La novella di Stephen King Se scorre il sangue è stata opzionata da Netflix

La novella di Stephen King Se scorre il sangue è stata opzionata da Netflix & John Lee Hancock/Jason Blum/Ryan Murphy, mentre Ben Stiller e Darren Aronofsky se ne sono aggiudicate altre due.

 

Se scorre il sangue, la raccolta di Stephen King che occupa i primi posti delle classifiche fin dalla sua uscita, ha già tre opzioni cinematografiche, mentre una quarta è in trattativa perché coinvolge un personaggio preesistente, protagonista di una serie TV HBO. E visto che King accetta 1$ per opzione, sono 4$ in più nelle tasche del prolifico autore, ai quali si aggiungeranno ben altre cifre al momento della realizzazione.

Netflix, Blumhouse e Ryan Murphy hanno unito le forze per opzionare il primo racconto della raccolta, Il telefono di Mr. Harrigan, con l’adattamento e la regia di John Lee Hancock. Jason Blum, Murphy e Carla Hacken sono I produttori.

Ratto è stato opzionato da Ben Stiller, che ha deciso non solo di produrlo e dirigerlo, ma anche di esserne protagonista.

E la Protozoa di Darren Aronofsky ha opzionato La vita di Chuck. A questo punto, Aronofosky è anche produttore.

Il quarto racconto, Se scorre il sangue, potrebbe seguire una strada diversa, poiché ha per protagonista Holly, la detective visionaria resa indimenticabile da Cynthia Erivo nella serie HBO The Outsider. Nessuna sorpresa quindi, se nel futuro della serie dovesse entrare anche Se scorre il sangue.

Ora, bisogna tornare parecchio indietro nel tempo, e precisamente alla raccolta del 1982 Stagioni diverse, per ritrovare lo stesso numero di opzioni da un solo libro. Stiamo parlando di racconti, e film, leggendari: Il corpo, che è diventato Stand by me di Rob Reiner, un classico; Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank portato al cinema col titolo Le ali della libertà, con Tim Robbins e Morgan Freeman; L’allievo, diretto da Bryan Singer e interpretato da due attori del calibro di Yan McKellan e Brand Renfro. L’unico titolo di quel libro che a suo tempo non è arrivato al grande schermo è Il metodo di respirazione. Che la Blum sta realizzando in questo periodo.

Quando ho scritto che King opziona le sue opere per 1$, non ho detto che si tratta di una cifra simbolica e che il contratto prevede molte clausole riguardanti il suo controllo sul lavoro – anche se King tende a non soffocare il processo creativo – e delle scadenze a breve termine, in modo che le sue opere non languiscano nel limbo delle eterne opzioni.

Secondo molti, Il telefono di Mr. Harrigan è il racconto più vicino a Stand by me, con un tocco horror, tanto per gradire. Un ragazzo del Maine fa amicizia con Mr. Harrigan, anziano signore in pensione per il quale comincia a fare qualche lavoretto fin dall’età di nove anni. Ad Harrigan piace regalare al ragazzo dei gratta e vinci, e quando il giovane vince davvero, gli dimostra la sua gratitudine regalandogli il suo primo smartphone. Quando Mr. Harrigan muore, il suo amico gli mette il telefono in una tasca. Poi gli manda un sms, ed è sconvolto nel ricevere una risposta dall’oltretomba.

Marci Wiseman e Jeremy Gold di Blumhouse Television sono i produttori esecutivi di questo che sarà il quarto film Netflix tratto da King dopo Il gioco di Gerald, 1922 e Nell’erba alta.

La vita di Chuck riguarda Charles Krantz, morto all’età di 39 anni per un tumore al cervello e la cui vita è segmentata in diversi capitoli dalle atmosfere soprannaturali.

Il protagonista di Ratto è Drew Larson, uno scrittore frustrato, che ha al suo attivo un racconto molto promettente, relegato ormai a oggetto di studio, perché ogni volta che ha una buona idea, succede qualcosa di tremendo. Quando gli viene in mente di scrivere un western, si chiude in un vecchio rifugio di famiglia nei boschi, ben deciso a portare a termine il lavoro. Durante il soggiorno, però, tra bufere e blocco dello scrittore, Larsen si ritrova a stringere un patto faustiano. Con un ratto. Convinto che tutto sia avvenuto in uno stato di delirio notturno, ben presto scopre invece di aver davvero firmato per il successo, ma in cambio della vita di una persona amata…

Se scorre il sangue ha per protagonista Holly Gibney, detective dell’agenzia Finders Keepers impegnata nel ritrovamento di un cane. Mentre indaga, assiste a un servizio sull’attentato a una scuola e si convince che l’inviato potrebbe essere tutt’altro che imparziale. Oltre che in The Outsider, Gibney è anche nella trilogia di Bill Hodges, la serie con Brendan Gleeson che comprende Mr. Mercedes, Chi perde paga e Fine turno.

