Intervista a Anna Carbone, traduttrice di Crave
Definito da autrici e stampa americana il Twilight di questa generazione, arriva finalmente in Italia Crave, il primo volume della serie paranormal romance di Tracy Wolff.
1) Sei una traduttrice che spesso si cimenta con generi diversi. Spazi da Kiera Cass a Mona Kasten, per esempio. Come hai affrontato un’autrice come la Wolff? E, in generale, come ti approcci al lavoro di traduzione?
Sì, sono generi molto diversi, e anche lingue diverse, perché la Kasten ambienta i suoi romanzi nei college statunitensi, però scrive in tedesco. Per quanto riguarda il mio approccio al lavoro, io sono, nella vita come nel lavoro, un tipo molto ansioso, ho sempre paura di non arrivare in tempo (non vi dico la disperazione dei miei compagni di viaggio, se non mi presento in stazione mezz’ora prima dell’orario del treno, non sono contenta), perciò in genere mi butto a capofitto nella traduzione senza avere letto prima tutto il testo, imponendomi ritmi molto rigidi, un tot di pagine al giorno, per avere il tempo di fare più riletture. Spesso lascio in sospeso qualcosa, nodi da sciogliere, termini per i quali non trovo subito una soluzione efficace, parole chiave per le quali soltanto andando avanti nel lavoro scopro la traduzione più soddisfacente. La mia prima stesura è piena di asterischi, punti interrogativi ed evidenziature in giallo. In casi particolari, se ci sono poesie, filastrocche (traduco spesso libri per ragazzi) giochi di parole o barzellette (come in Crave), me li stampo a parte e ogni tanto ci do un’occhiata, perché è inutile starci a pensare mezz’ora di seguito, spesso l’idea ti viene all’improvviso, così come la parola giusta spesso la cogli per la strada o sull’autobus, sentendo una conversazione per caso. Per fortuna con il computer non è un problema tornare indietro e correggere. Le mie primissime traduzioni, all’indomani della laurea, erano ancora battute a macchina, e lì l’approccio era molto diverso, un errore o una correzione significavano buttare via il foglio e ribattere tutto da capo, lì doveva per forza essere buona la prima! E poi, come dicevo, faccio diverse riletture, le prime su carta, penna alla mano, ma le ultime direttamente a computer, ad alta voce, perché solo così riesco a cogliere ripetizioni, rime non volute, eccetera. (Che poi ne restano ancora, ma qui entra in scena il revisore, per fortuna!)
2) Tradurre fantasy e paranormal romance non è mai semplice perché è compito del traduttore ricreare un mondo nuovo, inedito. Come è stato lavorare al mondo di Crave e soprattutto alle descrizioni della Katmere Academy?
Be’, naturalmente dire che il traduttore ricrea un mondo nuovo è inesatto, il mondo lo ricrea l’autore, il traduttore… lo traduce, appunto. E come sempre, è essenziale non restare sempre troppo aderenti alla lettera del testo originale, perché si rischia di produrre un testo confuso, arruffato, che non rende l’idea e in cui il lettore non riesce a immedesimarsi. L’importante, secondo me, è farsi un’idea ben chiara dell’ambientazione immaginata dall’autore, e con questa idea in testa, e sul canovaccio del testo di partenza, riprodurre una descrizione in cui anche il lettore possa immaginare di muoversi.
3) A proposito dei personaggi, gli studenti della Katmere Academy non sono ragazzi ordinari. C’è qualcuno di loro che ti ha colpito particolarmente? Hai un preferito?
Credo che la mia preferita in assoluto sia Grace. Arriva alla Katmere ancora sconvolta per la morte dei genitori, metà scuola la guarda di sottecchi e l’altra metà cerca di farla fuori fin dalla sera del suo arrivo; senza saperlo si aggira tra vampiri, draghi, lupi mannari e streghe, però non si perde d’animo, anzi, tira fuori una grinta pazzesca e finisce per sfuggire a Lia e persino per salvare la vita a Jaxon.
Poi naturalmente non posso non citare Jaxon, che dietro l’apparenza fredda e distaccata cela un animo tormentato, e come non capirlo, con la famiglia da cui proviene! È bello vedere come con Grace sappia essere tenerissimo e molto protettivo.
Però permettimi una menzione speciale per la cuginetta Macy: certo, ha il difettuccio della passione per il rosa shocking ?, ma a parte questo, è una vera amica per Grace, e senza fare troppo spoiling, nel secondo volume tirerà fuori tutte le sue arti di strega e darà prova di tutta la sua lealtà.
4) Il romanzo contiene molti giochi di parole, molte battute e molti riferimenti pop che non sono facilissimi da tradurre. Che approccio hai scelto con questi elementi? Sei rimasta fedele all’originale o hai preferito basarti sul lettore finale?
Ah, questi giochi di parole sono stati la croce e la delizia del libro, ma sono anche quelli che mi hanno dato più soddisfazione, quando sono riuscita a risolverli. Ogni titolo di capitolo è stato una sfida, dietro ognuno di essi si nascondeva un tranello, a volte evidente, a volte nascosto, e anche all’interno del testo ricorrevano spesso doppi sensi, soprattutto con il verbo “bite”, mordere, come nell’espressione “bite me”, che vuol dire “va’ al diavolo!”. Devo dire che, soprattutto per i titoli dei capitoli, ho usato approcci diversi: a volte ho potuto riprodurre il gioco di parole pari pari; a volte l’ho tradotto con un altro; una volta ho addirittura sostituito il titolo di una canzone inglese con una italiana (di Gianna Nannini); altre volte il titolo del capitolo era il titolo di un film o di un libro di cui esisteva una traduzione in italiano, ma era così lontana dall’originale che si perdeva il riferimento, perciò magari ho preferito “pescare” all’interno del capitolo una frase a effetto.
Grace e Jaxon amano scambiarsi barzellette e indovinelli: in certi casi le ho modificate completamente, perché quello che contava era creare l’effetto ridicolo, ma qualche volta è stato proprio necessario restare aderenti al testo. Penso per esempio alla freddura di capitolo 24, quella sul vampiro che incontra il pupazzo di neve: qui i due elementi vampiro-pupazzo di neve andavano mantenuti per forza. Ecco, in casi come questi per fortuna vengono in soccorso i colleghi, e devo ringraziare le mailing list di traduttori di Biblit e di Qwerty, cui mi rivolgo quando non so più dove sbattere la testa, che mi hanno suggerito la soluzione (e anche quella dei tentacoli, poco sopra). Mi fa piacere dirlo, perché sul frontespizio del libro compare il nome del traduttore, ma i lettori non sanno che la traduzione è un gioco di squadra che coinvolge, oltre al traduttore, anche editor, redazione, revisore, traduttore di bozze, appunto colleghi e consulenti, e spesso anche mariti/mogli/compagni/figli e amici vittime, che si prestano a leggere l’ultima stesura prima che il traduttore clicchi sul fatidico tasto Invio.