Letture da brivido: consigli di lettura per la notte di Halloween

Stanco dei soliti scherzetti o dolcetti, delle solite maschere e lenzuoli da fantasma? Se cerchi gli ingredienti giusti per trascorrere un Halloween da brividi, stai leggendo l’articolo che fa per te.

Ecco quattro consigli per una serata davvero indimenticabile:

Aggiungiamo un pizzico di adrenalina e quel tanto che basta di paura per creare l’horror perfetto. Il risultato è Se scorre il sangue di Stephen King, una raccolta di racconti da brivido, da leggere col fiato sospeso.

Miscelare bene suspense e crudeltà per ottenere uno dei romanzi più apprezzati del Re dell’horror: The Outsider. Il male ha molte facce. E King, lo sappiamo bene, ce le mostra tutte.

Un treno misterioso, lunghi corridoi illuminati da luci spettrali, un gruppo di bambini con strani poteri, sono gli ingredienti di L’Istituto di Stephen King. Una storia di bambini che trionfano sul male come non ne scriveva dai tempi di It.

Case infestate, mostri, diavoli ed esseri misteriosi sono pronti ad accompagnarti durante la serata più spaventosa dell’anno con La casa degli incubi di Hamill Shaun. Da pochi giorni in libreria sta già mietendo le prime vittime…

 

Consigli per affrontare le letture: armarsi di tanto coraggio e di una torcia per controllare la presenza di mostri sotto il letto! 😉

Il regno TV di Stephen King: l’autore parla di Mr. Mercedes, L’ombra dello scorpione, Outsider.

Mr. Mercedes debutta su Peacock e il re dell’horror parla del suo regno televisivo nel 2020.

di James Hibberd

14 ottobre 2020 (fonte: Entertainment Weekly https://ew.com/tv/stephen-king-interview-mr-mercedes-the-stand-the-outsider/)

 

Se per l’America questo è l’anno più terrificante del XXI secolo, pare appropriato che per il maestro dell’horror sia uno dei migliori.

Stephen King racconta storie da classifica da più di quarant’anni, eppure gli adattamenti televisivi dei suoi libri non sono mai stati tanto popolari. C’è la sorprendente rivelazione di Outsider da HBO, uscita a gennaio; CBS All Access ha preso L’ombra dello scorpione, un classico sulla pandemia mai tanto attuale, che uscirà a dicembre, e la serie prodotta da Audience Network tratta dalla trilogia di Mr. Mercedes, protagonista Bill Hodges, riparte su Peacock il 15 ottobre. Per non parlare del nuovo libro pubblicato quest’anno, Se scorre il sangue, e dei due romanzi che usciranno nel 2021.

EW ha intervistato King su tutti i suoi progetti e, naturalmente, ha parlato anche di politica. Cominciamo con Mr. Mercedes, una serie che ha ricevuto ottime critiche (93% di rating su Rotten Tomatoes) senza però raggiungere il grande pubblico dall’ormai defunta Audience Network. King spera che la serie abbia miglior fortuna quando andrà in onda su Peacock questa settimana.

«Sono molto contento che Peacock la trasmetta perché avevo l’impressione che con AT&T avessimo portato uno spettacolo da stadio in un club», dice King. «Adesso la gente potrà finalmente vederla.»

Enternainment Weekly: Le tre stagioni di Mr. Mercedes hanno coperto i suoi tre libri e la conclusione è stata molto apprezzata. I fan vorrebbero sapere se ci sarà una quarta stagione.

Stephen King: Mi piacerebbe molto. E penso che piacerebbe anche agli attori perché si sono affezionati ai loro ruoli. Hanno un metodo, una tecnica di immedesimazione, di adattamento, come succede quando entri in una nuova casa. Dopo un po’, approfondiscono il personaggio e diventano bravissimi. Sì, mi piacerebbe, ma si possono comunque vedere le tre serie, e sono ottime.

 

La produzione ha deciso di cambiare l’ordine delle storie: il secondo libro è diventato la stagione 3. Che cosa ne pensa?

Penso che lo abbiano fatto per finire con Brady Harsfield. Volevano rispettare la cronologia. Poi hanno dovuto fare qualche cambiamento per inserire la storia dell’agenzia Finders Keepers, ma non mi addentro oltre nella questione. Dico solo che sembrava la cosa giusta da fare e che il finale è spettacolare. Non diciamo che sopravvive. Non diciamo che muore. Però sappiate che la seconda stagione si chiude con un colpo di scena incredibile. Quindi credo che abbiano fatto bene.

 

Tra le serie Mr. Mercedes e Outsider, siamo in un mondo dove ci sono due Holly Gibney, interpretate da Justine Lupe e Cynthia Erivo. Quale si avvicina di più al suo personaggio?

L’idea che Richard Price, showrunner di Outsider, si è fatto di Holly è un po’ diversa dalla mia. La mia Holly è ossessivo-compulsiva, una che esce dal guscio un po’ alla volta nei tre libri, fino a quando può cavarsela da sola nel racconto Se scorre il sangue. Una delle cose più interessanti in Mr. Mercedes è come cambiano i vestiti di Holly nel corso della serie. Si vede che acquista fiducia in se stessa. È geniale associare la sua crescita agli abiti che indossa, al modo in cui porta I capelli, e così via. Justine Lupe è entrata nel personaggio e ha fatto un ottimo lavoro perché ha avuto più tempo per svilupparlo.

Anche Cynthia potrebbe averne, perché ci sarà una seconda stagione di Outsider, appena sarà possibile ripartire con la produzione. È stata fantastica, ma lei è più il tipo autistico, con una memoria eccezionale per le targhe delle auto, i modelli, le statistiche del baseball. Una delle cose più bizzarre è che sa chi ha vinto il campionato dagli anni Cinquanta in poi, e non ha mai visto una partita.

Milioni di persone hanno visto Outsider e ora milioni di persone potranno vedere Mr. Mercedes, e Holly è il personaggio comune dei due universi. Sono curioso di sapere se piacerà.

 

Ha parlato dell’evoluzione di Holly che diventa protagonista di Se scorre il sangue. C’è interesse nel creare una serie su questo personaggio? Magari con una terza Holly?

Non credo. È davvero complicato, perché la differenza tra le due storie rende difficile immaginare uno sviluppo nel mondo creativo di Richard Price, in Outsider. Se però Mr. Mercedes avesse una quarta serie, ci si potrebbe pensare.