 

Fonte: Deadline/Variety.

Una magia… che lascia il segno

Una magia… che lascia il segno Di Beppe Roncari

Come funzionava la magia popolare a inizio Seicento? A differenza di quella colta, praticata da negromanti e alchimisti alle corti dei sovrani, delle pratiche che facevano parte del folklore popolare ci sono rimaste solo testimonianze indirette, nei processi istituiti dalle autorità civili e religiose contro le streghe. E nei manuali degli inquisitori.

Matthäus Merian, Basilicae Philosophicae, in Johann Daniel Mylius, Opus Medico Chymicum, Francoforte, 1618

I gentiluomini dell’epoca, afferma don Ferrante nei Promessi Sposi, studiavano la stregoneria solo “per potersene guardare, e difendere”. E rigorosamente in forma teorica, un po’ come nella classe di Difesa contro le Arti Oscure di Hogwarts, e con la stessa puzza sotto il naso dei “maghi teorici” di Jonathan Strange e il Signor Norrell.
La gente dell’epoca, dunque, si teneva davvero alla larga dalle pratiche magiche? Assolutamente no. Il Manzoni, o meglio, l’Anonimo, ci informa infatti che la magia era una scienza molto “in voga” all’epoca, i cui effetti erano sotto gli occhi di tutti, tanto “da poterli verificare”.
Ma quali erano questi incantesimi e come funzionavano?
Una testimonianza molto interessante, a cui ho attinto abbondantemente durante la scrittura di Engaged, è un codicillo conservato nell’Archivio Storico Diocesano di Milano, su cui sono riportate le “vane osservanze” magiche nella zona di Lecco nella seconda metà del Cinquecento.
“Vane” perché la Chiesa ci teneva ad affermare che il loro potere era puramente illusorio e superstizioso. Salvo poi uccidere veramente coloro che venivano condannati come streghe o stregoni… ma questa è un’altra storia.
Ben 134 scongiuri e incantesimi, frutto della trascrizione della testimonianza orale di 53 persone diverse, per la maggior parte donne.
Ecco un esempio di magia tempestaria contro il maltempo, composta da un gesto, chiamato segnatura, e da una formula di scongiuro:
Falso inimico parteti di qui
ti non ghe, ne fa, ne dì,
in quella val scuria
dove non canta ne gal ne galina
ne nisura creatura
in quella Grigna pelada
dove è la tua masnada.

Confrontiamola con una preghiera a San Giovanni, tuttora diffusa nel Salento (la riporto in italiano):
Alzati, San Giovanni, non dormire,
che sto vedendo tre nuvole venire:
una di acqua, una di vento e una di maltempo.
“Dove lo portiamo questo maltempo?”
“Sotto una grotta oscura, dove non canta gallo, e dove
non brilla la luna
, affinché non faccia del male
a me e a nessun’altra creatura”
.
Una somiglianza strabiliante, non è vero? Ma non c’è da stupirsene più di tanto, considerando che le benedizioni dei preti, contro il maltempo o le malattie del bestiame, non differivano molto dai rituali praticati in segreto, ma nemmeno più di tanto, dalle donne più sagge.
La differenza, spesso, stava proprio nel fatto che i primi erano officiati da figure riconosciute dalla Chiesa ufficiale, mentre i secondi erano praticati… beh, lo avete già capito, dalle “streghe”.
Un’altra forma di magia popolare molto in voga era la legatura, che consisteva nella creazione di nodi simbolici. Una legatura amorosa poteva legare due anime fra loro, ma anche prendere la forma di un maleficio, per esempio “legando” la virilità di un uomo e impedendogli così di avere rapporti sessuali.
Un unico gesto, ma con due intenzionalità diametralmente opposte. La magia bianca, dunque, non era ontologicamente diversa da quella nera. Si trattava piuttosto di una distinzione di natura sociale e morale.
In Engaged ho cercato di ridare vita agli antichi riti e al ricchissimo substrato sociale e culturale da cui provenivano, immaginando solo… che il loro potere non fosse “vano”, ma vero.

