(Da una conversazione di Clarissa Sebag – Montefiore con Markus Zusak sul Guardian del 17/12/2018)
Se Storia di una ladra di libri è il romanzo più famoso dell’autore australiano, questo è il suo capolavoro
Una mattina, nella sua casa di Sydney, mentre scriveva al tavolo della cucina, Markus Zusak è stato interrotto dal suono di qualcuno che stava sgranocchiando. Ha alzato lo sguardo e ha visto sua figlia Kitty che mangiava cereali: “Che cosa stai facendo, Kitty? Io avrei bisogno di lavorare. In silenzio, grazie.” Lei ha alzato un sopracciglio e con aria perplessa ha esclamato: “Lavorare? Chi, tu?”
Kitty aveva ragione. Anche se Zusak è uno degli autori più venduti in Australia, durante la vita di Kitty e di suo fratello Noah (hanno rispettivamente 12 e 9 anni), Zusak non ha mai pubblicato un libro: il suo ultimo romanzo, Il ponte d’argilla, ha richiesto ben 13 anni gestazione. Eppure, per essere uno che ha sofferto per anni del blocco dello scrittore, e che poi ha passato mesi a rivedere, riscrivere e ripensare il suo libro, tanto da fargli dire che era diventata una vera e propria dipendenza, Zusak rimane un uomo positivo.
“Certo, ho sofferto parecchio”, dice Zusak, versando una tazza di tè alla menta in un bar di Surry Hills. “Ma è una sofferenza costruttiva, di cui io stesso sono la fonte. Mi piace che scrivere non sia un’impresa facile.”
Uscito in Australia a ottobre, e a novembre in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Italia, Il ponte d’argilla è una saga famigliare incentrata su cinque fratelli abbandonati a se stessi dopo la morte della madre e la scomparsa del padre. Questo fino a quando il padre non ritorna e chiede ai figli di accompagnarlo in una casa nel bush per costruire un ponte – un modo letterale e metaforico di fare ammenda. Solo uno dei ragazzi accetta. Clay.
È, secondo Pan Macmillan, il “libro più atteso del decennio” – e non senza ragione. Storia di una ladra di libri, il grande successo di Zusak, ha trascorso più di 10 anni nella classifica dei bestseller del New York Times, è stato tradotto in 40 lingue, ha venduto 16 milioni di copie ed è diventato un film importante con Geoffrey Rush ed Emily Watson. Negli ultimi 13 anni Zusak è vissuto, insieme ai due figli e alla moglie Dominika che gli fa da amministratrice, grazie ai diritti d’autore del suo bestseller.
Ma se Storia di una ladra di libri è il suo libro più famoso, Il ponte d’argilla è il suo capolavoro. Zusak, che ora ha 43 anni, ne aveva appena 20 quando ha immaginato di scrivere questo romanzo. Dopo tanti anni, parla ancora di quel momento con aria sognante: “Ho pensato a un ragazzo che costruiva un ponte e voleva rendere questa cosa bella, compiuta e perfetta”.
L’argilla, ovviamente, è carica di significato: per modellare un oggetto si parte dalla materia fredda e umida, ma perché mantenga la sua forma deve essere cotto nel fuoco. E mentre Clay, il personaggio principale della storia, dava vita al suo ponte, Markus metteva la sua vita nel romanzo. “Ho messo tutto me stesso in questo lavoro. Questo libro è tutto ciò che ho.”, dice.
Proprio come l’epico Cloudstreet di Tim Winton, Il ponte d’argilla è anche una celebrazione dell’Australia, dell’importanza dell’ordinario, del quotidiano e, soprattutto, delle periferie. “Mi piace l’idea che le nostre vite suburbane, apparentemente noiose, siano in realtà grandi vite: ci innamoriamo tutti, perdiamo tutti persone a cui vogliamo bene, litighiamo tutti furiosamente nelle nostre cucine. Volevo scrivere un libro che ritraesse la ricchezza delle vite normali”.