 

Ha detto che Outsider avrà una seconda stagione (ndr: non è ancora ufficiale). Ovviamente la prima ha utilizzato tutto il materiale contenuto nel suo magnifico libro. Può dare ai suoi fan un’idea di come si svilupperà la stagione 2?

So esattamente come andrà avanti, perché ho visto le sceneggiature. Potrei dirglielo, ma dopo dovrei ucciderla. Dirò soltanto che è formidabile e che ha un tocco spettrale.

 

E naturalmente ha L’ombra dello scorpione in uscita a dicembre. Com’è rispetto all’amatissima versione del 1994?

Ovviamente l’hanno aggiornata. Quindi ci sono i cellulari, per esempio, e la tecnologia è cambiata. Anche la storia ha subito qualche ritocco, ma i personaggi sono fantastici. Sono tutti molto bravi. Penso che Gary Sinise nella parte di Stu Redmond sia inarrivabile ma Alexander Skarsgard è un bravo Randall Flagg, ha fatto un lavoro da maestro. È un grande, mettiamola così.

 

Quello che è successo ultimamente, la pandemia covid 19, è in qualche modo entrata nella storia in fase di post produzione?

No, non credo. La mia è un’epidemia in cui la gente non deve indossare maschere, perché o ti ammali o non ti ammali, fine della storia. Non è come il coronavirus, contro il quale puoi proteggerti. Ma ci sono delle notevoli analogie quando si tratta del governo, di quello che vuole non vuole dire e del valore che dà alle vite umane. Il panico spinge il governo a nascondere la gravità della situazione – ci sono echi di quello che sta succedendo adesso.

 

Ha scritto l’ultimo episodio con una nuova coda alla fine. C’è qualcosa di migliorativo rispetto al romanzo?

Ho avuto la possibilità di rivedere le cose. Mi è venuta un’idea per l’episodio finale che ho sempre rimpianto di non aver scritto nel libro – è abbastanza lungo così com’è. Non posso rivelare niente, a parte che ho visto una prima versione, ed è buona.

 

Recentemente è circolata la notizia che la serie Gli occhi del drago è stata sospesa da Hulu. La farà qualcun altro?

Non che io sappia.

 

Ha un libro in uscita con Hard Case Crime nel 2021, Later. Ma entro nel suo sito abbastanza regolarmente ed è strano che non ci siano almeno due titoli nuovi in arrivo. Forse c’è un altro romanzo che ci può anticipare?

Ce ne saranno due l’anno prossimo. Non voglio che la gente si abitui e pensi sia normale. Non è così. Però le cose succedono, e basta. Quindi, sì, ce n’è un altro, ma non voglio dirvi niente per il momento.

 

Brendan Gleeson ha fatto un lavoro magnifico in Mr. Mercedes, e adesso interpreta Trump in The Comey Rule. Sappiamo che tende a parlare di politica su Twitter. Sono curioso di sapere se ha visto questa versione di Trump, e che cosa ne pensa.

Non l’ho ancora vista. Ci sono talmente tante cose da vedere adesso in streaming. Sto guardando Ratched. Netflix mi sta viziando. Non ho ancora visto Lovecraft Country perché aspetto che finisca così posso fare binge watching e non devo aspettare che il network decida di cacciare fuori un nuovo episodio.

 

Qualche volta i suoi tweet politici sono stati rimossi, Ci si è domandati spesso se oggi le persone famose hanno la responsabilità di usare le loro piattaforme per esprimere un parere. Lei che cosa ne pensa?

No, penso che non ce l’abbiano. Ma credo anche che abbiano il diritto di parlare come ogni altro americano, o chiunque abbia un’opinione. In altre parole, non credo che abbiano necessariamente il dovere di parlare dei problemi del giorno, ma non penso nemmeno che debbano essere criticate con frasi come: «Oh, è uno famoso, uno di Hollywood», come se questo invalidasse la sua opinione, è una ridicola stronzata. Abbiamo il diritto di parlare come chiunque altro.

 

Il monaco che amava i gatti – Corrado Debiasi

Ci sono libri che ti fanno riflettere e altri che ti cambiano
Ci sono libri che ti fanno piangere e altri che ti fanno ridere
Ci sono libri che leggi tutto d’un fiato e che non vorresti finissero mai
Ci sono libri che ti innamori della copertina e ti metti a leggerli subito
Ci sono libri che ascolti al cellulare quando sei in viaggio
Ci sono libri che appena letti li vuoi subito regalare
Ci sono libri che si fanno amare e di cui vorresti essere il protagonista
Ci sono libri che vuoi leggere in solitudine e altri in compagnia
Ci sono libri che sottolinei perché non puoi farne a meno
Ci sono libri che leggi accanto al gatto e ad una calda tazza di tè.
Ci sono libri che leggi in vacanza al mare, in montagna o al lago
Ci sono libri che leggi sul divano e altri al parco
Ci sono libri che metti accanto al comodino perché sai che ne leggerai una frase ogni giorno
Ci sono libri che vedi da un amico, li sfogli, e poi li compri subito perché non vuoi aspettare
Ci sono libri che ti regala la tua migliore amica e sai già che ti piaceranno
Ci sono libri che ricevi al tuo compleanno, ad una festa o a Natale
Ci sono libri che ne annusi la carta perché hai sempre fatto così
Ci sono libri che porti sempre con te perché quando hai un attimo ti metti subito a leggere.
e poi?
E poi ci sono libri come questo…

 

Gli untori della peste

I famosi untori della peste

Prima di tutto, un’allerta. NON LEGGETE questo articolo se volete EVITARE SPOILER di Engaged, perché contiene alcune notizie storiche che sono contenute anche nella trama dei romanzi.

Se siete ancora qui, immagino che abbiate già letto entrambi i romanzi, oppure non abbiate paura di rovinarvi la sorpresa sulla sorte dei personaggi. Dunque, procediamo…

Nella stampa coeva che accompagnava la Descrizione della esecuzione di giustizia fata in Milano contro alcuni li quali hanno composto e sparso gli unti pestiferi del 1630 si leggono alcuni nomi, e soprattutto un cognome, che lasciano esterrefatti: «Francesco Manzone soprannominato Bonazzo». E a fianco a lui, ovviamente, Caterina la Rozzona. La sua compagna di vita, sebbene non sposa davanti a Dio e agli uomini.

