Alessandro Portelli ricorda Toni Morrison
Era il 2006 e successe una cosa sorprendente: Toni Morrison accettò di venire in Abruzzo per accettare il Premio Penne, che veniva assegnato ogni anno a un vincitore di premio Nobel. Non so come fecero a convincerla, ma venne. Il rituale del premio precedeva che l’opera del vincitore fosse discussa e presentata da critici di cinque continenti (per l’Europa c’ero io, per l’Africa venne Cristina Ali Farah, non mi ricordo chi venne dall’Australia) e che una delle sue opere fosse rappresentata in forma teatrale dagli studenti del liceo locale.
Toni Morrison era straniata e un po’ sospettosa. Non capiva bene dove si trovava, arrivava da Parigi e il contesto semirurale di Penne era molto diverso dalla realtà cosmopolita a cui era abituata (ma dalla finestra dell’hotel, dotato di diverse stelle in meno di quelli in cui la ospitavano altrove, si vedeva il Gran Sasso). Quando Laura Montanari (allora mia studentessa, e promettente musicista, le fece ascoltare come aveva musicato un brano di Beloved, battè le mani ma si preoccupò di chiederle se aveva chiesto i diritti. Non credo che Laura abbia mai più eseguito quella canzone). Ma complessivamente era curiosa, ascoltava gli interventi, ed era disponibilissima con i ragazzi delle scuole. Devo avere ancora qualcuna di quelle foto con lei sorridente e loro che la circondano affettuosi.
Il momento più emozionante venne la sera in cui i ragazzi del liceo presentarono con l’aiuto di un regista di cui non riesco a ricordare il nome – la loro versione teatrale di Jazz – sicuramente non il più facile da mettere in scena dei romanzi di Toni Morrison. Lo fecero partendo dalla musica, ed ebbero l’intelligenza di usare musica in cui si riconoscevano direttamente: fu allora che scoprii Vinicio Capossela. E partirono da una cosa che sapevano fare benissimo: ballare. Jazz diventò un balletto scenico senza parole su seduzione e morte, alleggerito dalla grazia dei ragazzi e reso intenso dal linguaggio dei loro corpi. Alla fine, Toni Morrison si alzò in piedi e disse: chiunque ha fatto una cosa del genere è un genio.
Io avrei voluto portare quei ragazzi a Roma. Ma il Teatro Ateneo non aveva soldi e non ci riuscimmo. Me ne è rimasto il rimpianto per un lavoro di valore che ha vissuto una sola sera; ma mi è rimasta anche l’emozione di vedere Toni Morrison sciogliere infine dubbi e disorientamenti e sentirsi a casa davanti a un gesto artistico creativo dove riconosceva il senso profondo del suo libro.