Intervista a Owen King – The Guardian
«È piuttosto violento»: Owen King parla della collaborazione con il padre Stephen King e del loro scandaloso e apocalittico nuovo romanzo.
Quando a Owen King, autore di commedie leggere, venne un’idea inquietante, sapeva già a chi rivolgersi. Ma Sleeping Beauties non è un horror, insiste lui, e infatti non ci sono né spiriti né clown terrificanti.
6 dicembre 2017
[Fonte: The Guardian
in foto: Owen King. Photograph: Sarah Lee for the Guardian]
Due anni fa, uno scrittore di nome Owen King ebbe «un guizzo» d’idea per un libro: «E se un giorno tutte le donne del mondo non si svegliassero?» Lo spunto gli piaceva, ma non era adatto al genere di romanzi che scriveva di solito. I suoi libri, per quanto apprezzati dalla critica, non hanno mai esattamente scalato le classifiche. Fortunatamente, suo padre – un certo Stephen King – si può dire esperto di horror post apocalittici. «Mi sono detto: “Sarebbe una situazione spaventosa. Ne parlo a papà, è un soggetto che potrebbe interessargli.”»
Discutere idee con suo padre era una cosa che non aveva mai fatto prima. «A mio padre arrivano di continuo idee stupide», dice Owen, seduto nell’ufficio londinese del suo editore. «Persino quando va al negozio sotto casa, trova qualcuno che lo apostrofa: “Ho una storia horror proprio per te, Steve. Ho il tuo prossimo romanzo horror qui in tasca.” E però l’idea gli è piaciuta e io gli ho proposto di scriverci un libro». All’inizio Stephen ha detto di no, ma Owen non si sentiva in grado di scriverlo da solo. Perciò hanno unito le forze.
Con ben due King in copertina, ne è uscito Sleeping Beauties: il virus Aurora spedisce le donne nel mondo dei sogni. Se si svegliano, diventano violente. Mentre gli uomini cercano di gestire un mondo senza donne – e le poche ancora sveglie cercano di resistere al virus – i King si concentrano sulla piccola città di Dooling, in West Virginia, dove le inquiline di un carcere femminile, compresa la misteriosa e potente Evie, cadono addormentate.
Nonostante la collaborazione del padre, Owen nutriva qualche dubbio. «Temevo che qualcuno potesse leggere il libro e dire: “Owen ha scritto questo e Stephen quest’altro.” Abbiamo stili diversi – e pensavo che avrebbe avuto un riflesso negativo su di me. I suoi libri hanno venduto milioni di copie e non volevo che la gente pensasse: “Questa parte è grande perché l’ha scritta Stephen e questa parte non è un granché perché l’ha scritta Owen.” Temevo di non ricevere la giusta considerazione.»
Così i King hanno elaborato un piano. Uno dei due avrebbe scritto 25 pagine, lasciando dei buchi per certe scene, quindi l’altro avrebbe potuto riscriverle e integrare le parti mancanti. E così via. «Ci sono punti dove potrei dire chi ha scritto cosa», afferma Owen. «Ma sono pochissimi.» E definisce il romanzo: «Un fantasy più che un horror. È piuttosto violento in certi punti – sparatorie, gente fatta a pezzi che fa una fine tremenda – ma non ci sono spiriti né clown terrificanti.»
Owen scrive da sempre, come pure la madre Tabitha, e ha cominciato a immergersi nel lavoro di suo padre già a nove anni. «I miei genitori avevano una policy: se puoi leggere, scrivi.» Ma non era sicuro che fosse la carriera giusta per lui. «I miei si ritiravano nei rispettivi uffici ogni mattina e andavano avanti a battere a macchina per sette ore. Si sentiva tuonare dietro le porte. Sapevo che erano soli e sembrava la peggior professione possibile. Non ero certo di volere quella vita.»
Anche la moglie di Owen, Kelly Braffet, è scrittrice. «È cresciuta in un paesino fuori Pittsburgh. La gente le diceva: “Sì, brava, ma non è un lavoro da grandi.” Per me non era così, ovviamente.» Crescendo, si è convinto sempre più del percorso che voleva seguire. Ha studiato scrittura creativa, per poi diventare insegnante. Ha pubblicato la raccolta di racconti Siamo tutti nella stessa barca e il romanzo Double Feature. «Erano opere letterarie. Non hanno venduto molto, ma sono contento del risultato.»
Il fratello maggiore di Owen, Joe, è un altro scrittore. Ha scelto di proporre e poi pubblicare il suo lavoro (La scatola a forma di cuore, La vendetta del diavolo, NOS4R2, The Fireman) con il nome Joe Hill. Si è scoperto che è figlio di Stephen quando ha cominciato a fare la sua comparsa a eventi letterari e i fan del fantasy si sono chiesti: «Ma non assomiglia a qualcuno che conosciamo bene?»
Owen ha deciso di non usare uno pseudonimo, ma non si aspettava l’interesse che ha suscitato. «Pensavo che la gente avrebbe dato un’occhiata e detto: “Gli piacciono le storie di famiglia, è tutta un’altra cosa.” Credevo che sarei stato semplicemente sotto radar, ma era un’ingenuità: l’attenzione è stata enorme e l’ho gestita come ho potuto.»
Oggi è più positivo. «Il punto era non deludere nessuno, non volevo che, leggendo una mia storia, si dicesse: “Speravo che ci fosse uno spettro e invece c’è solo gente che fa stupidate.” So che la prima riga del mio necrologio sarà: “Figlio di Stephen King”, e lo accetto. Penso che ormai sia lo stesso anche per Joe.»
Quanto a Stephen, all’inizio di dicembre ha twittato: «Io e i miei due figli siamo insieme nella classifica del NY Times, Sleeping Beauties al quarto posto e Strange Weather di Joe al nono. È fantastico!»
Owen e Stephen non hanno in programma un’altra collaborazione, anche se l’idea giusta potrebbe cambiare le carte in tavola. «Ho 40 anni», dice Owen. «Ho la mia famiglia, vivo lontano da casa dei miei. Di certo è stata un’esperienza speciale, sostanzialmente una lunghissima telefonata con mio padre, durata dieci mesi. Ho trascorso molto tempo con lui, una cosa che non capita spesso nella vita adulta. L’ho apprezzato molto.»