Nel 1989, su questa vicenda hanno fatto delle ricerche i professori Gian Luigi Daccò e Mauro Rossetto, il precedente e l’attuale direttore del Museo Manzoniano a Villa Manzoni a Lecco, che è anche uno dei luoghi chiave della storia. Il Caleotto, infatti, era la villa e in qualche modo anche la roccaforte del potente Giacomo Maria Manzoni, mercante di ferro entrato in competizione con la nobile famiglia degli Arrigoni, come narrato in un precedente blogpost. I risultati delle ricerche dei due studiosi presso l’Archivio Storico di Milano sono stati pubblicati nel 1990 in “Manzoni/Grossi. Atti del XIV Congresso Nazionale di Studi Manzoniani”.

A lanciare l’accusa infamante contro Giacomo Maria e i suoi famigliari, inclusi Simone Manzoni detto il Gambarello, sua moglie Clara Bossi, il giovane Bernardo Boccaretto e altri, fra cui la figlia quindicenne del Bonazzo e della Rozzona, Bettina, fu tale Giovanni Ambrogio Arrigoni. La sorte di Giacomo Maria fu simile a quella del ricco Giovanni Gaetano de Padilla, figlio del Castellano di Milano don Francesco de Padilla. Scappato alla cattura, ebbe tempo di presentare le proprie difese e dimostrare, nel 1631, che l’accusa infamante era infondata e dovuta solo all’animosità dell’Arrigoni, che venne arrestato. Non altrettanto fortunati furono i due poveri «untorelli» di bassa leva, che fecero la stessa fine di Guglielmo Piazza e Giacomo Mora. Il loro supplizio avvenne la vigilia di Natale del 1630, come testimonia un documento vergato dal giureconsulto Marcantonio Bossi, lo stesso, per inciso, che un anno dopo avrebbe presentato l’Inquisitio contro Giovanni Ambrogio Arrigoni, discolpando il Manzoni.

La vicenda degli untori della peste del 1630 presenta comunque fatti davvero inquietanti, perché è storicamente attestato che le unzioni, la presenza di macchie giallastre e appiccicose sui muri di alcune case e sulle panche del Duomo di Milano, avvenne veramente. Anche se oggi, con il senno di poi, siamo certi che non si trattasse di una congiura demoniaca per far fuori la popolazione del Ducato, e che i poverini mandati a morte tra atroci tormenti erano sicuramente dei capri espiatori.

Tuttavia, sono ancora aperte le ipotesi sulle origini reali delle unzioni, che fra l’altro non erano avvenute solo nel 1630, ma sono attestate anche durante la cosiddetta Peste di San Carlo del 1576–1577. In questo quadro, non è da escludere nemmeno la guerra batteriologica ante-litteram (il tentativo da parte di qualche potenza straniera o di ribelli scontenti di diffondere ulteriormente il contagio tramite una mistura di umori tratti dai corpi degli infetti) o la guerra psicologica, più probabile, cioè il tentativo consapevole di seminare il caos. Come di fatto avvenne. 

Persino il cardinal Federico Borromeo, su cui Manzoni lascia il dubbio se fosse o meno convinto dell’esistenza degli untori, è ormai certo che vi credesse senz’altro, come si evince dai resoconti del rappresentante della Repubblica di Venezia nel Ducato di Milano, Pier Antonio Marinoni, ritrovati dal Cantù: «Cinque o sei hostiarii e chierici ha fatto carcerare il signor Cardinale et li fa tormentare per cavarne qualcosa». 

Ipotesi ancora più inquietante, già formulata all’epoca, è che le unzioni fossero state fatte nottetempo da dei buontemponi, i quali forse non immaginavano affatto quali terribili ripercussioni e quanta sofferenza avrebbero causato i loro scherzi.

Di fatto, erano pochissimi a dubitare che gli untori fossero finanziati dal Diavolo in persona (fra questi il Ripamonti), al punto che sulla copertina della sentenza del Mora e del Piazza figura una specie manifesto segnaletico, simile a quelli affissi per i banditi del Far West: «l’abbominevole ritratto di Aldrui d’Orsa, infame e prima cagione della pestilenzia di Milano». Un uomo che non esiste, almeno nei registri superstiti o in altri atti giudiziari noti, «un diavolo nero dagli occhi luccicanti» e dall lungo naso adunco, come venivano spesso raffigurati gli ebrei.

Quale fu quindi l’origine delle «unzioni pestifere»? Un tragico scherzo, un tentativo di destabilizzazione sociale o una macchinazione demoniaca? Le autorità civili e religiose non si fecero molti scrupoli nell’abbracciare quest’ultima ipotesi e nel trasformare il supplizio degli untori in un lugubre addendum alla lotta contro la stregoneria. L’unica differenza fu che nel caso della caccia alle streghe le «quote rogo» vedevano una larga predominanza femminile sugli uomini (circa 9 donne su 10) mentre nel caso degli untori la tendenza fu opposta.

 

Bibliografia

Maria Gigliola Di Renzo Villata, “Il processo agli untori di manzoniana memoria e la testimonianza (ovvero… due volti dell’umana giustizia)”, in «Acta Histriae» 19, 2011, https://zdjp.si/wp-content/uploads/2015/08/villata-419-452.pdf

Marco Rapetti Arrigoni, “Quando gli avi di Manzoni erano in causa con i miei: alle fonti de I Promessi Sposi”, 2019,
https://www.breviarium.eu/2019/08/03/arrigoni-manzoni-fermo-lucia-promessi-sposi/

Wikipedia, “Untore”, 2023, https://it.wikipedia.org/wiki/Untore

Alessandro Manzoni, “Storia della Colonna Infame”, 1840

Federico Borromeo, “De pestilentia”, 1630

Giuseppe Ripamonti, “De peste Mediolani quae fuit anno 1630”

Cesare Beccaria, “Dei delitti e delle pene”, 1764

Ignazio Cantù, “Le vicende della Brianza e de’ paesi circonvicini”, 1837

Pietro Verri, “Osservazioni sulla tortura” (scritto 1770–1777, pubblicato 1804)

“Processo originale degli untori della peste del MDCXXX”, 1839

Cesare Cantù, “Scorsa di un lombardo negli archivj di Venezia”, 1856

Giuseppe Arrigoni, “Documenti inediti risguardanti la storia della Valsassina e delle terre limitrofe”, 1857