Per approfondire:

Fra’ Francesco Maria Guazzo, “Compendium maleficarum”, 1618
Alessandro Manzoni, “I Promessi Sposi”, 1842, capitolo 27
Giuseppe Farinelli, Ermanno Paccagnini, “Processo per stregoneria a Caterina de’ Medici (1616-1617)”, 1989
Natale Perego, “Stregherie e malefici. Paure, superstizioni, fatti miracolosi a Lecco e nella Brianza del Cinque e Seicento”, 1990
Carlo Ginzburg, “I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento”, 1996
Massimo Priovano, “Vermi, donne che segnano, trasmissione dei saperi magico-religiosi. Una ricerca sul campo nel territorio lecchese”, 2001
Antonio Carminati, “I sègn de bén tra magia bianca e pratica teraputica popolare”, 2019,
http://www.ruralpini.it/I-segni-del-bene.html
Remo Bracchi, “Nomi e volti della paura nelle valli dell’Adda e della Mera”, 2009, https://epdf.tips/nomi-e-volti-della-paura-nelle-valli-delladda-e-dellamera.html
Sapori del Salento, “La candela della candelora”, 2013,
https://saporidelsalento.wordpress.com/tag/per-allontanare-il-cattivo-tempopreghiera-a-san-giovanni/

Sono una strega, non sono una santa

Sono una strega, non sono una santa, di Beppe Roncari

“Tremate, tremate, le streghe son tornate!” Questa vecchia filastrocca per bambini divenne il motto del movimento femminista degli anni Settanta. E non avrebbe potuto essere più appropriato. Per quanto gli storici non siano ancora concordi sull’entità del fenomeno della caccia alle streghe, e sul numero delle vittime, su un punto sono unanimi: furono molte più donne che uomini a essere condannate a sequestro dei beni, a penitenze umilianti e soprattutto al rogo.


Jan van de Velde (II), Strega, 1626, Rijksmuseum di Amsterdam
https://www.rijksmuseum.nl/nl/collectie/RP-P-OB-15.310

Nella Milano dei primi decenni del Seicento, quella del cardinal Federico Borromeo, su nove esecuzioni capitali documentate, otto furono di streghe e una soltanto di uno stregone. Ma si presuppone che le condanne siano state molte di più, dato che le carte dell’Inquisizione finirono anch’esse in fiamme nel 1788, per ironia della sorte. Bruciate per ordine dell’imperatore asburgico!
A esacerbare questo divario tra i sessi contribuisce il fatto inquietante che mentre le donne che praticavano la magia venivano considerate automaticamente malefiche, esseri capaci di macchiarsi dei crimini più efferati, compresi vampirismo e infanticidio, i loro colleghi di sesso maschile, maghi o negromanti che fossero, venivano spesso protetti dai potenti.
Ecco così il paradosso di un mondo in cui Nostradamus veniva onorato alla corte di Francia dalla regina Caterina de’ Medici, mentre una popolana omonima della sovrana, Caterina de’ Medici da Broni, veniva bruciata come strega alla Vetra. L’accusa contro Caterina era di aver lanciato un maleficio di morte sul senatore Luigi Melzi, padre del vicario di provvisione dei Promessi Sposi, che tuttavia sopravvisse benissimo. Dalle carte processuali, però, emerge in filigrana una storia molto diversa: l’anziano padrone si era invaghito di Caterina, con tanto di avances e molestie sessuali… ma questa scomoda realtà non poteva essere accettata, soprattutto perché rischiava di mettere in questione una cosa molto più preziosa della verità, ovvero il patrimonio di famiglia.
Caterina era di estrazione popolare ma istruita, il padre era maestro elementare e le aveva insegnato a leggere e scrivere. E aveva fieramente riconosciuto di essere una strega. Ma era povera, senza una famiglia alle spalle e, oltretutto, laica. La sua sorte sarebbe stata diversa se fosse stata nobile, ricca o religiosa?
Possiamo avvicinarsi a una risposta osservando la vicenda di tre sue omonime: Caterina di Jacopo di Benincasa, meglio nota come santa Caterina da Siena, Caterina Fieschi Adorno, cioè santa Caterina da Genova, e infine Caterina Mattei, la beata Caterina da Racconigi, soprannominata in vita la masca, cioè strega, di Dio.
Tutte queste donne vissero esperienze simili a quelle descritte dalle streghe: il volo notturno, le estasi, l’insensibilità al fuoco o al dolore, miracoli curativi, visioni di angeli e demoni o di atti sessuali sfrenati.
Il confine tra santità e stregoneria era molto più labile di quello che potremmo immaginare, e a volte era solo una questione di fortuna, o di avere gli appoggi giusti, a fare la differenza tra le donne che venivano elevate sugli altari… o sulle pire dei roghi.
La Monaca di Monza stessa, suor Virginia, al secolo la nobile Marianna de Leyva, per giustificarne il voto infranto invocò motivazioni magiche, affermando di essere stata vittima di un sortilegio amoroso da parte del suo amante, Gian Paolo Osio. E di aver cercato a sua volta di sottrarsi alla sua influenza facendo ricorso alla stregoneria. Probabilmente, è solo grazie all’enorme prestigio della sua famiglia e al fatto che vestiva l’abito di monaca benedettina se riuscì a scappare a una condanna capitale, cavandosela solamente, si fa per dire, con la pena di essere murata viva.
Nella scrittura dei Promessi Sposi, Manzoni afferma di aver sfrondato intenzionalmente ogni riferimento all’elemento magico, se si eccettuano poche allusioni, attribuite quasi tutte all’Anonimo. Lucia appare allora, per usare le parole irriverenti e sarcastiche di don Abbondio, un’acqua cheta, una santarella, una madonnina infilzata. Ma… e se la realtà fosse stata diversa? What if Lucia e sua madre Agnese fossero state costrette a nascondere la loro vera natura da un mondo ingiusto e maschilista, che lasciava ben poca scelta a una donna: suora, madre, prostituta o… strega? Tra le pagine di Engaged potrete scoprire una versione alternativa delle loro vicende.

