Sono stata fortunata: la prima volta che ho incontrato Toni Morrison, quasi vent’anni fa, ero con la direttrice editoriale di Frassinelli di allora, Carla Tanzi, che le era amica, e per una sottintesa legge transitoria Mrs Morrison ha considerato benevolmente anche me. L’ammirazione leggermente reverenziale che avevo provato da studente e da lettrice di questa maestosa e inflessibile scrittrice premio Nobel – inflessibile prima di tutto verso se stessa, la sua scrittura, le sue responsabilità intellettuali – è diventata con gli anni un rapporto professionale e personale sempre più sfaccettato. Sempre più permeato dall’affetto, condiviso, in una sorta di sorellanza ideale, con le colleghe – quasi tutte donne – che hanno lavorato con lei. Per questo è diventata Toni, per noi ragazze della Frassinelli, la donna che ci ha fatto vedere il mondo semplicemente con altri occhi. Magari non è facile, almeno non sempre, ma è così che si diventa grandi.
La grandezza di Toni Morrison si misurava anche in riconoscimenti e nella foto che ho scovato tra le altre (veramente sgranata, lo so, scusate) lei è sulla pedana della cattedra di un’aula della Sorbona che riceve una laurea honoris causa. Ci sono i professori, c’è il ministro della cultura e c’è lei, seduta, dignitosissima nella toga giallo oro che è la divista dell’università parigina e pronta per il suo speech di ringraziamento.
Dopo, insieme alla sua editrice francese Dominique Bourgois, siamo andate a rifocillarci: un’altra sorellanza, chiacchiere, risate, un bicchiere di vino e nuovi progetti. Lei aveva sempre un nuovo progetto da condividere, un nuovo libro da scrivere, una storia mai detta da raccontare. Era magia ascoltarla, ci rimane la magia di leggerla.