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Lo sapevate che spesso a finire inquisiti dal Sant’Uffizio erano… gli inquisitori stessi? E che sono esistiti inquisitori che si sono tassati personalmente per curare e risarcire gli eretici pentiti all’ultimo minuto?
La storia dell’Inquisizione è molto più lunga e complicata di quello che ci viene mostrato nei film, e non fu nemmeno un fenomeno limitato al Medioevo. Si potrebbe dire, anzi, che l’Inquisizione visse il suo periodo più “luminoso” (o oscuro, a seconda dei punti di vista) proprio nella cosiddetta Età Moderna.


Gerard ter Borch (II), “Il supplizio della corda”, 1633-1635 Fonte: Rijksmuseum di Amsterdam, http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.431172

La leggenda nera di un’Inquisizione fatta di frati sadici che seviziavano in modo orrendo eretici e streghe in realtà è figlia di due epoche diversissime fra loro ma accomunate dalla condanna dell’oscurantismo: l’Illuminismo e il Romanticismo. Il fenomeno storico dell’Inquisizione, o meglio, delle Inquisizioni al plurale (medievale, spagnola e romana), è molto più complesso e variegato di quanto s’immagini… e la sua storia non è ancora finita. Pochi infatti sanno che il Sant’Uffizio non ha mai smesso di esistere nella Chiesa Cattolica, ma ha solo cambiato nome. Oggi è la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Ah, ed è un fenomeno esclusivamente cristiano. Gli ebrei e i musulmani non potevano venir indagati dal Sant’Uffizio, perché non potevano essere “eretici”, non essendo mai stati cristiani, salvo il caso dei convertiti e dei finti convertiti. E a Venezia ce n’erano parecchi… ma questo discorso ci porterebbe lontano.
Ma allora che cos’è l’Inquisizione? Per quale scopo sorse? E perché è così difficile darne una definizione?
La risposta alla prima domanda getta luce anche sulle altre. Prima dell’Inquisizione nacquero gli inquisitori e la procedura inquisitoria. Cioè un’indagine segreta e attiva volta a scoprire e combattere l’eretica pravità. In pratica, tutte le deviazioni dall’ortodossia cattolica. E fin qui, in realtà, non c’è niente di nuovo. La Chiesa reprimeva da sempre le eresie, cioè le deviazioni dall’ortodossia stabilita dai concili ecumenici, e lo faceva tramite i vescovi e i loro tribunali.
Intorno al XIII secolo, tuttavia, all’epoca della crociata contro gli Albigesi e del conflitto istituzionale tra l’imperatore Federico II e papa Gregorio IX, si rese sempre più necessario da parte di quest’ultimo ribadire la supremazia della Chiesa in materia di fede, davanti all’imperatore che voleva arrogare a sé la prerogativa di giudicare chi fosse o non fosse eretico. Gregorio IX e il suo successore, Innocenzo III, furono quindi spinti a istituire dei giudizi speciali, gli inquisitores, con lettere d’incarico che li mettevano al di sopra di ogni altro tribunale, almeno per quanto concerneva la lotta contro l’eresia. Questi mandati furono affidati innanzitutto ai neonati frati domenicani (1235) e poi anche ai frati minori francescani (1246).
Restava tuttavia inalterato il potere dei vescovi, che potevano far ricercare, indagare e condannare gli eretici in autonomia. Questo fatto creò molti problemi. Per esempio, se erano in disaccordo, a chi spettava giudicare se una persona fosse o meno eretica? Al vescovo o all’inquisitore? La risposta non era affatto ovvia, e si rese necessaria la creazione di un ente centrale che tenesse traccia di tutti i procedimenti inquisitoriali. Fu così che a Roma nacque il Sant’Uffizio vero e proprio (1542).
