Stephen King con la febbre alta…
Recensione de “I CUSTODI DI SLADE HOUSE” di Devid Mitchell, pubblicata a ottobre 2015 sul Guardian.
Stephen King con la febbre alta di Liz Jensen
Ne “I custodi di Slade House” ritroviamo tutti i grandi temi della narrativa di Mitchell , con una robusta dose di ironia beffarda e orrorifica.
“Stasera sembra un gioco da tavolo progettato da un M.C. Escher alcolizzato, insieme a Stephen King con la febbre alta”, osserva una spaventatissima adolescente, affiliata a una società universitaria di appassionati del paranormale, nel nuovo, ossessivamente ingegnoso romanzo di David Mitchell, “I custodi di Slade House”. Un passaggio, questo, che dà perfettamente la misura della “dimensione Halloween” in cui Mitchell ha voluto calare il suo ultimo lavoro, ma “I custodi di Slade House” è anche molto altro.
Ogni nuovo risultato della prorompente immaginazione di Mitchell funziona come cassa di risonanza sia per le sue idee del passato sia per le opere che verranno, tutti i pezzi che finiranno per incastrarsi in quello che lui chiama il suo “uber-novel”.
E mentre vengono scritte tesi di dottorato sull’intertestualità di Mitchell, corredate di diagrammi di Venn, i lettori che hanno già potuto apprezzare le sue precedenti opere multi-narrative, come “Nove gradi di libertà”, “Cloud Atlas” e “Le ore invisibili” sappiano che non saranno per forza costretti a stare solo sul treno dei fantasmi, ma che potranno godersi ”I custodi di Slade House” in tutte le sue molteplici sfaccettature. Se vogliamo individuare la missione principale di questo riuscitissimo romanzo, esilarante e terrorizzante, da leggere d’un fiato, è quella di divertire se stesso. Pensate alla sorella dispettosa de “Le ore invisibili” con una parrucca spaventosa in testa, un fuoco d’artificio in mano, che urla “Bù!”, e avrete fatto luce su uno degli elementi del talento di Mitchell più significativi, presente dall’inizio del suo apprezzatissimo lavoro, ma sempre sottovalutato: uno strepitoso senso della commedia. È passato poco più di un anno dall’uscita de “Le ore invisibili”. E il fatto che “I custodi di Slade House” abbia avuto origine da un racconto pubblicato a puntate su twitter, poi sbocciato così rapidamente in un’opera di quasi trecento pagine, è la dimostrazione che il tempo vola, quando ti trovi a tuo agio nel paese delle meraviglie della creatività. In fondo alla buca del coniglio di Mitchell, si è ampliata a dismisura la parte sovrannaturale della tana.
La guerra tra spiriti buoni e malvagi che si dispiega ne “Le ore invisibili” era probabilmente la parte meno efficace del romanzo, ma i fantasmi sono comunque sempre stati presenti nell’officina narrativa di Mitchell. Ora, come se avesse applicato un nuovo ritornello a una vecchia canzone, lo scrittore parodizza i suoi fantasmi. Patti faustiani, mutaforme, psicovoltaggi, furti di anime, bolle di realtà, destrutturatori, e personaggi che dicono cose come “Dottoressa, se fossi in lei lascerei perdere la fisica delle particelle”: tutti elementi allegramente presenti alla grande festa di Slade House, durante la quale esasperano la loro dimensione metaforica, e fischiettano beffardi.
Mentre il tempo divide le cinque storie di cui è composto il romanzo, ambientate a intervalli regolari di nove anni a partire dal 1979 fino ad oggi, il luogo le unisce. Slade House, alla quale si può accedere solo tramite una piccola porta di ferro nero, situata in un vicolo strettissimo, in cui i due gemelli vampirizzatori di anime, Norah e Jonah Grayer attirano le loro vittime. E le vittime sono personaggi ritratti con grande abilità, personaggi ai quali ci affezioniamo nostro malgrado, perché percepiamo il pericolo cui vanno incontro, e non sappiamo se riusciranno ad uscire dal luogo in cui sono così innocentemente entrati.
“Il nostro caposcout, durante un’uscita mi ha detto di andare a farmi un giro, e io così ho fatto, e al servizio di salvataggio del monte Snowdonia ci sono voluti due giorni per trovare il rifugio dove mi ero messo” racconta il tredicenne Nathan Bishop, chiaramente affetto da autismo. Lui e la madre sono stati invitati a una serata musicale a Slade House, e presto Nathan comincia a chiedersi se è il valium che ha preso, la causa delle allucinazioni in cui è precipitato, o se sta accadendo qualcosa di più preoccupante. Avanti veloci fino al 1988, quando un poliziotto brutale e razzista, incaricato di scoprire qualcosa sulla misteriosa scomparsa dei Bishop di nove anni prima, incappa in una giovane vedova. Nove anni più tardi, saranno gli studenti universitari affiliati a una società paranormale ad infilarsi sconsideratamente nella trappola. E nel 2006, la sorella di uno di loro subirà la stessa sorte.
E mentre la storia arriva ai giorni nostri, e il romanzo raggiunge il suo apice (con la ricomparsa di un personaggio chiave dell’opera mitchelliana del passato), ombre molto familiari si muovono sulle pareti: “Harry Potter”, “Il giardino di mezzanotte”, “Matrix”, “I ragazzi terribili”, “La caduta della casa degli Usher”, “Giro di vite” e il “Rocky Horror Picture Show”. Per parafrasare una delle riflessioni di Nathan Bishop: “se mi avessero dato cinquanta pence per ogni citazione, allusione, metariferimento trovato nel romanzo, avrei bisogno di una calcolatrice nuova.”
“Quando ci si imbatte in qualcosa di banale e abusato, ecco come fare a rivitalizzarlo: bisogna trovare un opposto assolutamente improbabile, e poi mescolare tutto”, ha detto una volta Mitchell alla “Paris Review”. Distributori automatici di metafore horror, caratteri straordinariamente credibili, carnevalate selvagge, disagi esistenziali, scherzi metafisici: finisce tutto nel pentolone di Mitchell, che in questa cucina si muove benissimo.
Esattamente come l’industria cinematografica, anche Mitchell ha capito che spaventare la gente facendola sorridere è una cosa che funziona. L’horror permette di dire ad alta voce quello su cui le religioni preferiscono glissare: se si crede all’esistenza del bene ultraterreno, diventa difficile non considerare l’esistenza del male ultraterreno. E accompagnare la paura con l’ironia è il modo migliore per rendere sopportabile quello che sarebbe insopportabile. E così, mentre scendiamo nell’oscurità, la lampada-zucca di Mitchell ci sorride di un sorriso largo, e un po’ matto.
- Liz Jensen è autrice del romanzo “L’imprevisto”, pubblicato da Time Crime
I CUSTODI DI SLADE HOUSE sarà in libreria dal 6 settembre 2016
DAVID MITCHELL sarà ospite al Festivaletteratura di Mantova sabato 10 settembre alle ore 10:30 >>leggi