Antonio Balbiani, “I famosi untori della peste: seguito alla Colonna Infame di Alessandro Manzoni” (romanzo), 1875

Armando Frumento, “Imprese lombarde nella storia della siderurgia italiana”, volume II, Il ferro milanese tra il 1450 e il 1796, 1963

Giuseppe Farinelli, Ermanno Paccagnini (a cura di), “Processo agli untori. Milano 1630: cronaca e atti giudiziari”, 1988

AA.VV. “Manzoni/Grossi. Atti del XIV Congresso Nazionale di Studi Manzoniani”, 1990 contenente gli articoli dei professori Gian Luigi Daccò e Mauro Rossetto

Piercarlo Jorio, “L’immaginario popolare nelle leggende alpine”, 1994

LOVE MATCH di Paola Gianinetto

Love Match è nato sui campi da calcio, o meglio, in tribuna.

Perché, ebbene sì, io sono la fortunata mamma di una calciatrice. Prima, una bimba di sei anni che mi avrebbe volentieri presa a schiaffi quando tentavo di infilarle il body da ginnastica ritmica e che sopportava senza battere ciglio i compagni maschi che la facevano sempre stare in porta, perché nessuno ne aveva voglia, e poi tanto lei era una femmina. Poi, una ragazzina di dodici che ha realizzato il sogno di giocare nella sua squadra del cuore, di indossare gli stessi colori dei suoi idoli. E adesso una ragazza di quindici che anche se va al liceo e c’è tanto da studiare lo spazio per il calcio riesce ancora a trovarlo, perché è qualcosa che fa parte di lei.

La vita della mamma di una piccola calciatrice non è facile. Tocca fare i salti mortali per riuscire a portarla agli allenamenti quando invece dovresti lavorare, dimenticarsi i weekend liberi per andare alle partite, anche se la temperatura è sotto zero e tu batti i denti per il freddo e ti chiedi perché tua figlia non abbia sviluppato una passione così grande, che ne so, per il nuoto sincronizzato. Eppure, mentre trascorrevo tutte quelle ore a congelarmi il sedere sul cemento, mi sono innamorata. Di ognuna delle piccole guerriere che ho incontrato negli anni, della loro forza, della loro determinazione. Della consapevolezza che hanno, già da bambine, del fatto che per loro sarà tutto più difficile. Ma non gliene frega niente, anzi, saperlo le rende solo più forti. Quello che mi ha sempre colpito è l’intensità con cui credono in quello che fanno, nei colori che indossano. Nell’essere una squadra, una squadra sul serio, una cosa sola contro il resto del mondo. Anno dopo anno, mi sono innamorata del loro immenso cuore e dei sogni che brillano loro negli occhi.

Nina, la protagonista di Love Match, è l’incarnazione di tutti quei sogni. Avrei potuto raccontare la sua storia in mille modi diversi, ma per lei volevo una storia d’amore a tutto tondo. Con il calcio e con la vita. Per Nina volevo la Fiaba, quella con la F maiuscola, il Principe Azzurro e il vissero per sempre felici e contenti. E chi poteva essere più adatto a vestire i panni del Principe Azzurro se non Samuel De Luca? Il Re, la stella assoluta della squadra, il golden boy del calcio italiano. Per Nina, un idolo da ammirare da lontano, almeno finché…

Ho scritto tanti libri e li ho amati tutti alla follia, ma questo mi ha dato qualcosa in più: uno straordinario viaggio nel tempo. Mentre scrivevo ho avuto di nuovo diciott’anni, ho provato tutta l’intensità delle emozioni del primo amore. Un primo amore da favola, quello che tutte prima o poi abbiamo sognato e che poche fortunate hanno vissuto. Ho scoperto che non c’è età per il batticuore e le farfalle nello stomaco e me le sono godute tutte, fino in fondo.

Che abbiate diciotto anni oppure sessanta, spero che Samuel e Nina facciano lo stesso effetto anche a voi, perché non siamo mai abbastanza grandi, abbastanza seri o abbastanza impegnati per sognare.

E, quando sogni, tanto vale farlo in grande.

Lucilla Ricottini, l’omeopatia

1 -Come funziona l’omeopatia.

Ormai è una nozione comune, la parola omeopatia vuol dire la cura con il simile, cioè dare una sostanza diluita può curare quella malattia che verrebbe causata dalla stessa sostanza in concentrazione elevata.  In realtà la preparazione è poi più complessa, perché prevede anche un procedimento “energizzante” che si chiama dinamizzazione. Senza questa attivazione la sostanza diluita non ha effetto terapeutico.

 

2- L’omeopatia cura il malato e non la malattia. Che significa?

Si dice così perché l’omeopatia guarda al malato nella sua totalità. Infatti nella ricerca della cura, il medico omeopata va a studiare anche sintomi specifici come i gusti alimentari, l’attrazione o avversione per le temperature calde o fredde, il desiderio di liquidi caldi o freddi, la presenza o meno di brividi, etc.. Tutte indicazioni che lo guidano nella scelta del rimedio specifico. Non esiste quindi la cura per la gastrite, piuttosto esiste la cura per Paolo che ha la gastrite. Ogni volta che una persona supera una patologia utilizzando un rimedio omeopatico, rafforza tutto il suo organismo.

 

3- Perché i prodotti omeopatici non hanno il bugiardino?

Fino ad oggi non sono stati inseriti per il timore che possano creare una tendenza all’automedicazione anche in casi gravi. E’ importante infatti che il rimedio omeopatico venga prescritto da un medico- e in Italia gli omeopati sono medici- in modo che la patologia venga curata con un rimedio omeopatico quando non mette a rischio la vita.

 

4- In quali patologie è efficace l’omeopatia?

L’omeopatia è utile in tutti i casi in cui la patologia non è così grave da richiedere un intervento immediato di tipo chimico. In questo caso l’omeopatia sostiene i processi naturali di guarigione, ottimizzando la risposta immunitaria e riequilibrando il sistema globale organico, andando a potenziare la risposta biologica .