Per approfondire:

Silvia Tenderini, “L’Inquisizione valsassinese: povere rosse a Pasturo…”, 2010, https://www.valsassinanews.com/2010/12/11/domenicaculturalelinquisizione-valsassinese-povere-rosse-a-pasturo/

Ilenia Luongo, “La donna e la sua immagine: santa o strega?”, 2021, https://amantidellastoria.wordpress.com/2021/01/25/la-donna-e-la-suaimmagine-santa-o-strega-di-ilenia-luongo/

Marcello Craveri, “Sante e streghe. Biografie e documenti dal XIV al XVII secolo”, 1980

Leonardo Sciascia, “La strega e il capitano”, 1985

Elisabetta Lurgo, “La beata Caterina da Racconigi fra santità e stregoneria. Carisma profetico e autorità istituzionale nella prima età moderna”, 2013

Dinora Corsi, “Diaboliche, maledette e disperate le donne nei processi per stregoneria”, 2013

Marina Marazza, “Il segreto della Monaca di Monza”, 2014 Marina Marazza, “L’ombra di Caterina”, 2019

Stefania Russo – Non è mai troppo tardi

“Non è mai troppo tardi” è un libro di pancia, scritto di getto, figlio di poche congetture.
Nelle mie intenzioni iniziali Annarita doveva essere la protagonista di un noir anche abbastanza cupo. Solo dopo aver riletto le prime pagine mi resi conto che Annarita possedeva una vena autoironica molto marcata che sarebbe stato un peccato ignorare.
Ed è stato così, lasciando “parlare” Annarita, che è nata la storia narrata in queste pagine, con Olga che non si limita a ricoprire un mero ruolo di contorno, quello della badante schiva e dedita, ma diventa il perno attorno al quale si sviluppa l’intera vicenda, e in un certo senso le dà ragione di esistere.
Eh sì, perché le condizioni di salute di Ada, sua sorella, affetta da una rara forma di neoplasia, peggiorano all’improvviso, e Olga, lontana da lei migliaia di chilometri (Ada vive in Romania, la loro terra d’origine), si trova ad ingegnarsi per racimolare l’ingente somma che consentirebbe a Ada di sottoporsi a una cura sperimentale in Italia.
Per l’affetto e la gratitudine che Annarita prova nei confronti di Olga, non può certo esimersi dal venire in suo soccorso, e così, nonostante i suoi ottantaquattro anni e la sedia a rotelle su cui è costretta a vivere, metterà in piedi un sistema di mutuo soccorso generoso e commovente, che vedrà l’intero complesso residenziale in cui vive, un casermone di cemento a canoni agevolati che lei ha ribattezzato “Il Mostro”, mobilitarsi per onorare la causa.
La stesura di “Non è mai troppo tardi” è stata, per me, motivo di grande passione e divertimento: spero che lo stesso possa succedere ai lettori.

