio, un’acqua cheta, una santarella, una madonnina infilzata. Ma… e se la realtà fosse stata diversa? What if Lucia e sua madre Agnese fossero state costrette a nascondere la loro vera natura da un mondo ingiusto e maschilista, che lasciava ben poca scelta a una donna: suora, madre, prostituta o… strega? Tra le pagine di Engaged potrete scoprire una versione alternativa delle loro vicende.

Per approfondire:

Silvia Tenderini, “L’Inquisizione valsassinese: povere rosse a Pasturo…”, 2010, https://www.valsassinanews.com/2010/12/11/domenicaculturalelinquisizione-valsassinese-povere-rosse-a-pasturo/

Ilenia Luongo, “La donna e la sua immagine: santa o strega?”, 2021, https://amantidellastoria.wordpress.com/2021/01/25/la-donna-e-la-suaimmagine-santa-o-strega-di-ilenia-luongo/

Marcello Craveri, “Sante e streghe. Biografie e documenti dal XIV al XVII secolo”, 1980

Leonardo Sciascia, “La strega e il capitano”, 1985

Elisabetta Lurgo, “La beata Caterina da Racconigi fra santità e stregoneria. Carisma profetico e autorità istituzionale nella prima età moderna”, 2013

Dinora Corsi, “Diaboliche, maledette e disperate le donne nei processi per stregoneria”, 2013

Marina Marazza, “Il segreto della Monaca di Monza”, 2014 Marina Marazza, “L’ombra di Caterina”, 2019

Stefania Russo – Non è mai troppo tardi

“Non è mai troppo tardi” è un libro di pancia, scritto di getto, figlio di poche congetture.
Nelle mie intenzioni iniziali Annarita doveva essere la protagonista di un noir anche abbastanza cupo. Solo dopo aver riletto le prime pagine mi resi conto che Annarita possedeva una vena autoironica molto marcata che sarebbe stato un peccato ignorare.
Ed è stato così, lasciando “parlare” Annarita, che è nata la storia narrata in queste pagine, con Olga che non si limita a ricoprire un mero ruolo di contorno, quello della badante schiva e dedita, ma diventa il perno attorno al quale si sviluppa l’intera vicenda, e in un certo senso le dà ragione di esistere.
Eh sì, perché le condizioni di salute di Ada, sua sorella, affetta da una rara forma di neoplasia, peggiorano all’improvviso, e Olga, lontana da lei migliaia di chilometri (Ada vive in Romania, la loro terra d’origine), si trova ad ingegnarsi per racimolare l’ingente somma che consentirebbe a Ada di sottoporsi a una cura sperimentale in Italia.
Per l’affetto e la gratitudine che Annarita prova nei confronti di Olga, non può certo esimersi dal venire in suo soccorso, e così, nonostante i suoi ottantaquattro anni e la sedia a rotelle su cui è costretta a vivere, metterà in piedi un sistema di mutuo soccorso generoso e commovente, che vedrà l’intero complesso residenziale in cui vive, un casermone di cemento a canoni agevolati che lei ha ribattezzato “Il Mostro”, mobilitarsi per onorare la causa.
La stesura di “Non è mai troppo tardi” è stata, per me, motivo di grande passione e divertimento: spero che lo stesso possa succedere ai lettori.

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