Questo può  richiedere del tempo, come ad esempio nella cura di una rinite allergica . La terapia omeopatica non è indicata nei casi in cui la patologia può degenerare in poche ore, mettendo a rischio la vita o compromettendo fortemente la qualità di vita di un paziente. E’ comunque utile per la disintossicazione (termine tecnico:drenaggio) dopo l’assunzione di farmaci chimici ed è anche molto efficace nella prevenzione.

 

5- Cosa si intende per biotipo?

In omeopatia parlare del terreno vuol dire rimandare alla costituzione di base della persona e, in questo, lo studio del biotipo si è rivelato molto utile. Infatti ogni individuo è un mondo a sé, ma nello stesso tempo condivide con altri individui delle caratteristiche  metaboliche, endocrinologiche e immunitarie per cui tende a reagire con le stesse modalità  agli stimoli ambientali, chiamati in gergo stressor. Gli stressor  possono essere di tipo: infettivo, tossico, ambientale in senso lato (come per esempio l’elettromagnetismo), emotivi. Quindi il biotipo individua delle caratteristiche biologiche di risposta agli stressor e la tendenza a sviluppare alcune patologie piuttosto che altre.

 

6- Quanti sono i biotipi?

Nell’omeopatia costituzionale sono quattro e sono caratterizzati da un assetto morfologico, temperamentale, endocrino, metabolico e immunitario che li individua. In grandi linee vengono divisi in 2 tipi longilinei e 2 tipi brevilinei. Ciascuno di questi tipi reagisce in modo simile agli stimoli ambientali e appare predisposto a specifiche patologie. Nell’omeopatia classica , secondo alcuni studi di inizio secolo, possiamo riconoscere le quattro tipologie anche dal nome di alcune sostanze chimiche che vengono poco metabolizzate da questi individui. Riconosceremo pertanto il tipo: carbonico, sulfurico, fosforico e muriatico.

Osserviamo gli individui da punti di osservazione diversi e li chiamiamo con nomi diversi, ma si tratta sempre degli stessi biotipi. Ciascuno di questi si ammalerà secondo modalità caratteristiche, guarirà secondo tempi e modalità caratteristici, presenterà un proprio metabolismo e un proprio modo di rispondere alle infiammazioni. Sarà favorito dall’assunzione diche digerisce ed utilizza meglio L’individuazione del biotipo aiuta fortemente nella prevenzione.

 

Lorenzo Zassoli de Bianchi – La luna rossa

Ho scritto il romanzo “La luna rossa” durante la pandemia.

Il “lockdown” è stata una inusuale condizione di estraniazione che mi ha spinto a raccontare una storia musicale, una vicenda umana che unisce nella melodia Napoli e New York. Due città-mondo legate da una singolare coincidenza geografica, il 41esimo parallelo e da un comune sentire.

“La luna rossa” narra di un’affettuosa complicità tra un padre e un figlio, Gerardo e Ninetto Romano, uniti da uno straordinario amore per la musica e capaci di immaginare un futuro con un’abbondanza di cose desiderabili.

Gerardo è un musicista mancato ricco d’amore, di ingenui ideali, di fiducia nella bontà altrui tanto da restare immutato e candido attraverso ogni esperienza. Sorridere al mondo è l’ultimo segreto del suo fascino. La sua grande passione musicale è Tom Waits, il menestrello di Pomona: canzoni come lingue d’asfalto che attraversano canyon e terre di nessuno abbracciando solitudine e emarginazione.

Tom Waits è la sottotraccia del libro, il solco musicale che attraversa il tempo con una inaudita forza espressiva.

Ci vuole coraggio per lasciare Napoli, città che ha il profumo di un’umanità potente, perspicace, avventurosa, ma Gerardo e Ninetto partono inseguendo un sogno e si ritrovano a New York dove l’altezza dei grattacieli si smorza negli spazi allungati di Central Park, dove le luci di Broadway annegano nell’acqua torbida dell’Hudson.

Nel loro percorso utopico incontrano strambi personaggi: da Oracle Fire Blues il benzinaio di Pomona che si credeva il bassista di Tom Waits a Nanà, la stupenda responsabile all’immigrazione di New York; da Michael Stipe, il magnetico leader dei R.E.M. a Imma Nazionale, la cantante detta l’Alhambra per i capelli rossi, la facilità della mossa e l’abilità nella danza del ventre.

Le canzoni sono la sublime banalità della nostra esistenza, le compagne delle nostre piccole odissee. Perciò chi avrà la pazienza di leggere il libro si potrà immergere in tanta musica napoletana e americana disponibile nella playlist LA LUNA ROSSA su Spotify.

Mi è, infine, piaciuto immaginare che la luna conosca le ragioni della vita, la sofferenza, il dolore, il sospiro, la morte e il frutto dell’infinito passaggio del tempo. La luna ha il potere di placare l’inquietudine delle cose.

Si è scritto tanto sulla luna e tante sono le canzoni che la evocano. Ne ho scelta una in particolare: la melodia di Luna Rossa che è il fil rouge lungo cui scorre tutto il libro.

Daniela Volontè: Ti scrivo una canzone

Vi è mai capitato di ascoltare una canzone e di innamorarvene all’istante?

A me, no! Almeno non fino al giorno in cui mio marito mi ha fatto ascoltare una canzone italiana che mi ha completamente stregato.

Ma per farmi capire meglio, devo fare un piccolo passo indietro e spiegarvi che non sono una grande ascoltatrice di musica, anzi… Non vado ai concerti, non canto a squarciagola sotto la doccia e accendo la radio solo quando sono in auto e devo affrontare un lungo viaggio. Non amo quando esco con le amiche e nei pub alzano il volume della stereo, perché non riesco più ad ascoltare chi mi sta accanto. C’è soltanto un momento in cui mi lascio cullare dal ritmo di una canzone: quando scrivo. Infatti, secondo me, per ogni romanzo deve esserci una colonna sonora ben definita.

Da ciò si desume che io e la musica viaggiamo su binari ben distanti, eppure… Appena ho sentito per la prima volta la canzone a cui vi accennavo, ho cambiato completamente prospettiva. Ogni cosa mi ha intrigato di quella canzone e più la ascoltavo, o leggevo il testo, più nella mia testa si faceva largo una storia. Di norma non ho le idee chiare fin dall’inizio circa lo sviluppo di una nuova trama, invece, questa volta il romanzo è nato in una maniera tanto spontanea da stupire anche me. Inoltre, io, che di solito sono ipercritica su ciò che scrivo, ho adorato mettere nero su bianco alcune scene che nella mia testa continuavo a rivedere, come la sequenza preferita di un film amato.