Storie di crimini contro gli animali e di persone che li combattono

Quando ho iniziato a occuparmi di animali erano davvero altri tempi: solo oggi, dopo più di quarant’anni, mi rendo conto di aver trascorso tutta la mia vita adulta in attività legate alla loro difesa. Spinto già da giovane dall’impulso di difendere chi aveva meno diritti, dei più fragili e degli indifesi. Così in un lontano gennaio del 1976 varcai, per la prima volta, la porta della sede dell’ENPA di Milano per fare volontariato. Ancora non sapevo, ovviamente, che avrei percorso tutta la scala gerarchica dell’associazione sino a diventare, nel 1988 il presidente e poi anche il responsabile del Nucleo delle Guardie Zoofile ENPA. Un’attività di volontariato certo, ma che ha impegnato la mia vita quanto un secondo lavoro, portandomi a sacrificare scelte lavorative e tempo libero. Anni in cui occuparsi di animali era considerata una sorta di stravaganza, e in cui gli unici davvero meritevoli di avere una tutela sembravano essere solo cani e gatti. Tutti gli altri animali erano considerati in modo differente, come se appartenessero a un’altra categoria. Nei dibattiti sui cani, popolati allora dall’alta borghesia milanese, era normale vedere signore tanto ingioiellate quanto impellicciate. Senza che questo destasse scandalo.

Con il tempo ho capito quanto fosse importante cercare di fare cultura sui diritti degli indifesi, senza preoccuparmi mai se si trattasse di uomini o animali. Mondi che si toccano, molto più di quanto apparentemente possa sembrare, dove sofferenza e solitudine possono essere compagni di viaggio per tanti. Per questo ho ritenuto fosse importante poter raccontare di tempi recenti ma dimenticati, dove nelle case e nei cortili delle trattorie non era così difficile imbattersi in un orso o in un leone. Tenuti per stupire o per farsi pubblicità: animali privati di ogni dignità e di ogni diritto.

Ho iniziato a studiare, a capire come poter coniugare approccio etico e giuridico, cercando di far capire che l’esistenza in vita si chiamasse, in realtà, sopravvivenza e non benessere. Stare bene, in equilibrio con l’ambiente circostante rappresenta, infatti, uno stato completamente diverso dall’assolvimento dei soli bisogni primari. Non è importante il momento della nascita e nemmeno quello della morte, che per quanto violenta e ricca di sofferenze dura un attimo, rispetto al tempo che un essere vivente trascorre da quando apre gli occhi. Per questo bisogna che la vita abbia qualità, dignità e rispetto dei bisogni di ogni specie.

In questo libro, scritto con l’amica Paola D’Amico, giornalista del Corriere della Sera e grande amica, abbiamo cercato di offrire a chi leggerà spunti di riflessione, dati e resoconti di indagini sui crimini contro gli animali. Senza calcare sulla sofferenza, senza esibire il dolore che allontana il lettore e rischia di rendere inutile lo scrivere. Speriamo di esserci riusciti, di poter aver regalato una visione diversa del mondo animale, spesso legato a quello criminale.

Cercando di far comprendere quanto la nostra esistenza sia legata a filo doppio con quella di tutti gli esseri viventi che popolano il pianeta e con l’ambiente che ci ospita. Per evitare sofferenze a uomini e animali, per non ricadere in periodi terribili come questo della pandemia di Covid19, nata per l’irresponsabilità di uomini che hanno operato scelte molto poco sagge, andando così a stuzzicare virus, che ci hanno ricordato la nostra impotenza di fronte all’onnipotenza del mondo naturale.

La trama dei sogni di Emily Pigozzi, un romanzo che si muove al suono di musica

“La trama dei sogni”

 

La musica per me è tutta speciale, senza distinzioni.

Qualcosa che risveglia l’istinto più animale, più primordiale che ci batte dentro.

Così come speciali lo sono tutti i desideri, e le storie d’amore.

