Christian Pastore racconta Respiro di Ted Chiang
Ted Chiang è ormai un autore di fantascienza citato, discusso e persino letto da una schiera di estimatori talmente folta da trascendere quella già ampia degli appassionati del genere. Potrebbe non essere la prima volta, non mi sono informato accuratamente a riguardo, ma non avevo mai sentito menzionare a un ex-presidente degli Stati Uniti un autore di fantascienza fra le sue letture favorite. Si tratta, va detto, di un ex-presidente non solo di sane letture ma ben diverso da quello in carica, che se mai approcciasse Chiang, temo, troverebbe il suo pensiero sospettosamente articolato e troppo universale. Certo, non sempre la fama di un autore è indicatrice della buona qualità della sua opera, per non parlare della sua originalità, ma Chiang pare aver incontrato una fama sempre maggiore nella maniera più rispettabile, vale a dire senza rincorrerla, racconto dopo racconto e meritoriamente, proprio grazie a pagine colme di straniante unicità, a una prosa sulle prime fredda eppure seducente, e a contenuti che al lettore non rispondono, domandano. Fatta questa premessa, mi risulta difficile commentare uno in particolare dei suoi ultimi racconti come sono stato invitato a fare; è già stato detto molto a proposito di ognuno, quindi senza pretendere di dire nulla d’inedito mi affiderò più o meno al caso, anche se nel racconto in questione il caso non esiste. Qualche tempo fa stavo guardando una serie televisiva che fra i numerosi pregi ha quello di essere composta da pochi episodi, Devs di Alex Garland, e per via delle tematiche trattate non ho potuto non ripensare a un racconto di Chiang, Cosa ci si aspetta da noi. Si tratta di un racconto brevissimo, che al principio potrebbe non spiccare fra narrazioni più articolate come Omphalos, L’angoscia è la vertigine della libertà o Il ciclo di vita degli oggetti-software, o potrebbe risultare meno ammaliante de Il mercante e il portale dell’alchimista, che pure affronta il tema del determinismo e del libero arbitrio. Fra i vari racconti Cosa ci si aspetta da noi è anche quello che, per via della sua concisione, meno si presta a un adattamento cinematografico, ma questo non lo rende meno interessante e a mio giudizio è uno dei più inquietanti che Chiang abbia scritto. Il testo, quattro pagine scarse, non è altro che un messaggio d’allarme lanciato al presente da un futuro prossimo in cui il genere umano si sta estinguendo. L’estinzione incombente non è stata causata da una catastrofe nucleare, climatica o da un’epidemia zombie, bensì, in sintesi, da una forte depressione planetaria che trae origine dalla risoluzione di un dilemma filosofico: l’uomo è artefice del proprio destino o è una marionetta in balia di un destino già scritto? Se ne L’angoscia è la vertigine della libertà Chiang esplora la teoria quantistica dei molti mondi e dota i suoi personaggi di innumerevoli vite possibili, qui come ne Il mercante e il portale dell’alchimista il destino che spetta a chiunque sembra decisamente essere uno solo. Nel racconto ambientato nell’antica Baghdad, tuttavia, il destino di ciascuno è ordito da un dio onnipotente e giusto, dunque nel bene e nel male più facilmente accettabile dai personaggi, mentre in Cosa ci si aspetta da noi di divinità non c’è traccia, non esistono vie del Signore infinite a cui affidarsi o appellarsi. Beffa delle beffe, a svelare in via definitiva all’umanità che il libero arbitrio non esiste non è un grande pensatore o un profeta, bensì uno stupido aggeggio commercializzato come passatempo, una scatoletta simile al telecomando per aprire le portiere di un’automobile, su cui sono presenti solo un pulsante e un led luminoso. Non approfondisco oltre per non guastare la lettura a chi ancora deve leggerlo, aggiungo però che è un raccontino solo nelle dimensioni, in grado di generare un intero romanzo nella mente del lettore, forse, molte riflessioni senz’altro.