Il risultato finale di questo processo lo metto nelle vostre mani e ovviamente mi auguro che sia un bellissimo “film da vedere”. Se volete conoscere il titolo della canzone che ha ispirato l’intero romanzo, non dovete far altro che leggerlo e arrivare all’ultima pagina, dove la vostra curiosità troverà di sicuro soddisfazione.

Prima che la lettura inizi, non posso che ringraziare tutti coloro che si lasceranno condurre per mano in un mondo fatto di musica e di parole.

Buon viaggio da parte mia e da parte dei Sonder.

Manzoni VS Arrigoni

È possibile che alla base dei Promessi Sposi si nasconda una faida famigliare? Leggendo i documenti sembrerebbe proprio di sì, e affiora addirittura l’ipotesi che Manzoni non fosse del tutto ironico quando affermava di aver ritrovato un vecchio manoscritto “dilavato e graffiato”.


Altoforno alla norvegese https://media.snl.no/media/236012/standard_NJ-003859.jpg [Licenza: CC BY NC 2.0 – Georg Haas/C.A. Lorentzen/Næs Jernverksmuseum]

Gli avi di don Lisander nella zona di Lecco e della Valsassina, infatti, furono a lungo in competizione con la potente famiglia di… don Rodrigo! Avete letto bene, è infatti probabile che il Palazzotto del nobile antagonista di Renzo e Lucia altro non fosse che quello che si trova sullo Zucco di Olate, costruito nel 1570 dalla famiglia Arrigoni.
Il motivo della contesa fra le due enclave, i Manzoni in rapida ascesa, ma non ancora nobili, e gli Arrigoni in lenta decadenza, pare fosse incentrata sul monopolio delle ricche miniere della Valsassina e del commercio del ferro.
Al centro della contesa troviamo lo spietato Giacomo Maria Manzoni e i suoi bravi (sì, i bravi ce li avevano anche i Manzoni!), sospettato tra l’altro di essere il mandante dell’omicidio di Giovanni Arrigoni, assassinato con una archibugiata in un giorno d’estate del 1621, nei boschi sopra Barzio. Ancora oggi nello stemma del paese sono riportati gli stemmi delle due famiglie rivali, il manzo passante e la sigla AR.

Tuttavia. nei Promessi Sposi non si fa diretto riferimento a questa contesa, e la (proto)industria messa al centro della trama non è quella del metallo, ma quella della seta. Lucia era una filandina e Renzo un filatore di seta, due professioni diversissime tra loro, ma già diffuse nel milanese fin dalla seconda metà del Quattrocento, ai tempi di Leonardo Da Vinci e Ludovico il Moro. Il soprannome di quest’ultimo infatti non allude né al colore né alla lotta contro i “Mori”, bensì… ai gelsi! Gli unici alberi adatti a sfamare i bachi da seta, che in dialetto venivano chiamati “moroni”. D’altro canto, storicamente l’industria della seta nel lecchese visse il proprio exploit a partire dalla seconda metà del Seicento e soprattutto nel Settecento, parecchi anni dopo la fine della storia dei due sposi promessi.

Ma i Promessi Sposi non si concludono con il loro matrimonio, bensì… con la Storia della Colonna Infame. Che ha a che fare l’iniquo processo contro gli untori della peste, pregno di superstizioni, con la faida tra gli Arrigoni e i Manzoni? In realtà, moltissimo: ricordate che la peste era entrata nel Ducato di Milano con i Lanzichenecchi passando dalla Valsassina? Ebbene, nel 1630 Ambrogio Arrigoni, Deputato della Sanità per la Valsassina, approfittò della sua posizione per vendicarsi degli avversari di una vita, estorcendo la confessione di Caterina Rozzona, amante di Francesco Manzoni, detto il Bonazzo. L’accusa era quella di aver “unto” la casa del fratello morto di peste, di aver fatto un patto con il diavolo e di aver partecipato a tutte le perversioni del barilotto (nome lecchese del sabba delle streghe) insieme ad altri parenti e amici. Tra questi: Simone Manzoni detto il Gambarello, sua moglie Clara Bossi, il quindicenne Bernardo Boccaretto… e soprattutto il signor Giacomo Maria Manzoni del Caleotto, accusato di essere capo e mandante di tutta la congrega.
Come andò a finire la vicenda? Lo potrete scoprire sulle pagine di Engaged, in cui ho intessuto ferro e seta, combinando le vicende narrate dal Manzoni a quelle da lui taciute, legandole con… un pizzico di magia. E chissà che non fossero proprio queste le “Traggedie d’horrori, e Scene di malvaggità grandiosa, con intermezi d’Imprese virtuose e buontà angeliche, opposte alle operationi diaboliche” contenute nel (vero) manoscritto dell’Anonimo!

Per approfondire:

Pietro Pensa, “Famiglia Manzoni: quel ramo del casato”, 1985, https://pietro.pensa.it/Famiglia_Manzoni:_quel_ramo_del_casato

Lucio Causo, “Mortale contesa nata nel 1600 tra le famiglie Manzoni e Arrigoni per il possesso delle miniere di ferro in Valsassina”, 2011,
http://www.aksaicultura.net/luciocauso/index.php?nohead=1&view=10

Marco Rapetti Arrigoni, “Quando gli avi di Manzoni erano in causa con i miei: alle fonti de I Promessi Sposi”, 2019, https://www.breviarium.eu/2019/08/03/arrigoni-manzoni-fermo-lucia-promessisposi/

eccoLecco, “Palazzotto di Don Rodrigo”, 2022,
https://www.eccolecco.it/i-promessi-sposi/luoghi-manzoniani/palazzotto-didon-rodrigo/

Wikipedia, “Untore”, 2023,
https://it.wikipedia.org/wiki/Untore

Ignazio Cantù, “Le vicende della Brianza e de’ paesi circonvicini”, 1837

Giuseppe Arrigoni, “Documenti inediti risguardanti la storia della Valsassina e delle terre limitrofe”, 1857

Antonio Balbiani, “I famosi untori della peste: seguito alla Colonna Infame di Alessandro Manzoni” (romanzo), 1875

Armando Frumento, “Imprese lombarde nella storia della siderurgia italiana”, volume II, Il ferro milanese tra il 1450 e il 1796, 1963

Giuseppe Farinelli, Ermanno Paccagnini, “Processo agli untori. Milano 1630: cronaca e atti giudiziari”, 1988

Alessandra Dattero, “La famiglia Manzoni e la Brianza”, 1997

Gian Luigi Daccò, “Giacomo Maria Manzoni. Documenti” in «Manzoni-Grossi, Tomo I», 1991

Mauro Rossetto, “Villa Manzoni al Caleotto nelle carte dell’Archivio ManzoniScola”, in «Manzoni-Grossi, Tomo I», 1991

Marco Tizzoni, Pierfranco Invernizzi, Matteo Lambrugo, “Memorie dal sottosuolo. Per una storia mineraria della Valsassina”, 2015

Claudio Paglieri “Il conte Attilio” (romanzo storico), 2023

Inquisitori… inquisiti!

