Quando la invitarono, nel 2007, all’inaugurazione della statua di bronzo decretatale dal Parlamento nel palazzo di Westminster non trattenne la battuta: «L’avrei preferita di ferro, ma anche bronzo va bene. Non arrugginisce».
Quando le appiopparono il nomignolo di Lady di Ferro, i nemici sovietici non immaginavano di averle fatto un regalo, dando un’identità precisa a un carattere inflessibile, che lei fece di tutto per trasformare in mito. «The lady is not for turning», la signora non torna indietro, proclamò orgogliosa di fronte a un congresso conservatore spaventato dalla sfida delle sue riforme liberiste.
Era del resto un’outsider, che vinse a sorpresa, nel 1975, la gara con Edward Heath per la guida dei conservatori. L’establishment del suo stesso partito non glielo perdonò mai, anche se «la figlia del droghiere», come la chiamavano, sprezzanti, per le sue modeste origini sociali, vinse tre volte di seguito le elezioni, prima, e finora unica, donna a guidare il governo britannico, dal 1979 al 1990.
Di più, Margaret Thatcher resta anche l’unico premier di Sua Maestà ad aver dato nome a un’epoca e a una tendenza politica: il thatcherismo definisce quel misto di privatizzazioni, liberalizzazioni, deregulation e orgoglio patriottico che per l’Inghilterra in ginocchio degli anni Settanta si rivelò medicina amarissima ma salutare, tanto che le sue riforme radicali furono lasciate intatte anche dai successori laburisti.
L’opinione pubblica di sinistra non le ha mai condonato la guerra contro i minatori, che difendevano, assieme al lavoro, anche pozzi improduttivi, e gli argentini non le hanno mai perdonato l’umiliazione militare patita alle Falklands, quando la condottiera Thatcher reagì all’invasione delle isolette con un conflitto combattuto e vinto a 14 mila chilometri da Londra.
Nel dicembre del 1990 lasciò Downing Street tra le lacrime, cacciata da una congiura di partito. Nella residenza tradizionale dei premier rimise piede come ospite dei suoi successori, dal laburista Blair a David Cameron, che ha riportato i conservatori al potere vent’anni dopo di lei. Vecchia e malata, era ormai la Baronessa Kesteven, un monumento vivente, e sedeva nella Camera dei Lord. Ma nella storia britannica entra la figlia del droghiere, che all’Inghilterra di fine Novecento restituì fiducia nel futuro, e anzitutto in se stessa.
Antonio Caprarica [scritto in occasione della scomparsa di Margaret Thatcher avvenuta l’8 aprile 2013]