La musica è il filo conduttore delle nostre vite, anche quando non ce ne accorgiamo. Ci parla, e in qualche modo parla sempre di noi.

È il ritmo stonato che non ricordi, le parole che ti salgono in bocca e che non perderai mai più, anche se non ti piacciono. Un qualcosa di così piccolo e insieme di così grande.

E questo, tutto questo, si infila ne “La trama dei sogni” e in questa storia che unisce e sul filo delle note e dei desideri un secolo intero.

Per Sebastian la musica è il riscatto, l’essenza stessa della vita. Per lui è un qualcosa di così immenso da averne un timore reverenziale, sacro.

Per Rossana invece è un qualcosa che regala speranza e nostalgia, un urlo liberatorio sotto la doccia, una carezza di qualcuno che se n’è andato troppo presto.

Questo libro è nato, si muove e respira al suono di tanta musica: i meravigliosi valzer della famiglia Strauss amati da Franz e Rosa, che ci riportano a ritmo di danza a tempi antichi, offuscati dalla guerra e dalle convenzioni, dove l’amore era qualcosa di istintivo, forse di semplice.

Ci sono Chopin, Rachmaninoff, le melodie che compone con forza disperata Sebastian, urlando i sentimenti che non ha più il coraggio di esprimere a parole.

E naturalmente la musica pop vintage e italiana che ama Rossana. La musica, come i sogni, è sorprendentemente simile nel cuore di tutti noi. I Pooh, Gianni Morandi, i Ricchi e Poveri. Chi di noi non li ha cantati a squarciagola, almeno una volta?

Proprio come tanti generi musicali, anche noi esseri umani sembriamo così lontani, così diversi. Piccole isole e mondi destinati a non toccarsi mai.

Ma se guardiamo a fondo, sotto le nostre armature, scopriremo di avere sogni, desideri, speranze, così simili gli uni agli altri.

In fondo ci sono sette note soltanto, così piccole, così semplici.

Ma a quante melodie meravigliose possono dare vita?

                                                                                            

Emily Pigozzi

Aurélie Valognes: un successo nato in Italia

Recentemente Le Journal du Dimanche ha raccontato che in Francia «Aurélie Valognes ha illuminato la quarantena dei suoi lettori» grazie al suo ultimo romanzo, pubblicato subito prima del lockdown, «aiutandoli a superare quel periodo angosciante. E lo dimostrano gli oltre 400 messaggi ricevuti dall’autrice su internet nel giro di 8 settimane: ‘Questo romanzo è stato il mio compagno di quarantena, e pensare che non leggevo un libro per intero dai tempi della scuola’ le scrive un lettore. ‘Grazie di averci donato freschezza, gioia e leggerezza in questo momento difficile’ la ringrazia una psicologa. ‘La sua scrittura ci fa stare bene’ aggiunge una donna ricoverata in ospedale. La pandemia avrà anche intralciato la promozione della sua novità, Né sous une bonne étoile, ma Aurélie Valognes, che al termine di tutti libri fornisce il suo indirizzo mail privato, non ha mai interrotto il legame con il suo pubblico. […] A ogni lettore scrive un breve messaggio di speranza, convinta che ‘basti veramente poco perché la ruota giri per il verso giusto’. La prova? La sua stessa storia. Ha creduto di non farcela quando è stata colpita da una pesante depressione dopo la nascita del suo primo figlio; si è ritrovata senza lavoro quando ha dovuto licenziarsi per seguire suo marito in Italia; la morte di una cugina l’ha sconvolta.» Finché, una notte, un sogno le ha ricordato un suo vecchio desiderio di bambina: diventare una scrittrice E si è detta: Ora o mai più.

Dopo aver frequentato un corso di scrittura creativa, ha autopubblicato il suo primo romanzo: un successo immediato da 1 milione di copie. E allora sono arrivati l’interesse degli editori, altri cinque romanzi, le classifiche – dove svetta sempre ai primi posti: «nel 2019, per il terzo anno consecutivo, l’autrice trentasettenne si è classificata tra i cinque romanzieri più letti in Francia» riporta Le Journal du Dimanche.