Lo sapevate che spesso a finire inquisiti dal Sant’Uffizio erano… gli inquisitori stessi? E che sono esistiti inquisitori che si sono tassati personalmente per curare e risarcire gli eretici pentiti all’ultimo minuto?
La storia dell’Inquisizione è molto più lunga e complicata di quello che ci viene mostrato nei film, e non fu nemmeno un fenomeno limitato al Medioevo. Si potrebbe dire, anzi, che l’Inquisizione visse il suo periodo più “luminoso” (o oscuro, a seconda dei punti di vista) proprio nella cosiddetta Età Moderna.


Gerard ter Borch (II), “Il supplizio della corda”, 1633-1635 Fonte: Rijksmuseum di Amsterdam, http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.431172

La leggenda nera di un’Inquisizione fatta di frati sadici che seviziavano in modo orrendo eretici e streghe in realtà è figlia di due epoche diversissime fra loro ma accomunate dalla condanna dell’oscurantismo: l’Illuminismo e il Romanticismo. Il fenomeno storico dell’Inquisizione, o meglio, delle Inquisizioni al plurale (medievale, spagnola e romana), è molto più complesso e variegato di quanto s’immagini… e la sua storia non è ancora finita. Pochi infatti sanno che il Sant’Uffizio non ha mai smesso di esistere nella Chiesa Cattolica, ma ha solo cambiato nome. Oggi è la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Ah, ed è un fenomeno esclusivamente cristiano. Gli ebrei e i musulmani non potevano venir indagati dal Sant’Uffizio, perché non potevano essere “eretici”, non essendo mai stati cristiani, salvo il caso dei convertiti e dei finti convertiti. E a Venezia ce n’erano parecchi… ma questo discorso ci porterebbe lontano.
Ma allora che cos’è l’Inquisizione? Per quale scopo sorse? E perché è così difficile darne una definizione?
La risposta alla prima domanda getta luce anche sulle altre. Prima dell’Inquisizione nacquero gli inquisitori e la procedura inquisitoria. Cioè un’indagine segreta e attiva volta a scoprire e combattere l’eretica pravità. In pratica, tutte le deviazioni dall’ortodossia cattolica. E fin qui, in realtà, non c’è niente di nuovo. La Chiesa reprimeva da sempre le eresie, cioè le deviazioni dall’ortodossia stabilita dai concili ecumenici, e lo faceva tramite i vescovi e i loro tribunali.
Intorno al XIII secolo, tuttavia, all’epoca della crociata contro gli Albigesi e del conflitto istituzionale tra l’imperatore Federico II e papa Gregorio IX, si rese sempre più necessario da parte di quest’ultimo ribadire la supremazia della Chiesa in materia di fede, davanti all’imperatore che voleva arrogare a sé la prerogativa di giudicare chi fosse o non fosse eretico. Gregorio IX e il suo successore, Innocenzo III, furono quindi spinti a istituire dei giudizi speciali, gli inquisitores, con lettere d’incarico che li mettevano al di sopra di ogni altro tribunale, almeno per quanto concerneva la lotta contro l’eresia. Questi mandati furono affidati innanzitutto ai neonati frati domenicani (1235) e poi anche ai frati minori francescani (1246).
Restava tuttavia inalterato il potere dei vescovi, che potevano far ricercare, indagare e condannare gli eretici in autonomia. Questo fatto creò molti problemi. Per esempio, se erano in disaccordo, a chi spettava giudicare se una persona fosse o meno eretica? Al vescovo o all’inquisitore? La risposta non era affatto ovvia, e si rese necessaria la creazione di un ente centrale che tenesse traccia di tutti i procedimenti inquisitoriali. Fu così che a Roma nacque il Sant’Uffizio vero e proprio (1542).
Un caso di conflitto di giurisdizione riguarda proprio la storia che narro in Engaged. Nel 1618, don Giuseppe Ripamonti venne accusato di eresia, sodomia (leggi: omosessualità) e negligenza dal tribunale del suo protettore, l’arcivescovo di Milano e cardinale Federico Borromeo. Il Ripamonti, tuttavia, si appellò a Roma e il procedimento si trascinò per quattro anni finché, stremato, preferì confessare alcune delle colpe minori (escludendo quelle di eresia e omosessualità) pur di non dover passare il resto della vita chiuso in carcere, fra continui ricorsi, nel disperato tentativo di provare la propria innocenza.
Ad arrestarlo era stato un certo Fischillario, o Fiscillario. Non un inquisitore. E allora chi poteva essere? Si trattava probabilmente di un “patentato” dell’Inquisizione. Sì, perché nei secoli la macchina del tribunale inquisitorio si era fatta più variegata e complessa e comprendeva ormai vari ruoli: economi, notai, carcerieri e… uomini armati. E come i primi inquisitori avevano avuto un incarico dal papa, così ora gli inquisitori stessi davano mandato, o “patente” di agire a nome loro a degli sgherri armati incaricati, per così dire, di fare il “lavoro sporco”: indagini in incognito, agguati, arresti, perquisizioni e confische.
Allo stesso tempo, si era anche raffinato il sistema di carcerazione, la trascrizione degli interrogatori, e la codifica di come e quando si poteva procedere all’esame rigoroso, cioè, alla tortura. E niente di particolarmente elaborato. il tormento consisteva quasi esclusivamente nei “tratti di corda”, cioè nell’essere sospesi da terra con le braccia dietro la schiena ed essere lasciati cadere e strattonati, in modo da slogare i muscoli e i tendini, con dolori atroci.
