TANGENTOPOLI NERA intervista a Giovanni Fasanella
- Utilizzando i documenti della Segreteria Particolare di Mussolini e quelli britannici desecretati di recente, MARIO JOSÉ CEREGHINO e GIOVANNI FASANELLA icostruiscono, con lo scrupolo degli storici e il fiuto degli investigatori, l’intreccio perverso tra politica, finanza e criminalità nell’Italia del Ventennio.
- Ecco così TANGENTOPOLI NERA ed ecco la nostra intervista a Giovanni Fasanella.
- Il titolo di questo libro TANGENTOPOLI NERA può suonare anacronistico: un termine nato negli anni ’90 accostato al ventennio fascista. Cosa vuol dire?
Vuol dire che in epoca fascista si rubava a mani basse, molto di più che in epoche successive. Solo che la magistratura non interveniva quasi mai, i giornali non ne parlavano e la propaganda del regime faceva credere all’opinione pubblica che il potere politico era limpido come acqua di sorgente. Era invece uno dei più corrotti della storia. Ma molti ancora oggi non lo sanno perché la storiografia se ne è occupata solo di striscio.
- Quanto è stata importante la propaganda nell’immagine che il fascismo ha lasciato dietro di sé?
La propaganda fascista aveva una macchina poderosa ed efficiente. Ha creato dei miti che sopravvivono ancora oggi. Uno, appunto, è quello del fascismo dal pugno di ferro ma proprio per questo pulito. Pensa al prefetto Mori, per dirne una. Il «prefetto di ferro» inviato in Sicilia da Mussolini per «combattere» la mafia. Mise a ferro e fuoco interi comuni, arrestò centinaia di persone.
E questo consentì a Mussolini di annunciare in Parlamento che la mafia non esisteva più. In realtà, Mori sgominò solo le cosche che costituivano un potenziale contropotere rispetto al Pnf, il Partito nazionale fascista. Le altre, invece, divennero parte integrante della classe dirigente del regime. E fra i tanti servizi resi dai boss ai gerarchi c’era anche il rifornimento di cocaina per i festini e le orge. Ma per molti, Mori ancora oggi è un intoccabile. Lo hanno santificato persino al cinema e in tv.
- Qual è la metodologia di ricerca per approcciarci a un lavoro così importante
Con Cereghino partiamo da un’ipotesi investigativa, da una possibile chiave di lettura inedita di un episodio o di un personaggio. Poi leggiamo tutto quello che è stato scritto sull’argomento, individuiamo le possibili lacune e cerchiamo di colmarle attraverso le ricerche d’archivio e la contestualizzazione dei documenti trovati. Facciamo un lavoro che in Italia si fa molto raramente: l’investigazione e la ricerca.
- Quali sono i personaggi più importanti (e interessanti) del quadro che avete dipinto nel libro?
Molti. Ma se dovessi indicarne alcuni, direi innanzitutto Roberto Farinacci, il ras di Cremona, passato alla storia come l’«anti-duce». Si spacciava per il più intransigente dei gerarchi, il custode dell’ortodossia ideologica e della purezza morale del fascismo. Nei rapporti della polizia segreta di Mussolini veniva definito ironicamente «il Robespierre in camicia nera». Perché in realtà era il più corrotto di tutti. Uomo scaltro e senza scrupoli, era riuscito a impossessarsi di documenti importanti e a volte di interi archivi, e con quelli ricattava Mussolini, suo fratello Arnaldo e gli altri gerarchi più in vista.
E poi direi i suoi due uomini di fiducia, che lo avevano aiutato a costruire la sua rete di potere: Enrico Varenna e Arturo Osio. Il primo era il suo uomo di «intelligence» e di relazioni negli ambienti ovattati, sulfurei. Il secondo, a lungo direttore della Bnl, era invece il suo braccio finanziario. Osio, e questo è sicuramente l’aspetto più interessante che meriterebbe ulteriori approfondimenti, sopravvisse a Farinacci e, dopo la guerra, diventò un potente gestore di relazioni di influenze. Basti pensare che il suo salotto romano era frequentato da personaggi del calibro di Leo Longanesi, Roberto Rossellini, Mino Maccari, Ernesto Fassio, Carlo Pesenti, Renato Angiolillo, Luigi Sturzo, Franco Marinotti, Adriano Olivetti e tanti altri. Chissà se conoscevano l’intera storia di Osio.
Mussolini faceva parte degli ingranaggi di corruzione o ne è rimasto fuori?
Sicuramente era al corrente di tutto, visto che tra il 1922 e il 1943 aveva costruito un suo poderoso archivio privato, su cui si basa il nostro libro, in cui erano documentati i traffici dei suoi gerarchi. Ma chi si occupava direttamente dei suoi affari era il fratello Arnaldo. E Farinacci, che lo sapeva benissimo, sapeva come tenerlo in pugno.