Mentre sta già lavorando al suo settimo romanzo, arriva in Italia uno dei suoi successi precedenti: Non c’è rosa senza spine (tit. orig.: Minute, papillon), una storia che parla di madri e figli, di seconde chance e dei piccoli, irrinunciabili piaceri della vita. Come le torte al limone e i cappuccini che Aurélie stessa ha gustato in una pasticceria di Milano e che hanno accompagnato la stesura del romanzo. C’è quindi anche un po’ di Italia in questa storia – e nel successo di questa autrice. Del resto, è proprio nel nostro Paese che Aurélie ha rispolverato il suo sogno di bambina e ha iniziato finalmente a scrivere.

Ecco la sua dedica ai lettori italiani: https://www.facebook.com/sperling.kupfer/videos/3041794155934319/

Kira Shell, lettera alle lettrici

Sin da bambina mi sono sempre chiesta che cosa avessi voluto fare da grande.
La risposta ancora non mi è chiara, ma vorrei raccontarvi un piccolo aneddoto che mi accadde a dieci anni e
al quale ho potuto dare un senso soltanto in età adulta.
Ricordo che la mia insegnante di italiano mi diceva spesso che i temi che scrivevo erano lunghissimi, che a
scuola ero molto taciturna ma che attraverso la scrittura aveva compreso la mia capacità di esternare tutto il
mondo che avevo dentro, come se la penna fosse l’unica amica della quale mi fidassi.
Un giorno, ebbe un’idea meravigliosa: ideò una scatola magica con la quale stabilire una corrispondenza
epistolare con i suoi alunni. La posò su un vecchio banco, accanto alla sua cattedra, e ci spiegò che
comunicare con delle lettere potesse servirci per confidarle qualsiasi cosa.
Io gliene scrissi una, la ripiegai più volte su se stessa e timidamente la infilai nella scatola magica, poi attesi
la sua risposta.
Trascorse circa una settimana.
Una mattina, particolarmente uggiosa, la mia insegnante entrò in classe, mi guardò e con un sorriso raggiante
mi disse che c’era una lettera per me.
Sono sempre stata molto riservata, pertanto la presi ma decisi di non leggerla in presenza dei miei compagni,
bensì a casa, nella mia cameretta, in totale solitudine.
Quando la aprii notai che al suo interno vi erano delle foglie secche: due rosse e una verde, emanavano un
delizioso profumo di fiori. Lasciai scorrere gli occhi sulla calligrafia elegante e ordinata della mia insegnante
e una frase, in particolare, catturò la mia attenzione: “Lo studio apre nuovi orizzonti. Da grande ti immagino
come una dottoressa, un avvocato o forse una scrittrice. Ho compreso che nei tuoi occhi spesso rattristati c’è
un intero mondo. Lascialo emergere, è meraviglioso”.
La ignorai, con un sorrisetto di scherno.
Nel 2015, a poco più di vent’anni, sentii l’esigenza di dar voce a tutte le emozioni che avevo dentro, di
smetterla di imprigionare i miei pensieri in poesie brevi e di tuffarmi nella stesura di un vero e proprio
romanzo. Così nacque Kiss me like you love me, una storia nella quale decisi di metterci tutta me stessa.
Timorosa e incerta che non potesse piacere a nessuno, nel 2017, la pubblicai su Wattpad. Avevo solo dieci
lettori al primo capitolo, poi venti al secondo, cinquanta al terzo… decisi di non mollare.
«Che importa che a leggerla ci siano pochi lettori?» Mi dicevo. Io volevo soddisfare quei pochi lettori,
perché ognuno di loro mi stava concedendo il proprio tempo, pertanto meritavano il mio rispetto.
Pochi mesi dopo, come una vera esplosione inaspettata, la mia storia riuscì a entrare nel cuore di più persone,
a emozionare, a catturare, a coinvolgere…e allora compresi che non avrei mai più permesso alla paura di
ostacolarmi.
Nel 2019 decisi di affidare Kiss me like you love me alla casa editrice Sperling & Kupfer, per dare
l’opportunità a più lettori di conoscere la storia di Selene e Neil e di analizzare, con me, una tematica molto
forte e importante.