Se vi sembra un sistema barbaro e diverso da quello del nostro mondo “civilizzato”, ricordate che non sono passati molti anni da Guantanamo e dai tormenti preventivi agli arrestati sospettati di essere terroristi, e che in molte carceri nel mondo è vietato l’accesso alle organizzazioni mediche e umanitarie. Dite quello che volete contro l’Inquisizione romana (quella spagnola, obiettivamente, era un po’ peggio), ma i detenuti del Sant’Uffizio avevano diritto a un avvocato difensore, a vitto e alloggio (anche se erano tenuti a pagarlo loro stessi) e anche alle visite mediche. Inoltre, godevano del conforto di varie istituzioni benefiche, che raccoglievano donazioni per i carcerati meno abbienti, e avevano anche diritto all’assistenza nel momento in cui fossero stati condannati alla pena capitale. In tal caso, entrava in azione un’apposita confraternita laica, spesso chiamata di San Giovanni “Decollato” (cioè, Decapitato, non partito in volo!), che pagava a proprie spese anche il conforto morale del prigioniero.
Altre confraternite avevano compiti di sorveglianza, di scorta o paramilitari, come quelle dei Crocesignati di San Pietro Martire, che affiancavano o in alcuni casi si sovrapponevano ai “patentati” e ai “famigli” degli inquisitori.
Quanto alle condanne, non sempre erano cruente. Al primo giro, se si pentiva, l’eretico poteva anche solo ricevere una multa e una penitenza. Spesso quest’ultima consisteva nell’indossare un abito con cucita sopra la croce da penitente e stare in ginocchio fuori di chiesa la domenica per qualche settimana di fila.
Le condanne a morte erano invece riservate agli eretici relapsi, cioè ricaduti nell’errore, oppure impenitenti, che si ostinavano cioè a non riconoscere il proprio errore.
Engaged si apre con la scena di Giordano Bruno bruciato vivo sul rogo per eresia, ma il suo fu un caso eccezionale. Molto spesso i condannati venivano strangolati prima che i loro cadaveri venissero dati alle fiamme. Condanne in ogni caso eseguite sempre e solo dalle autorità civili, e mai dalla Chiesa, che con magistrale ipocrisia si mascherava dietro il motto Ecclesia abhorret da sanguine (la Chiesa ha orrore del sangue) e dietro una preghiera ai governatori di aver misericordia del condannato. Nel caso di Bruno, per esempio, la sentenza recitava così: “ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilazione di membro”.
Fra parentesi, il prelato governatore di Roma all’epoca era il milanese Ferrante Taverna, e un altro illustre ambrosiano che si trovava nella Città Eterna era il cardinal Federico Borromeo, in esilio da Milano per dissidenze con il governo spagnolo. Le loro divergenze si appianarono anche grazie alla loro convergenza in tema di caccia alle streghe e agli stregoni… ma questa è un’altra storia.
Il caso di Giordano Bruno è emblematico per capire quanto fosse complicata la situazione inquisitoriale all’epoca. Domenicani, gesuiti, francescani, appelli al papa, finti pentimenti, delatori, lettere segrete… c’è tutto. Tranne lo spazio per parlarne ampiamente in questa sede.
Vorrei concludere invece con un caso curioso che ho scoperto per caso mentre mi documentavo per il romanzo. Nel 1628, un libraio di Venezia specializzato nella vendita di libri proibiti, tale Salvatore Negri, vendette un anello magico a un orefice con il vizio del gioco. Il potere dell’anello era fuori di dubbio perché… be’, perché era stato incantato da un inquisitore! Nello specifico, un francescano chiamato fra’ Bonaventura Perinetti da Piacenza, ex Vicario dell’Inquisizione di Padova. Il francescano, affermava il libraio, aveva intrappolato nell’anello uno spirito demoniaco chiamato “Gabba”. L’orefice, tuttavia, continuò a perdere al gioco e, sentendosi gabbato, denunciò la vicenda all’inquisitore di Venezia, il domenicano padre Girolamo Zappetti da Quinzano. Credete che il Sant’Uffizio procedette contro fra’ Bonaventura? Ma nemmeno per sogno! Anzi, lo troviamo poco dopo come inquisitore di Belluno.
L’Inquisizione, ormai, era diventata una macchina burocratica immensa e, come spesso accade, sembrava più interessata a difendere se stessa e la propria reputazione dagli attacchi esterni che preoccupata di fare luce sulla verità. E in fondo, si trattava forse di materia per un processo inquisitoriale? La stregoneria era stata già da tempo equiparata all’eresia, certo, ma il francescano, in fondo, aveva solo tolto di mezzo un demone confinandolo in un anello. Cosa che nessuno, al tempo, dubitava che fosse davvero possibile.

Per approfondire:
Mario Niccoli, “Enciclopedia Italiana”, 1933, voce sull’Inquisizione, https://www.treccani.it/enciclopedia/inquisizione_%28EnciclopediaItaliana%29/
Riccardo Calimani, “L’inquisizione a Venezia”, 2003
Federico Barbierato, “La rovina di Venetia in materia de’ libri prohibiti. Il libraio Salvatore de’ Negri e l’Inquisizione veneziana (1628-1661)”, 2007
Gianvittorio Signorotto, Claudia Di Filippo Bareggi, “L’inquisizione in età moderna e il caso milanese”, 2009
Vaticano, Congregazione per la Dottrina della Fede, 2015, https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/storia/documents/rc_c on_cfaith_storia_20150319_promuovere-custodirefede_it.html#LA_CONGREGAZIONE
Edgardo Franzosini, “Sotto il nome del Cardinale”, 2013
Stefano Dei Rossi, “Uno strano inquisitore da inquisire… a Venezia nel 1629”, Una curiosità veneziana per volta n. 119, 2016, http://stedrs.blogspot.com/2016/09/uno-strano-inquisitore-da-inquisire.html
Germano Maifreda, “Io dirò la verità. Il processo a Giordano Bruno”, 2018
Dennj Solera, “Sotto l’ombra della patente del Santo Officio. I familiares dell’Inquisizione romana tra XVI e XVII secolo”, 2020
Dennj Solera, “La società dell’Inquisizione. Uomini, tribunali e pratiche del Sant’Uffizio romano”, 2021

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