Anche se ora vive in una casa a Woollahra, nell’esclusiva periferia orientale di Sydney, Zusak – che è educato, modesto e parla del meraviglioso potere dei libri – è cresciuto nel sud meno ricco della città. È il più giovane di quattro figli di genitori immigrati – suo padre è austriaco, sua madre tedesca – ed è cresciuto parlando tedesco e inglese.
“Sydney è una parte della mia storia”, dice Zusak. “E anche l’idea che mia madre e mio padre siano venuti qui senza niente. Iniziamo a essere chi siamo prima di nascere. Ci sono molte storie che portano alla nostra esistenza. Volevo porre l’attenzione su queste cose.”
I genitori di Zusak sono cresciuti durante la seconda guerra mondiale. Le loro esperienze hanno ispirato Storia di una ladra di libri, ambientato nella Germania nazista e raccontato dal punto di vista di un narratore molto particolare: la Morte.
Una storia in particolare lo ha colpito. Da bambina, la madre di Zusak si fermava spesso a guardare i contadini portare gli animali lungo la strada principale nella cittadina fuori Monaco dove viveva. Un giorno, non furono gli animali ma le persone a essere portate via: gli ebrei venivano deportati a Dachau.
“E c’era un vecchio che non riusciva a tenere il passo – ed era così emaciato che non riusciva più a camminare”, dice Zusak. “Un ragazzino corse a casa sua e tornò con una pagnotta. Il vecchio cadde in ginocchio, afferrò il ragazzo alle caviglie e lo ringraziò per il pane. Allora arrivò un soldato, gettò il pane e frustò l’uomo e il ragazzo”.
Sembra una favola nera. Ed è quella qualità semplice –che distingue il bene dal male – ad attrarre Zusak. “Da una parte hai la bellezza del vecchio e del ragazzo. Dall’altra hai l’incarnazione del male nel soldato. Metti insieme queste due cose e ottieni esattamente ciò di cui gli esseri umani sono capaci.”
Un’altra volta, sua madre gli aveva raccontato di essere emersa dal buio di un rifugio antiaereo per trovare la terra coperta dal ghiaccio e il cielo illuminato dal fuoco.
Immagini così potenti appaiono in Storia di una ladra di libri, dove la Morte pensa a colori; non in un rosso bruciato ma in un bianco accecante, una spietata lama di rasoio che trova la sua strada anche in Il ponte d’argilla, dove la luce solare “bianca come l’aspirina” di Sydney è tutt’altro che energetica.
La speranza, in Storia di una ladra di libri si presenta sotto forma di Liesel Meminger, una ragazza che vive con i genitori adottivi e che legge libri.
“Anche ora, dopo tutto questo tempo, la domanda più difficile è: di cosa parla il libro?”, dice Zusak. “Ci sono voluti circa cinque o sei anni per rendermi conto che il libro che parla del fatto che Hitler ha usato le parole e la propaganda per distruggere. E questa è la storia di una ragazza che riconquista quelle parole rubandole”.
In Storia di una ladra di libri un giovane pugile, il ventiquattrenne ebreo Max Vandenburg, si nasconde nella casa di Liesel. Anche il protagonista de Il ponte d’argilla pratica la boxe, e sfoga la sua rabbia contro il mondo attraverso la fisicità.
“C’è sempre un elemento di boxe [nei miei libri]”, dice Zusak. “Ci trovo un’analogia con l’ essere uno scrittore disciplinato: mi sono sempre allenato per questo. Scrivere è una professione solitaria. Spetta solo a te. Ti mette alla prova. Non sto dicendo che ci voglia lo stesso coraggio necessario per fare il pugile, ma in un certo senso è così – perché sei da solo.”
Durante l’ultimo decennio, Zusak ha avuto i suoi periodi difficili. Ma per lui non c’è mai stato un momento sprecato, mai una parola sprecata. Certo, 13 anni su un libro sono tanti. Ma “sono le parole dietro le parole” che importano, insiste. “Sono tutte le parole che nessuno vede mai a portare un libro in superficie”.