Un caso di conflitto di giurisdizione riguarda proprio la storia che narro in Engaged. Nel 1618, don Giuseppe Ripamonti venne accusato di eresia, sodomia (leggi: omosessualità) e negligenza dal tribunale del suo protettore, l’arcivescovo di Milano e cardinale Federico Borromeo. Il Ripamonti, tuttavia, si appellò a Roma e il procedimento si trascinò per quattro anni finché, stremato, preferì confessare alcune delle colpe minori (escludendo quelle di eresia e omosessualità) pur di non dover passare il resto della vita chiuso in carcere, fra continui ricorsi, nel disperato tentativo di provare la propria innocenza.
Ad arrestarlo era stato un certo Fischillario, o Fiscillario. Non un inquisitore. E allora chi poteva essere? Si trattava probabilmente di un “patentato” dell’Inquisizione. Sì, perché nei secoli la macchina del tribunale inquisitorio si era fatta più variegata e complessa e comprendeva ormai vari ruoli: economi, notai, carcerieri e… uomini armati. E come i primi inquisitori avevano avuto un incarico dal papa, così ora gli inquisitori stessi davano mandato, o “patente” di agire a nome loro a degli sgherri armati incaricati, per così dire, di fare il “lavoro sporco”: indagini in incognito, agguati, arresti, perquisizioni e confische.
Allo stesso tempo, si era anche raffinato il sistema di carcerazione, la trascrizione degli interrogatori, e la codifica di come e quando si poteva procedere all’esame rigoroso, cioè, alla tortura. E niente di particolarmente elaborato. il tormento consisteva quasi esclusivamente nei “tratti di corda”, cioè nell’essere sospesi da terra con le braccia dietro la schiena ed essere lasciati cadere e strattonati, in modo da slogare i muscoli e i tendini, con dolori atroci.
Se vi sembra un sistema barbaro e diverso da quello del nostro mondo “civilizzato”, ricordate che non sono passati molti anni da Guantanamo e dai tormenti preventivi agli arrestati sospettati di essere terroristi, e che in molte carceri nel mondo è vietato l’accesso alle organizzazioni mediche e umanitarie. Dite quello che volete contro l’Inquisizione romana (quella spagnola, obiettivamente, era un po’ peggio), ma i detenuti del Sant’Uffizio avevano diritto a un avvocato difensore, a vitto e alloggio (anche se erano tenuti a pagarlo loro stessi) e anche alle visite mediche. Inoltre, godevano del conforto di varie istituzioni benefiche, che raccoglievano donazioni per i carcerati meno abbienti, e avevano anche diritto all’assistenza nel momento in cui fossero stati condannati alla pena capitale. In tal caso, entrava in azione un’apposita confraternita laica, spesso chiamata di San Giovanni “Decollato” (cioè, Decapitato, non partito in volo!), che pagava a proprie spese anche il conforto morale del prigioniero.
Altre confraternite avevano compiti di sorveglianza, di scorta o paramilitari, come quelle dei Crocesignati di San Pietro Martire, che affiancavano o in alcuni casi si sovrapponevano ai “patentati” e ai “famigli” degli inquisitori.
Quanto alle condanne, non sempre erano cruente. Al primo giro, se si pentiva, l’eretico poteva anche solo ricevere una multa e una penitenza. Spesso quest’ultima consisteva nell’indossare un abito con cucita sopra la croce da penitente e stare in ginocchio fuori di chiesa la domenica per qualche settimana di fila.
Le condanne a morte erano invece riservate agli eretici relapsi, cioè ricaduti nell’errore, oppure impenitenti, che si ostinavano cioè a non riconoscere il proprio errore.
Engaged si apre con la scena di Giordano Bruno bruciato vivo sul rogo per eresia, ma il suo fu un caso eccezionale. Molto spesso i condannati venivano strangolati prima che i loro cadaveri venissero dati alle fiamme. Condanne in ogni caso eseguite sempre e solo dalle autorità civili, e mai dalla Chiesa, che con magistrale ipocrisia si mascherava dietro il motto Ecclesia abhorret da sanguine (la Chiesa ha orrore del sangue) e dietro una preghiera ai governatori di aver misericordia del condannato. Nel caso di Bruno, per esempio, la sentenza recitava così: “ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilazione di membro”.
