I gatti di Venezia
Se esiste una città a misura di gatto, quella è Venezia. E lo è storicamente, da diversi secoli, un po’ per necessità e un po’ per simpatia. Perché i gatti hanno sempre aiutato i veneziani a combattere i topi e perché il loro carattere, fiero e indipendente, affezionato alle consuetudini e poco incline ai cambiamenti improvvisi, assomiglia in fondo a quello della città. Fino a tempi non troppo lontani esistevano vere e proprie comunità di gatti, che vivevano liberi nei campi e nelle calli, al punto da costituire un tratto caratteristico del paesaggio urbano. Ma anche oggi, pur essendo ridotti nel numero, rimangono sempre una parte integrante dell’anima di Venezia.
Ne ho conosciuti di tutti i tipi, dai caratteri più diversi. Il soriano dal nome sconosciuto, che per qualche misteriosa ragione affrontava quasi ogni giorno un incredibile viaggio col vaporetto, sfidando la paura dell’acqua e la folla nelle ore di punta. Cuba, il gattone bianco e nero che veniva a raspare alla mia finestra e che poi, una volta saltato dentro, restava a farmi compagnia mentre scrivevo fino a tarda sera. Il Rosso di San Martino, che aveva scelto una vecchia barca di legno per andare a poltrire nelle giornate di sole, convinto che lì nessuno lo avrebbe mai disturbato. Damasco, il gatto guardiano del faro, che se ne stava seduto a guardare le navi passare vicino alla riva, affascinato da quei giganti di ferro, alti come palazzi. E che dire dei gatti che vivono liberi nelle isole della laguna? O di quelli ospitati nei chiostri dell’ospedale – forse un caso unico al mondo – accuditi amorevolmente da un’anziana mama dei gati?
Seguendo i suoi gatti, possiamo addentrarci in una Venezia nascosta, lontana dai grandi flussi turistici, dove si può ancora respirare un’atmosfera popolare e scoprire l’anima vera della città.