Intervista a Lucy Adlington, autrice di “Il nastro rosso”
In occasione della Giornata della Memoria, abbiamo intervistato Lucy Adlington, autrice di “Il nastro rosso”, in libreria dal 24 gennaio.
Lucy, per quale motivo hai deciso di raccontare questa storia? Che cosa ti ha colpito di questa vicenda?
Ho sentito lo stimolo incredibile e incontenibile di scrivere questa storia non appena ho letto che ad Auschwitz esisteva un salone di moda. Ho provato a immaginare che cosa volesse dire essere circondati da abiti meravigliosi in un luogo orribile. Volevo esplorare la tensione e la sensazione di dover cucire per salvare la propria vita. E soprattutto volevo dare enfasi a quanto sia importante il potere dell’amicizia per opporsi alla brutalità più assoluta. Il tema più importante della storia è la speranza, qualcosa a cui possiamo aggrapparci quando la vita è difficile. C’è sempre qualcosa di bello, da qualche parte.
Raccontaci qualcosa delle protagoniste.
Ella e Rose sono le eroine di questa storia. Sono così diverse tra loro, ma insieme fanno un’ottima squadra. Le ho chiamate così in onore di mia nonna, che è stata una sarta negli anni Quaranta. In ogni caso ho deliberatamente scelto di non mettere date nel libro, perché volevo che i lettori lo trovassero attuale: potrebbe succedere anche ora.
Ella ha 14 anni ed è veramente talentuosa, quello che le serve è solo affetto. Rose è una giovane e delicata sognatrice. Si incontrano in una sartoria e si supportano a vicenda finché non arriva la catastrofe. Carla invece è una guardia. A volte è crudele, sempre egoista, spesso si sente sola. Sono tutte protagoniste molto giovani, che si trovano ad affrontare delle circostanza capaci di travolgerle. Ella usa la sua creatività per contrastare la violenza di Carla. Rose si rifugia nella sua immaginazione. Questa creatività e questa necessità di fuga mi appartengono. Questo è il motivo per cui mi piace tanto scrivere storie.
Puoi dirci qualcosa del tuo hobby di restauro abiti?
Ho collezionato abiti vintage e antichi per oltre vent’anni. Amo molto il modo in cui i vestiti conservino i ricordi, e allo stesso modo come siano in grado di raccontare storie. I vestiti possono cambiare il modo in cui ci sentiamo e come esprimiamo noi stessi. I colori, i materiali con cui vengono realizzati e la moda possono essere altrettanto meravigliosi.
A volte penso a chi ha realizzato i vestiti che indosso o che colleziono… Quali sono le loro vite? Che cosa sognano quando si siedono e iniziano a cucire?
In calce trovate una foto di Lucy con indosso l’abito della liberazione, che viene nominato anche nel libro.
Perché è ancora importante raccontare storie come questa?
La cosa straordinaria del “Nastro rosso” è che è una storia di fantasia, nata dalla mia immaginazione… ma mi ha portato a scoprire la verità sulle reali sarte del salone di moda di Auschwitz. Quando il romanzo è stato pubblicato inizialmente sono stata contattata dalle famiglie delle donne che sono effettivamente sopravvissute ad Auschwitz grazie alle loro abilità nel cucito. Sono riuscita a incontrare e interviste le ultime sarte in vita e a raccontare la loro storia in un libro di non-fiction, “Le sarte di Auschwitz” (Rizzoli).
Penso che la narrativa ci possa portare in un altro mondo e che ci possa ispirare per scoprire di più riguardo alla vera storia. La cosa più importante è di ricordarci di onorare l’amicizia e la resilienza delle donne e delle ragazze che hanno utilizzato l’arte del cucito per sopravvivere durante l’Olocausto.
Lucy con indosso l’abito della liberazione, che viene nominato anche nel libro.