Fra parentesi, il prelato governatore di Roma all’epoca era il milanese Ferrante Taverna, e un altro illustre ambrosiano che si trovava nella Città Eterna era il cardinal Federico Borromeo, in esilio da Milano per dissidenze con il governo spagnolo. Le loro divergenze si appianarono anche grazie alla loro convergenza in tema di caccia alle streghe e agli stregoni… ma questa è un’altra storia.
Il caso di Giordano Bruno è emblematico per capire quanto fosse complicata la situazione inquisitoriale all’epoca. Domenicani, gesuiti, francescani, appelli al papa, finti pentimenti, delatori, lettere segrete… c’è tutto. Tranne lo spazio per parlarne ampiamente in questa sede.
Vorrei concludere invece con un caso curioso che ho scoperto per caso mentre mi documentavo per il romanzo. Nel 1628, un libraio di Venezia specializzato nella vendita di libri proibiti, tale Salvatore Negri, vendette un anello magico a un orefice con il vizio del gioco. Il potere dell’anello era fuori di dubbio perché… be’, perché era stato incantato da un inquisitore! Nello specifico, un francescano chiamato fra’ Bonaventura Perinetti da Piacenza, ex Vicario dell’Inquisizione di Padova. Il francescano, affermava il libraio, aveva intrappolato nell’anello uno spirito demoniaco chiamato “Gabba”. L’orefice, tuttavia, continuò a perdere al gioco e, sentendosi gabbato, denunciò la vicenda all’inquisitore di Venezia, il domenicano padre Girolamo Zappetti da Quinzano. Credete che il Sant’Uffizio procedette contro fra’ Bonaventura? Ma nemmeno per sogno! Anzi, lo troviamo poco dopo come inquisitore di Belluno.
L’Inquisizione, ormai, era diventata una macchina burocratica immensa e, come spesso accade, sembrava più interessata a difendere se stessa e la propria reputazione dagli attacchi esterni che preoccupata di fare luce sulla verità. E in fondo, si trattava forse di materia per un processo inquisitoriale? La stregoneria era stata già da tempo equiparata all’eresia, certo, ma il francescano, in fondo, aveva solo tolto di mezzo un demone confinandolo in un anello. Cosa che nessuno, al tempo, dubitava che fosse davvero possibile.

Per approfondire:
Mario Niccoli, “Enciclopedia Italiana”, 1933, voce sull’Inquisizione, https://www.treccani.it/enciclopedia/inquisizione_%28EnciclopediaItaliana%29/
Riccardo Calimani, “L’inquisizione a Venezia”, 2003
Federico Barbierato, “La rovina di Venetia in materia de’ libri prohibiti. Il libraio Salvatore de’ Negri e l’Inquisizione veneziana (1628-1661)”, 2007
Gianvittorio Signorotto, Claudia Di Filippo Bareggi, “L’inquisizione in età moderna e il caso milanese”, 2009
Vaticano, Congregazione per la Dottrina della Fede, 2015, https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/storia/documents/rc_c on_cfaith_storia_20150319_promuovere-custodirefede_it.html#LA_CONGREGAZIONE
Edgardo Franzosini, “Sotto il nome del Cardinale”, 2013
Stefano Dei Rossi, “Uno strano inquisitore da inquisire… a Venezia nel 1629”, Una curiosità veneziana per volta n. 119, 2016, http://stedrs.blogspot.com/2016/09/uno-strano-inquisitore-da-inquisire.html
Germano Maifreda, “Io dirò la verità. Il processo a Giordano Bruno”, 2018
Dennj Solera, “Sotto l’ombra della patente del Santo Officio. I familiares dell’Inquisizione romana tra XVI e XVII secolo”, 2020
Dennj Solera, “La società dell’Inquisizione. Uomini, tribunali e pratiche del Sant’Uffizio romano”, 2021

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