Ma sapete qual è davvero la cosa sorprendente?
Nel 2020, ho ritrovato quei “pochi” lettori che per primi hanno amato la mia storia.
Li ho ritrovati, tutti, e a loro se ne sono aggiunti molti altri che hanno assorbito, compreso, adorato e
ammirato la storia folle dei miei due incasinati protagonisti.
In questo lungo percorso di stesura e pubblicazione ho compreso che i miei lettori sono l’insieme di tante
mani che da anni tengono stretta la mia, che da anni ricambiano il mio stesso “rispetto” e mi concedono
ancora il loro “tempo”.
Ho compreso che una storia ti entra dentro quando è vera, non importa se è un po’ imperfetta.
Oggi, in un diario segreto, conservo ancora quella lettera della quale vi ho parlato.
La rileggo, e penso che la mia insegnante avesse capito ogni cosa.
Ricordatevi che il cuore conosce già tutte le risposte e che quasi sempre vi suggerisce la strada giusta.
Dobbiamo soltanto ascoltarlo.
Io l’ho fatto e, oggi, stringo tra le braccia i miei quattro romanzi.
Spero che questo sia il preludio di nuove avventure e che i lettori continuino a essere i miei meravigliosi
compagni di viaggio.

Sempre vostra
Kira Shell

Paolo Bontempo e Gianluca Dario Rota raccontano Giugno

La storia di Giugno ha origine molto tempo fa, nel 2017. Facevamo la Civica Scuola di Cinema insieme. Era estate, le lezioni erano finite. Ma noi continuavamo a vederci lo stesso, senza motivo. Poi un motivo è arrivato, ed era la storia di un ragazzino che finisce all’oratorio controvoglia. Quel ragazzino era Domenico, e quella storia era Giugno.

All’inizio l’idea era di scrivere un film. Il problema è che scrivere la sceneggiatura di un film intero è un lavoro complesso e lungo. Un po’ una follia. Dopo soltanto 6 pagine di word, poteva finire lì. Invece abbiamo passato tutta l’estate a raccontare l’avventura di Domenico ai nostri amici. E una cosa abbiamo capito in quei mesi: Giugno era una storia in cui valeva la pena credere.

Poi al terzo anno della Scuola di Cinema abbiamo incontrato Andrea e Stefano. Con loro, e con l’aiuto di una nostra prof. dell’epoca, Beba Slijepcevic, la follia è diventata realtà. Il loro ingresso nel team è stato necessario, e oggi Giugno non sarebbe lo stesso senza di loro.

Ed è proprio il concetto di collaborazione che sta alla base di CRIU, il nostro collettivo, che si stava creando in quei mesi. Scrivere insieme ad altre persone non è solo una necessità pratica, ma arricchisce il tuo lavoro, il tuo mondo, la tua idea e soprattutto la tua persona.

Finita la scuola, è nato ufficialmente CRIU. Siamo nove autori, siamo nove amici, e ci troviamo ancora per partorire nuove idee. Di solito sviluppiamo progetti destinati a cinema e televisione, ma quello che ci interessa è raccontare storie in qualsiasi forma.
Per questo siamo felicissimi che Giugno abbia trovato una strada inaspettata, diventando un romanzo dopo una serie di incontri e coincidenze particolari.

Quindi, il romanzo lo abbiamo scritto noi, ma il lavoro che c’è dietro è frutto di tutto ciò che è CRIU. Speriamo sia un primo passo verso nuove direzioni. E nuovi incontri.

 

Marco Onnembo racconta La prigione di carta

Come cambierebbe la nostra vita se la scrittura non esistesse più?

“La Prigione di Carta” è uno e mille romanzi, scritto di getto, come a dare libero sfogo a tanti pensieri sedimentati. È un romanzo sull’Amore, un romanzo sull’amicizia e le sue fragilità, sul rapporto, labile e illusorio, che gli uomini costruiscono con ciò che credono reale. È un romanzo sulla speranza che riappare anche quando sembra affievolirsi fino a scomparire.

Ma, soprattutto, è il racconto di un uomo che si oppone a una legge ingiusta.

Malcom King, all’interno di uno scenario distopico in cui il digitale ha soppiantato i libri di carta e la scrittura a mano assume i contorni dell’eroe romantico e idealista.

Dando vita a un movimento di protesta civile contro la messa al bando della scrittura e dei testi cartacei, diviene figura archetipica degli uomini e delle donne che si oppongono a un sistema che annulla il dissenso. Il non-luogo ed il non-tempo che caratterizzano “La Prigione di Carta” diventano materia liquida, possibili scenari di ogni ambientazione e realistiche degenerazioni di un Potere non controllato.

Caro lettore, se desideri restare aggiornato sulle novità editoriali e le iniziative di Sperling & Kupfer iscriviti alla nostra newsletter: è semplice e gratuita.
Iscriviti alla newsletter