Lara: Se dovessi descrivere il tuo romanzo in poche righe, che parole chiave useresti?
Maria Daniela: Direi che è una storia d’amore tra una ragazza e un ragazzo, la storia di una famiglia che cambia e cresce attraverso gli anni, di un’amicizia tra due donne dai caratteri opposti e dell’amore complicato tra un padre e una figlia. Ma più di tutto direi che è una storia sull’imperfezione dei sentimenti.
“Un lungo istante meraviglioso” è anche – non solo – una bellissima storia d’amore. Allora ti tocca la domanda del secolo: innamorarsi a quindici anni è così tanto diverso da quando accade in età adulta?
No. Quando ci innamoriamo abbiamo sempre quindici anni. Sarà per quello che continuiamo a farlo anche da grandi. In realtà, credo che la grossa differenza sia una questione di proporzioni, di “peso”. A quindici anni l’amore è tutto. Ti investe come un tram, ti marchia a fuoco, segna la tua personalità e le scelte future. Assorbe ogni energia. In età adulta tende a ridimensionarsi, diventa una delle componenti dell’esistenza, insieme alla famiglia, al lavoro e alle altre esperienze che fondano la tua identità. Lo carichi meno di aspettative. Per questo perde un po’ di magia ma diventa più solido, reale, benefico. Poi, certo, se a quel punto arriva una nuova “tranvata”, ecco che ricomincia tutto da capo, e allora davvero torni ad avere quindici anni anche se ne hai quaranta, il che può essere molto romantico e vitalizzante, ma anche distruttivo e disastroso.
Laura, la tua protagonista, a un certo punto dice: “La mia vita è tutta un piano B”. L’ho trovato molto bello, soprattutto se rapportato a una società che predica l’importanza di raggiungere i propri obiettivi. Rivendichi la dignità del piano B?
Sì! Le persone-caterpillar, quelle che vanno dritte verso l’obiettivo senza guardare in faccia nessuno, mi insospettiscono sempre un po’ e di solito mi stanno antipatiche. Sto diventando sempre più insofferente verso quest’idea che nella vita tutto si possa scegliere, che noi siamo gli unici responsabili delle cose che ci accadono e che, se qualcosa non ci succede, è solo perché non l’abbiamo desiderata abbastanza. Credo che questa visione del mondo ci faccia sentire depressi e falliti, visto che, in realtà, realizzare tutti i nostri desideri è praticamente impossibile, a prescindere da quanto ci diamo da fare. A volte, può essere complicato persino realizzarne uno o due. Perciò, evviva i piani B, i ripensamenti, i ripieghi creativi, i percorsi non previsti che ci stupiscono e ci riservano sorprese.
La musica è molto presente in questo romanzo. Con che criterio hai scelto questa colonna sonora?
Ho scritto ascoltando Radio Capital, Radio Babboleo Suono e Spotify (stupenda invenzione!), e ho inserito le canzoni che più mi ricordavano i vari periodi in cui si svolge la storia. C’è un certo squilibrio a favore dei pezzi anni ottanta, lo so, ma d’altronde questo è il destino di chi, come me e come la protagonista del libro, è stato giovane in quegli anni e se li trascinerà addosso per sempre, con quel senso di imbarazzo misto a lancinante nostalgia che forse conosciamo solo noi.
Una strofa di una canzone che ricorre più volte, Mad World dei Tears for Fears, dice:” I sogni in cui sto morendo sono i migliori che ho avuto”. Sei d’accordo?
Abbastanza. In questo romanzo, come anche nei precedenti, quasi tutti i personaggi crescono e si evolvono grazie alle batoste e alle delusioni. Amori non ricambiati, amicizie in frantumi, tradimenti, tracolli professionali… avvenimenti negativi che però hanno il potere di farli reagire e di proiettarli in realtà nuove, con le quali forse non si sarebbero mai confrontati se avessero avuto una vita più serena. Questo vale anche al contrario: spesso le persone che ci vogliono più bene sono quelle che ci fanno più male.
Lara Giorcelli è editor della Fiction italiana per Sperling & Kupfer